In caso di licenziamento illegittimo, qualora il lavoratore opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo 18, comma 5, Stat. lav. nel testo previgente alla c.d. Riforma Fornero , il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione di tale scelta, senza che sia necessario l’effettivo pagamento dell’indennità.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21494, depositata il 22 ottobre 2015. Il caso. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, condannava una società a corrispondere ad un proprio ex dipendente le retribuzioni maturate nell’intervallo di tempo tra l’esercizio dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione prevista dall’articolo 18, comma 5, Stat. lav. nella formulazione previgente alla c.d. Riforma Fornero e la data in cui tale indennità era stata effettivamente corrisposta. Ad avviso del giudice di merito, infatti, doveva trovare applicazione il principio c.d. di «effettività dei rimedi», diretto a ridurre al minimo per il lavoratore le conseguenze del licenziamento illegittimo, cosicché la cessazione del rapporto di lavoro - a seguito dell’esercizio di tale opzione - doveva identificarsi con il momento di effettivo pagamento dell’indennità in commento, ed il risarcimento del danno complessivamente dovuto al lavoratore andava commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno di tale pagamento. Contro tale sentenza la società ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. L’opzione fa cessare il rapporto. In particolare, per quanto qui interessa esaminare, la ricorrente lamentava come la semplice comunicazione - da parte del lavoratore - di voler optare per l’indennità sostitutiva della reintegra fosse idonea a risolvere il rapporto di lavoro, ragion per cui, in ipotesi di ritardato pagamento, sarebbero stati applicabili solo gli ordinari criteri civilistici della mora debendi . Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, richiamando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Ed infatti la questione, a lungo oggetto di un vivace contrasto giurisprudenziale che vedeva tuttavia una larga prevalenza dell’orientamento espresso dal giudice di secondo grado, è stata recentemente composta dalle Sezioni Unite della Cassazione nnumero 18353 e 18354/14 le quali, affermando il principio fatto proprio nella pronuncia in esame, chiarivano come «l’obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell’articolo 429, comma 3, c.p.c. salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore». L’interpretazione è conforme alla disciplina europea. Prosegue la Corte affermando come, a suo avviso, tale interpretazione non si ponga in contrasto con l’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea richiamato nelle difese del lavoratore, ancorché non direttamente applicabile alla controversia . Ciò in quanto tale norma dispone che «ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali». Esso dunque non impone particolari forme di tutela, lasciando ciascun Legislatore nazionale libero di optare per la scelta che più lo aggrada. Il tema è pressoché superato, dal momento che la pronuncia in commento ha ad oggetto una fattispecie soggetta all’applicazione del «vecchio» articolo 18 Stat. lav. La problematica ivi rappresentata può dirsi oggi superata, sia dall’uniformità delle pronunce successive alle citate Sezioni Unite da ultimo si veda Cass. numero 17777/2015 , sia dalle successive novelle normative le quali, tanto nel nuovo testo dell’articolo 18 che nella residuale ipotesi di tutela reale piena prevista dal c.d. «contratto a tutele crescenti», prevedono che la «richiesta dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, ndr determina la risoluzione del rapporto di lavoro».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 giugno – 22 ottobre 2015, numero 21494 Presidente Venuti – Relatore Ghinoy Ragioni della decisione 1. Con la sentenza numero 4159 del 2012, la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, condannava Rete Ferroviaria italiana s.p.a. a corrispondere a M.R. le retribuzioni maturate nell'intervallo di tempo tra l'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva alla reintegrazione prevista dal V comma della L. numero 300 del 1970 nel testo vigente ratione temporis , anteriore alle modifiche apportate dalla L. numero 92 del 2012 e la data in cui l'indennità era stata effettivamente corrisposta. 2. La Corte di merito argomentava che il sistema delineato dall'articolo 18 della L. numero 300 del 1970 si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell'interesse del lavoratore a non subire o ridurre al minimo le conseguenze del licenziamento illegittimo, sicché il momento di effettiva cessazione del rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento e dell'esercizio dell'opzione prevista dal suddetto comma 5 deve ritenersi coincidente con l'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva ed il risarcimento del danno complessivamente dovuto al lavoratore va commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno dell'adempimento dell’obbligazione alternativa alla reintegrazione. 