Avvo-chef con passione, ma “Serve organizzazione, in cucina come nello studio legale”. Avvocato, titolare di uno studio a Roma, eppure è nota soprattutto per aver vinto‘MasterChef’. Ma per lei rimane prioritaria la professione legale, anche se vanno affrontati i problemi della crisi e le ‘tare’ del sistema. La soluzione? “Le law firm all’americana”.
Allora, come la debbo inquadrare? Come avvocato o come chef? «Facciamo avvo-chef », risposta pronta, col sorriso sulle labbra, e carica anche di sana auto-ironia. Ma è meglio un passo indietro Seconda edizione di ‘MasterChef Italia’, diciotto concorrenti agguerriti, un solo obiettivo la vittoria, con annessi corposo premio in denaro e libro di ricette da pubblicare a proprio nome. A spuntarla è un avvocato – l’avvo-chef, per l’appunto – Tiziana Stefanelli. Che, da allora, non ha cambiato vita prioritaria la professione legale – concretizzata quotidianamente nelle attività dello studio ‘Stefanelli & amp partners’, con due sedi a Roma –, mentre la cucina resta una passione folle, resa più forte da due ‘critici’ domestici, marito e figlia! Perché, spiega lei, sempre con ironia, «loro due si lamentano sempre, per principio si siedono a tavola e “Qui c’è poco sale” e “Mmh, questa cottura ”. Ma, alla fine, così ho imparato a cucinare, coi due ‘giudici’ tremendi che mi ritrovo a casa!». Così, focus principale rimane quello della professione legale, nonostante, ammette lei, le difficoltà siano numerose. Non a caso, di fronte alla provocazione “Se lei avesse 25 anni oggi, cosa farebbe?”, risponde in maniera schietta «Punterei sulle lingue e andrei a lavorare all’estero!». Ma com’è la vita da vincitrice di ‘MasterChef’? «Beh, va tutto benissimo oltre alle mie attività professionali solite, ho potuto fare tantissime altre esperienze, ho fatto tante cose nuove che non hanno nulla a che vedere con la mia professione tutto molto eccitante e molto divertente. Però gli impegni professionali e familiari son rimasti intatti, e debbo dire grazie, da un lato, ai miei collaboratori dello studio associato, e, dall’altro, ai miei familiari, mio marito e la mia bambina, Matilde, di 8 anni». Dica la verità il percorso culinario rappresenta uno sbocco professionale più accattivante «No, no lo studio associato funziona, e siamo in crescita, nonostante la crisi. Non avevo e non ho bisogno di trovare un altro sbocco professionale, la cucina è una passione Semplicemente, ho mandato una e-mail a ‘MasterChef’ per gioco, e quando mi hanno convocato, ho dovuto fare una scelta avevo 41 anni, mi son detta “Perché no? Quando mi ricapita di fare una pazzia di questa portata?”, e mi son lanciata Ma, sia chiaro, ho potuto affrontare quell’avventura perché il mio studio è ben strutturato, con due sedi a Roma, e dodici persone, tra dipendenti e professionisti. Se l’opportunità di partecipare a ‘MasterChef’ fosse capitata dieci anni fa, io non avrei potuto farla, perché dovevo stare sempre sul ‘pezzo’, ogni santo giorno. Oggi, invece, col tipo di organizzazione che abbiamo in studio, ho potuto gestire anche questa esperienza». Com’è cambiata la vita professionale dell’avvocato, oggi rispetto a dieci anni fa? «Di sicuro il lavoro è cambiato tanto negli ultimi anni. Per quanto mi riguarda, mi occupo soprattutto di diritto commerciale, seguendo delle aziende prima era molto bello, divertente, stimolante il lavoro, perché gli imprenditori venivano allo studio e cercavano un aiuto di consulenza nella fase di costruzione dell’idea negoziale così realizzavi un’attività intellettualmente creativa, in cui comunque seguivi l’imprenditore nella sua ascesa creavi joint-venture, l’aiutavi nella internazionalizzazione, affittavi un nuovo magazzino, creavi nuovi contratti , era un lavoro positivo adesso il lavoro è diventato ristrutturazione del debito, procedure concorsuali, procedure fallimentari. Si lavora, anche tanto, ma, debbo dire la verità, non è proprio un lavoro che mi stimola Ciò per dirle che il progetto culinario, l’esperienza a ‘MasterChef’ mi ha giovato psicologicamente, mi ha dato una ventata di novità, perché il mio lavoro di avvocato, negli ultimi anni, si è un po’ intristito». Tempi cupi, quindi, per un ipotetico giovane, neo laureato, che pensa alla carriera legale «Non mi sento di dare consigli ai giovani Se fossi giovane oggi, beh, punterei sulle lingue e andrei a lavorare all’estero. Perché il panorama italiano è faticoso Certo, il nostro studio non ha risentito della crisi, perché ha una esperienza ventennale e una struttura solida, però se Tiziana, tanto intraprendente tenga presente che ero avvocato di prima generazione, ho aperto