Indossare lo hjiab è un atto ispirato da convinzioni religiose perciò negare l’accesso all’aula d’udienza ad una parte è una lesione della libertà di manifestare la propria religione articolo 9 Cedu contraria ad una società democratica, non giustificata dalla necessità di mantenere l’ordine e dalla buona amministrazione della giustizia.
È quanto ribadito dalla CEDU sez. II nel caso Lachiri comma Belgio ricomma 3413/09 del 18 settembre 2018 identico al caso Hamidovic comma Bosnia Erzegovina, nel quotidiano del 5/12/17, relativo, però, allo zucchetto indossato dagli uomini di fede islamica . Il caso. La ricorrente, assieme alla sua famiglia, si era costituita parte civile nel processo penale per l’omicidio di suo fratello il colpevole, in primo grado, fu condannato solo «per lesioni volontarie premeditate che avevano comportato la morte della vittima senza la volontà di ucciderla». Impugnarono la sentenza sostenendo che, invece, si trattasse di omicidio. Il giorno dell’udienza in Corte di appello le fu vietato l’accesso in aula perché indossava lo hijab è il velo che copre i capelli e la nuca e lascia scoperto il viso che rifiutò di togliere. Il velo è un simbolo religioso? L’articolo 9 Cedu consente di manifestare la propria fede o convinzione religiosa in questa nozione vi rientrano anche gli agnostici, gli atei etcomma in quanto non professano alcuna fede o credo in pubblico. Orbene è assodato che indossare il velo non costituisca un precetto religioso, ma rientra nell’ambito delle convinzioni, perciò impedire d’indossarlo senza giustificati motivi violerebbe questa libertà. A tal proposito la CEDU, nel decidere sui divieti in tal senso imposti dalle leggi della Francia e del Belgio, ha convalidato il divieto solo nel caso di velo integrale che copre tutto il corpo S.a.s v. Francia nel quotidiano del 2/7/14 . Laicità solo per gli statali, non per i privati cittadini. Il dovere di laicità, imposto allo Stato, per garantire l’integrazione e la tolleranza, senza rimuovere il pluralismo Lautsi ed altri comma Italia [GC] del 2011 e Leyla Sahin comma Turchia [GC] del 2005 , fomentando così tensioni sociali, non può essere opposto ai privati cittadini. Le restrizioni alla libertà religiosa sono indicate in modo esaustivo e tassativo al § . 2 dell’articolo 9. Dall’analisi del diritto comparato degli Stati del COE in materia non emergono norme uniformi non ci sono norme interne o convenzioni sociali che vietino in modo chiaro e noto a tutti l’uso di simboli religiosi nella aule, perciò il divieto è privo di base legale. La CEDU ricorda la distinzione tra «spazio pubblico», contrapposto al luogo di lavoro, in cui la tutela della neutralità dello Stato può prevalere su quella della libertà religiosa del singolo si noti che la prassi della CEDU e della CGUE ha convalidato i licenziamenti di musulmane che rifiutavano di togliere il velo in azienda, ospedale etcomma EU C 2017 203 e 204 nel quotidiano del 14/3/17 EU C 2015 480 e 2014 2371 Barik Edidi comma Spagna del 19/5/16, Ebrahimian comma Francia nella rassegna del 27/11/15 e Leyla Sahin comma Turchia del 10/11/05 . Il Tribunale è un luogo pubblico che non può essere assimilato ad una strada od una piazza in cui ognuno può manifestare liberamente il proprio credo. È anche vero che è imposto un dress code che vieta di entrare in Tribunale con la testa coperta, ma alle suore, ai Sikh ed agli ebrei è consentito derogarlo, creando una disparità con i fedeli islamici. Questa restrizione basata sul rispetto della neutralità dello Stato può essere legittimata dal conseguimento del fine della “tutela dell’ordine”, che, nella fattispecie non risulta comprovato. Infatti non vi era alcuna fondata necessità di mantenere l’ordine, poiché «il comportamento della ricorrente non è irriguardoso e non costituisce, né rischia di costituire, una minaccia per il corretto svolgimento dell’udienza» il divieto di accedere in aula è, perciò, una lesione alla sua libertà religiosa non giustificata in una società democratica.
AFFAIRE_LACHIRI_c._BELGIQUE