3. Per la cassazione di tale sentenza R.F.I. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso M.R. . Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c 4. Con il primo motivo di ricorso, sotto il profilo del vizio di violazione di legge con riferimento all'articolo 18, 4° e 5° comma, della L. numero 300 del 1970, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. numero 92 del 2012 , la parte ricorrente critica la soluzione accolta dalla Corte capitolina, richiamando la giurisprudenza di questa Corte che, andando di diverso avviso rispetto a quella richiamata nella sentenza gravata, ha affermato che il momento di effettiva cessazione del rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento ed esercizio dell'opzione prevista dal comma 5 dell'articolo 18 della l. numero 300 del 1970 nel testo vigente ratione temporis , anteriore alle modifiche apportate dalla L. numero 92 del 2012 coincide appunto con l'esercizio dell'opzione, sicché non sarebbe configurabile un danno per la mancata successiva continuazione del suo svolgimento sotto il profilo delle retribuzioni perdute. 5. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge articolo 2947 e 2948 c.c. in cui sarebbe incorsa la Corte d'appello laddove non ha accolto l'eccezione di intervenuta prescrizione quinquennale del credito. 6. Il primo motivo di ricorso è fondato. Sulla specifica questione proposta sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze numero 18353 e numero 18354 del 27/08/2014,che, a composizione del precedente contrasto di giurisprudenza, hanno affermato il seguente principio di diritto In caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale nella specie, quello, applicabile ratione temporis , previsto dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, numero 92 , opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'articolo 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'articolo 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore . 7. La soluzione adottata non si pone in contrasto con l'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che è stato richiamato dalla difesa controricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., sulla scorta della sentenza di questa Corte n 15519 del 2012. Premesso che, come chiarito anche nella sentenza da ultimo richiamata, la disposizione della Carta di Nizza non è direttamente applicabile alla fattispecie ex articolo 51 della stessa Carta non investendo la presente controversia una questione di diritto dell'Unione , è vero che essa può certamente operare come fonte di libera interpretazione anche del dato normativo nazionale, stante il suo carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti Europei Corte cost. numero 135/2002 , operanti anche nei sistemi nazionali. Occorre tuttavia rilevare che l'articolo 30 richiamato prevede che Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali esso pertanto non impone forme determinate di tutela, lasciando agli ordinamenti nazionali la scelta in proposito. Scelta compiuta nel nostro sistema secondo le modalità chiarite dal massimo organo di nomofilachia, la cui contrarietà alla normativa sovranazionale non è stata sotto altri versi specificamente confutata. 8. La vincolatività dell'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, in difetto di valide ragioni di dissenso che richiederebbero una nuova valutazione del Supremo Collegio ex articolo 374 III comma c.p.c., determina la fondatezza del motivo, non avendo fatto la Corte territoriale corretta applicazione della normativa in questione. 9. Resta assorbito l'esame del secondo motivo, proposto in via logicamente subordinata. 10. In definitiva, il primo motivo di ricorso dev'essere accolto, con assorbimento del secondo, e la sentenza gravata dev'essere cassata in relazione al motivo accolto. Non essendo necessari accertamenti di fatto, considerato che la domanda aveva ad oggetto solo il credito per l'indennità risarcitoria parametrata alle retribuzioni maturate nell'intervallo di tempo tra l'esercizio dell'opzione e la data in cui l'indennità ex articolo 18 comma V era stata effettivamente corrisposta, credito che per i motivi esposti non sussiste, la causa può essere decisa nel merito ex articolo 384 comma 2 c.p.c., con il rigetto della domanda originariamente proposta. 11. Il recente superamento del contrasto interno alla Sezione lavoro determina la compensazione tra le parti delle spese dell'intero processo. 12. L'accoglimento del ricorso preclude il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall’articolo 13, comma 1 quater , del D.P.R. numero 115 del 2002, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.