La sanzione della remissione in pristino presenta un carattere di maggior completezza ed effettività rispetto all’ordine di demolizione in materia urbanistica, in quanto quest’ultima sanzione non solo non copre tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio, ma non comporta neanche la reintegrazione totale del bene nell’area protetta.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10032, depositata il 10 marzo 2015. Il caso. La Corte di appello di Napoli dichiarava non doversi procedere nei confronti di due imputati per diversi reati urbanistici e rideterminava la pena loro inflitta per il delitto paesaggistico ai sensi dell’articolo 181, comma 1-bis, d.lgs. numero 42/2004 opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa . Gli imputati ricorrevano in Cassazione, contestando la sanzione amministrativa loro inflitta della demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, in quanto l’istanza di condono era stata presentata il 10 dicembre 2004, prima dell’entrata in vigore del comma 1-bis dell’articolo 181 d.lgs. numero 42/2004. Tuttavia, la Corte di Cassazione ribatte che la sanzione amministrativa sarebbe stata in ogni caso applicabile ai sensi dell’articolo 181, comma 2, d.lgs. numero 42/2004 norma vigente fin dall’entrata in vigore del decreto legislativo. Sanzione più ampia. Inoltre, sottolineano gli Ermellini, l’ordine di remissione in pristino, disposto per la condanna relativa al delitto ex articolo 181, comma 1-bis, d.lgs. numero 42/2004, rende superflua la revoca dell’ordine di demolizione disposto dal primo giudice, ma decaduto in seguito alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato edilizio inizialmente contestato. Infatti, la sanzione della remissione in pristino presenta un carattere di maggior completezza ed effettività rispetto all’ordine di demolizione in materia urbanistica, in quanto quest’ultima sanzione non solo non copre tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio, ma non comporta neanche la reintegrazione totale del bene nell’area protetta. Prescrizione del reato urbanistico, ma non di quello paesaggistico. Perciò, in caso di estinzione per prescrizione del reato urbanistico, ma non del reato paesaggistico, non è necessario disporre la revoca dell’ordine di demolizione, in quanto quest’ultimo resta assorbito nella remissione in pristino. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 gennaio – 10 marzo 2015, numero 10032 Presidente Teresi – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. C.L. E CI.AN. hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di NAPOLI, emessa in data 8/01/2014, depositata in data 17/01/2014, con cui, in parziale riforma della sentenza del tribunale di TORRE ANNUNZIATA, sez. dist. di SORRENTO del 15/01/2009, veniva dichiarato non doversi procedere nei confronti del C. in ordine ai reati di cui ai capi a , b c ed e della rubrica per essere gli stessi estinti per prescrizione e, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata in relazione al delitto di violazione di sigilli capo f , applicata la diminuente per il rito abbreviato richiesto, rideterminava la pena inflitta per il delitto paesaggistico capo d e per il predetto capo f della rubrica nella misura di un anno e due mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa con la medesima sentenza, inoltre, veniva rideterminata la pena anche nei confronti della CI. , previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata in relazione al delitto di violazione di sigilli capo f , unico ad essa contestato, applicata la diminuente per il rito abbreviato richiesto, in anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa veniva, infine, disposta per entrambi la pena accessoria dell'interdizione dai pp.uu. per anni uno e confermata, nel resto, l'impugnata sentenza, che aveva assolto la Ci. dai reati sub a , b , c e d della rubrica fatti contestati come accertati in data omissis . 2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista degli imputati, vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero . 2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di cui all'articolo 606, lett. b ed e c.p.p., sub specie per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La censura investe l'impugnata sentenza per aver negato, con motivazione mancante ed illogica, ad entrambi gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena la sentenza sarebbe contraddittoria in quanto, pur avendo riconosciuto ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche, avrebbe però inspiegabilmente negato il beneficio di cui all'articolo 163 cod. penumero diversamente, nel caso in esame, non emergevano motivi tali da escludere la concedibilità del beneficio, non emergendo indici idonei a ritenere possibile la reiterazione del reato da parte degli stessi né tantomeno una particolare gravità del reato, tenuto conto delle opere eseguite, che appaiono di modesto valore infine, la Corte territoriale, nel valutare la questione, non avrebbe tenuto conto dell'incensuratezza di entrambi. 