questo studio dal nulla son stata bravina, obiettivamente, da giovane! , se questi stessi sforzi, Tiziana, avesse dovuti farli oggi, non so se avrebbero dato lo stesso risultato, anzi penso proprio di no, perché il panorama è molto più complicato, è molto più difficile». Sarebbe stato impossibile, oggi, il suo percorso professionale? «Sì, se oggi avessi 25 anni e dovessi ricominciare, non credo che riuscirei ad avere, nel giro di vent’anni, gli stessi risultati, e, a costruire quello che ho costruito oggi » Allora, strada non praticabile, quella della professione legale, oggi, per un giovane «No, non è che non è praticabile, è solo molto faticosa, molto impegnativa, anche alla luce dei problemi del sistema. Per farle un esempio noi ci occupiamo anche del risarcimento del danno da morte, pratiche importanti, anche a livello morale e umano, che danno un senso a ciò che si fa quotidianamente Però, in queste pratiche giudiziali abbiamo difficoltà enormi perché a volte i giudizi durano dieci anni, i rinvii vengono dati di anno in anno. Trovo avvilente andare in udienza e mettermi a giocare su ‘Facebook’ per cinque ore, in attesa di essere chiamata, e con me altri 200 avvocati in quella stessa aula, che perdono letteralmente la loro giornata in attesa di essere convocati da un giudice per un processo che non serve a niente, perché, di fatto, purtroppo, il nostro processo civile è scritto, non è scritto e orale, come dice il nostro Codice di procedura! Così, io, dopo che ho passato cinque ore a giocare su ‘Facebook’, arrivo lì e debbo chiedere il rinvio per precisazioni delle conclusioni. Ma è vita questa? Questo è un Paese civile? E poi, sempre per farle un esempio, sei in Corte d’Appello per l’ottenimento dell’equo indennizzo per i procedimenti, e viene fissata un’udienza, la prima udienza, dopo due anni? Ripeto è un Paese civile? Ai giovani dico semplicemente “andatevene!”. Perché questo è un Paese in cui non funziona niente, dove la giustizia è utopia! Per non parlare, poi, del penale, dove la gente è indagata per anni e anni e anni, lo Stato spende soldi, i processi non si fanno Per questo, sarò sincera, mi piace fare l’avvocato d’azienda faccio cose che non mi legano al Tribunale». Tinte foschissime, quindi. Ma gli avvocati non possono certo pensare di essere esenti da colpe «La verità è che, in Italia, il lavoro più importante è accentrato nelle mani di pochi studi, e ci sono però una miriade di piccoli studi. I numeri dicono che ci sono almeno duecentomila avvocati in Italia, ma se il lavoro lo fanno in diecimila in tutt’Italia, gli altri centonovantamila che cosa combinano? Allora, se ci sono avvocati talmente disperati da portare in Cassazione casi assurdi, non è neanche colpa loro, è colpa di un sistema che, da un lato, ha dato il titolo a tutti quanti, e dall’altro limita molto anche la comunicazione degli studi. Per come la vedo io, o facciamo un albo serio, con una selezione seria, oppure apriamo al mercato e la selezione la fa il mercato ma, allora, non ci devono essere vincoli, ad esempio, sulla pubblicità. Aggiungo che i problemi dipendono dalle tare del sistema, ma anche dalla disinformazione delle persone». Cosa intende dire?«A volte vengono da noi persone massacrate in giudizi già persi, e che hanno pagato pure un sacco di soldi! Certo, nessuna causa è in partenza persa o vinta, ma tu hai la ragionevole certezza che con quei dati puoi arrivare a certi risultati. Poi, certo, se ti capita il giudice matto, allora dovrai fare appello e ricorso in Cassazione, ma mediamente i giudici non sono matti Allora, quando i potenziali clienti vengono da me, e considero la causa persa, non è che per prendermi 5mila euro d’acconto gli porto avanti altri dieci anni una pratica inutile. Io non lavoro così, anche perché lavoro sulla condivisione del risultato». Allora, vede, mi dà ragione gli avvocati hanno colpe notevoli! La domanda da un milione di dollari è questa come uscire da questa situazione? «Il problema è quale può essere la via d’uscita per questo Paese. Ebbene, in questo momento, in cui l’italiano ha perso di vista ‘giusto-sbagliato’, ‘efficiente-inefficiente’, si deve lavorare sulla mentalità degli italiani, si devono riformare le istituzioni, le norme, la organizzazione della burocrazia. Ma questo discorso è complessivo, e non è la categoria degli avvocati a poter cambiare le cose». Ad esempio, il suo studio come ha fronteggiato la crisi? «Beh, ti racconto il nostro percorso. Per un periodo non abbiamo avuto voglia di ingrandirci – e comunque non siamo mai stati più di dodici persone –, così, di fronte a una grossa mole di lavoro, ci