2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di cui all'articolo 606, lett. b ed e c.p.p., sub specie per mancanza o manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge quanto all'affermazione di responsabilità penale della Ci. . La censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte territoriale errato nel suo ragionamento logico nell'argomentare sulla base del titolo di proprietà dell'immobile e della qualità di custode giudiziario assunta dalla Ci. a seguito del sequestro dell'area la proprietà di un bene, diversamente, si sostiene in ricorso, non è di per sé sola idonea a provare la committenza e/o l'esecuzione delle opere abusive nel caso in esame, la Corte d'appello non avrebbe tenuto in considerazione che il C. non è mai stato trovato sui luoghi in cui sarebbero stati violati i sigilli ed eseguite le opere abusive né avrebbe tenuto conto del fatto che questi risulta domiciliato in luogo diverso anche se residente nel luogo ove sono state eseguite le opere abusive in particolare, per quanto concerne la prova della violazione di sigilli, la Corte d'appello si sarebbe basata su una presunzione di colpa, non potendo qualificarsi come prova la circostanza che nel 2004 il C. ebbe a presentare istanza di condono per il manufatto abusivo, atteso che ciò non prova che le opere contestate nel 2006 siano allo stesso attribuibili infine, si censura la sentenza per aver individuato quale dies a quo da cui far decorrere il termine di prescrizione dei reati quello del sopralluogo della polizia municipale 1/02/2006 e non, come sarebbe stato corretto, quello della presentazione dell'istanza di condono datata 10 dicembre 2004. 2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di cui all'articolo 606, lett. b ed e c.p.p., sub specie per mancanza o manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in ordine all'applicazione della sanzione della demolizione e ripristino dello stato dei luoghi. La censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte territoriale illegittimamente ordinato l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dall'articolo 181, d.lgs. numero 42 del 2004, in quanto, essendo stata presentata l'istanza di condono il 10/12/2004, non poteva essere applicata la norma sanzionatoria dell'articolo 181, comma 1-bis, entrata in vigore successivamente in quanto introdotta dalla legge numero 308 del 15 dicembre 2004 dunque, esclusa la sussistenza di tale delitto e riconosciuto il beneficio di cui all'articolo 163 cod. penumero , non sarebbe nemmeno possibile subordinare quest'ultimo alla demolizione in presenza della sola condanna per il reato di violazione di sigilli. Considerato in diritto 3. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza. 4. Seguendo l'ordine imposto dalla struttura dell'impugnazione proposta in sede di legittimità, dev'essere esaminato il primo motivo, con cui i ricorrenti censurano la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Sul punto, la Corte territoriale evidenzia come l'atto di appello avesse un tenore diverso pag. 7 impugnata sentenza , in quanto era stata richiesta l'esclusione della condizione cui era stata subordinata la sospensione condizionale della pena, peraltro non concessa dal giudice di primo grado. L'affermazione della Corte d'appello secondo cui quest'ultimo correttamente non l'aveva concessa è svolta ad abundantiam , in quanto il motivo è da ritenersi inammissibile non avendo costituito oggetto di espressa doglianza con i motivi di appello. Trattandosi, quindi, di violazione di legge per la prima volta prospettata davanti alla Corte di legittimità, la stessa è inammissibile ai sensi dell'articolo 606, comma terzo, cod. proc. penumero . 5. Quanto, poi, alla censura attinente la prova della corresponsabilità dei ricorrenti, nel ricorso si muovono evidenti doglianze in fatto. La Corte d'appello, peraltro, si sofferma v. pag. 6 impugnata sentenza ad indicare le ragioni per cui il capo F9 della rubrica fosse ascrivibile ad entrambi i ricorrenti, non essendovi dubbio quindi sulla corresponsabilità di entrambi. Si legge, in particolare, nell'impugnata sentenza che del delitto di cui sopra devono essere chiamati a rispondere entrambi i ricorrenti, in particolare anche la Ci. , coniuge convivente nell'immobile che fu nominata custode all'atto del sequestro. Non v'è in atti, per i giudici d'appello, alcun elemento che consenta di ritenere che gli stessi fossero all'oscuro di un'opera abusivamente proseguita su un immobile di proprietà del C. ed abitata dal loro nucleo familiare, tenuto altresì conto che il C. aveva inoltrato richiesta di condono e che la Ci. era stata nominata custode. Si aggiunga, peraltro, che a seguito della sostituzione del testo dell'articolo 118 cod. penumero ad opera dell'articolo 3 della legge 7 febbraio 1990, numero 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilità ed alla recidiva. Conseguentemente, sono ancora valutate riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'articolo 70, primo comma, numero 2, cod. penumero , cioè quelle attinenti alle qualità personali del colpevole ed ai rapporti tra il colpevole e la persona offesa. Si estendono, dunque, al concorrente - il quale ne sia a conoscenza o le ignori per colpa - le circostanze relative al munus publicum del colpevole, tra cui proprio la circostanza aggravante della qualità di custode al concorrente nel reato di violazione di sigilli v., in termini Sez. 6, numero 853 del 24/03/1993 - dep. 21/05/1993, P.M. in proc. Sorrentino, Rv. 194189 . Quanto, poi, all'individuazione del termine di prescrizione, la Corte d'appello spiega diffusamente e logicamente v. pagg. da 3 a 6 dell'impugnata sentenza le ragioni per le quali il dies a quo decorresse dal 1/02/2006 e non dalla presentazione dell'istanza di condono 10/12/2004 , evidenziando in particolare che alla prima data i lavori erano ancora in corso. Nessun dubbio, dunque, in ordine al mancato decorso del termine prescrizionale alla data della sentenza d'appello pronunciata in data 8/01/2014 , laddove il termine di prescrizione del reato per cui si procede è maturato in data 1/05/2014. 6. Infine, quanto all'ultimo motivo di ricorso avente ad oggetto la questione dell'ordine di demolizione rectius, dell'ordine di rimessione in pristino stato dei luoghi e spese del condannato , la stessa si palese del tutto infondata, atteso che, da un lato, l'articolo 181, comma 1-bis, d.lgs. numero 42 del 2004, era pacificamente contestabile in quanto il fatto risulta commesso dopo l'entrata in vigore dalla legge numero 308 del 2004 in ogni caso, si osserva, la sanzione amministrativa accessoria della rimessione in pristino stato sarebbe stata comunque stata applicabile ai sensi dell'articolo 181, comma secondo, d.lgs. numero 42 del 2004, norma vigente sin dalla data di entrata in vigore del d.lgs. citato e non collegata all'introduzione del delitto paesaggistico. Si noti, infine, per completezza che l'ordine di rimessione in pristino, disposto per la condanna relativa al delitto di cui all'articolo 181, comma 1-bis, d.lgs. numero 42 del 2004, rende superflua la revoca dell'ordine di demolizione disposto dal primo giudice, ma decaduto a seguito della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato edilizio sub a , in quanto la sanzione della rimessione in pristino presenta un carattere di maggiore completezza ed effettività rispetto all'ordine di demolizione in materia urbanistica, in quanto quest'ultima sanzione non solo non copre tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio, ma non comporta la reintegrazione totale del bene nell'area protetta Sez. 3, numero 862 del 22/02/1996 - dep. 03/04/1996, P.M. in proc. Pezzetta, Rv. 204601 . Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto “La sanzione amministrativa della remissione in pristino - prevista dall'articolo 181, d.lgs. numero 42 del 2004 - presenta un carattere di maggiore completezza ed effettività rispetto alla demolizione in materia urbanistica, in quanto quest'ultima sanzione non solo non copre tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio, ma non comporta la reintegrazione totale del bene nell'area protetta ne consegue che, in caso di estinzione per prescrizione del reato urbanistico ma non del reato paesaggistico, non è necessario disporre la revoca dell'ordine di demolizione in quanto quest'ultimo resta assorbito nella rimessione in pristino”. 7. Il ricorso dev'essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in Euro 1.000,00 mille/00 ciascuno. 8. Solo per completezza, come già enunciato nel paragrafo 5, i reati per cui si procede non possono essere dichiarati estinti per prescrizione, atteso che la stessa è maturata in epoca successiva alla sentenza d'appello. È pacifico che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 cod. proc. penumero Sez. U, numero 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266 nella specie si trattava della prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso, come nel caso esaminato da questa Corte . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.