siamo concentrati tantissimo sul diritto commerciale, che è diventato quindi il core business, a discapito di altre materie, come il diritto di famiglia, che per un periodo abbiamo scelto di mettere da parte. Adesso, anche alla luce della crisi, abbiamo ricreato delle unità professionali che si occupano di varie materie così facciamo nuovamente diritto di famiglia, risarcimento danni, responsabilità professionale dei medici, un po’ di civile generalista, e commerciale, ovviamente. Abbiamo fronteggiato la crisi ampliando nuovamente il range di servizi che offriamo, mentre prima ci eravamo più focalizzati sull’azienda». Ma, sia sincera, una volta vinto ‘MasterChef’, non le è venuto il pensiero di dedicarsi completamente alla cucina? «No, non mi è mai venuto, perché quello è un settore altrettanto triste, purtroppo. Sì, perché la ristorazione è in crisi profonda in Italia. Io avevo le risorse, la pubblicità, tutto, in questo momento, per aprire un ristorante, magari avendo uno chef, creando una mia linea, dando disposizioni, perché in ogni ristorante, è normale, c’è un executive chef. Ci ho pensato, ho fatto anche decine di business plan per valutarne l’opportunità e la fattibilità. Ma non è possibile perché se vuoi fare tutti gli scontrini, pagare le tasse, tenere il personale in regola, e servire cibo di qualità, una buona cucina, in un bel posto il gioco non vale la candela. Quasi non c’è redditività. Se sei molto bravo e ti va tutto bene, hai una redditività di un impiegato, e devi rischiare un capitale notevole, per mettere su un ‘gioco’ molto importante, magari con 40mila euro di spese fisse al mese, per andarne a guadagnare, forse, 2-3mila al mese? Cui prodest? Il gioco non vale la candela! La ristorazione in Italia, purtroppo, si regge sull’evasione! È un dato di fatto, perché una volta che ho analizzato, dati alla mano, con un lavoro scientifico, mi son detta “ma com’è possibile che sono ancora tutti aperti?”. E ho capito che l’evasione è l’unica risposta, e non li condanno neanche, forse perché il sistema fiscale non ti consente di vivere. Ci vorrebbe una riforma sostanziale le tasse non possono superare il 30-40% del reddito complessivamente. Attualmente tra quelle dirette e indirette, regionali, provinciali, statali, sulla casa, va via l’80% del reddito un delirio. Ecco, se proprio devo aprire un ristorante, lo faccio all’estero, non in Italia. Però, oggi, penso ho la mia attività che funziona qui in Italia, perché andar via? Se fossi giovane, lo farei, ma ho 43 anni, un mio lavoro qui, un senso di responsabilità anche nei confronti dei miei colleghi e collaboratori, e finché le cose vanno, non c’è ragione perché si prendano altre strade». Quindi, la cucina resta una passione, e la professione legale è prioritaria, per lei. Allora, quale può essere il modo per affrontare il futuro, per un avvocato? «Gli avvocati devono cambiare mentalità. Innanzitutto gli studi professionali, al 90%, vengono gestiti come botteghe artigiane, mentre nel resto del mondo li gestiscono come delle imprese. Rispetto alle ‘law firm’ inglesi e americane, oramai diffuse in tutto il mondo, l’Italia è rimasta un Paese di piccoli ‘artigiani’ del diritto, magari di qualità, ma, comunque, con dei limiti organizzativi e di performance nei risultati. Bisogna lavorare con dei processi che, come in tutte le aziende, vanno seguiti, ci devono essere delle regole, bisogna controllare l’operato, bisogna informatizzarsi noi, ad esempio, abbiamo tutti i fascicoli scannerizzati, salvati su un server. Allo stesso tempo, serve anche un’analisi statistica dei risultati noi vediamo quanto dura una pratica, chi l’ha gestita, la redditività per noi e per il cliente. Ovviamente fare queste analisi, a fine anno, è un impegno, è un lavoro più da manager che da avvocati, però va fatto per rendersi conto di quello che abbiamo fatto, di dove stiamo andando, di cosa abbiamo sbagliato, in cosa siamo stati bravi e in cosa possiamo migliorare Altrimenti non si va da nessuna parte! Bisogna lavorare, comunque, con un piano quinquennale, bisogna porsi degli obiettivi, bisogna sapere dove si vuole arrivare, che tipo di attività si vuole fare non si può lasciare al caso! Ecco, è necessaria un’organizzazione lo studio legale va gestito come una piccola impresa, non si può gestire più all’antica maniera!» Questione di mentalità, quindi «Pensiamo a cucina e diritto, non c’entrano nulla, però in entrambi i settori serve organizzazione del lavoro e forma mentis. Anche perché se tu riesci ad ottenere un obiettivo, sei fortunato se ne ottieni due fortunatissimo ma se ne ottieni tre forse c’è una ragione ».