L'azione di responsabilità dell'appaltatore può essere esercitata anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile

L'azione di responsabilità dell'appaltatore in caso di evidente pericolo di rovina o gravi difetti dell'opera può essere esercitata anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile sotto la propria direzione e controllo, qualora lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell'opera.

Con la sentenza n. 2724/14 depositata il 6 febbraio scorso, la Corte di Cassazione si occupa dei rimedi inerenti la contestazione dei vizi del bene nell’ambito di una compravendita immobiliare, giungendo ad estendere al venditore l’applicazione dell’art. 1669 c.c La Suprema Corte spiega come l'azione per difetti di costruzione in parola sia proponibile nei confronti del venditore, non solo quando abbia provveduto a costruire l’immobile con propri mezzi e gestione diretta di uomini, ma anche qualora si sia avvalso di soggetti terzi, mantenendo un controllo su quanto realizzato. Il caso. Due coniugi acquistavano da un’impresa edile un appartamento dalla stessa costruito. Una volta andati ad abitare si avvedevano che l’immobile era affetto da gravi vizi. In particolare, nella pavimentazione in cemento e graniglia di alcune vani, si erano manifestati dei distacchi in diversi punti, così come nel bagno ove si era prodotta una grossa crepa. I cennati difetti erano di tale entità da comportare per forza la sostituzione delle relative parti. Convenivano così l’impresa edile dinanzi al Tribunale domandando la riduzione del prezzo nella misura di euro 15mila, oltre al risarcimento dei danni. Costituitasi l’impresa edile, questa eccepiva di aver portato a termine l’immobile degli attori solo relativamente alle opere strutturali ed impiantistiche, mentre le finiture interne pavimento e levigatura erano state realizzate con materiali forniti direttamente dai proprietari e da altre ditte esterne. L’intervento di tali ditte, era avvenuta, a dire della convenuta, su richiesta degli acquirenti, senza che si instaurasse alcun rapporto di subappalto con la ditta venditrice. Veniva così autorizzata la chiamata in garanzia delle ditte esterne, nei cui confronti la società venditrice spiegava domanda di manleva. Responsabile la società venditrice? Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e parzialmente quella di manleva, dichiarando, a seguito di espletamento di CTU, la responsabilità della società venditrice per culpa in vigilando o in eligendo . Attribuiva una corresponsabilità nella misura del 15% alla ditta che aveva provveduto a montare il pavimento, mentre escludeva ogni addebito nei confronti di quella che aveva eseguito la stuccatura e la levigatura dello stesso. Interponeva appello la società venditrice lamentando il travisamento dei fatti da parte del giudice di prime cure, a fronte di una CTU ritenuta inattendibile, reiterando le domande di rivalsa. Spiegava appello incidentale anche la ditta presunta corresponsabile, deducendo la tardività della denuncia dei vizi nei suoi confronti. La Corte d’Appello accoglieva l’eccezione di decadenza dalla garanzia sollevata dalla ditta appellante. A sostegno della decisione assunta, la Corte territoriale evidenziava che il rapporto intercorso tra i comproprietari e l’impresa edile fosse da inquadrare nello schema della compravendita, avendo i primi acquistato il bene quando era ancora in corso di ultimazione. Costituiva dunque obbligazione tipica del venditore quella di consegnare un bene perfetto ed immune da vizi. Vizi questi che si erano tuttavia manifestati in modo incontrovertibile ed erano indiscutibile effetto di una cattiva esecuzione del montaggio della pavimentazione. Difetti peraltro emersi dopo breve tempo dalla istallazione della pavimentazione. Era così che nei confronti della ditta terza chiamata in causa ricorreva la diversa figura contrattuale dell’appalto, con applicazione dei rimedi ex art. 1667 c.c Per tali ragioni la sentenza di primo grado era sottoposta a riforma, quanto alla statuizione sulle spese processuali nei rapporti interni fra impresa committente e ditte chiamate in garanzia, alla luce della soccombenza della prima. Ricorre per Cassazione l’impresa edile. Nessun rapporto era intercorso tra l’impresa edile e le ditte chiamate in causa? Per quel che qui interessa, l’impresa edile innanzi tutto si duole delle risultanze della CTU che, a suo dire, sarebbe inattendibile su diversi punti di merito. Tanto che il giudice del gravame sarebbe incorso in errores in procedendo , non avendo motivato in modo puntuale in ordine alle specifiche critiche tecniche sollevate. In secondo luogo lamenta come nel giudizio d’appello non fosse stata valorizzata la circostanza che nessun rapporto giuridicamente vincolante era intercorso con le ditte chiamate in causa. Una delle quali aveva provveduto autonomamente al montaggio del pavimento, e l’altra alla stuccatura, in assenza di qualsivoglia prova di vigenza di un contratto di subappalto. Controllo diretto nella costruzione dell’opera. Per gli Ermellini il primo motivo di ricorso è inammissibile. La decisione della Corte d’appello è immune da vizi per aver correttamente inquadrato il rapporto intercorso con l’impresa edile nell’ambito della compravendita immobiliare. Questo a seguito di un’attenta valutazione delle clausole inserite nel regolamento convenzionale sottoscritto tra le parti, per poi porle in relazione con la CTU. Per cui ogni diversa costruzione è inammissibile in quanto propositiva di una diversa valutazione delle prove, fondate, per l’appunto, su una differente lettura dell’accertamento peritale. La Corte di Cassazione ritiene poi infondato il secondo motivo di ricorso, giacché l’aver affidato ad altre imprese l’attività di finitura dell’immobile comporta l’applicazione dell’art. 1669 c.c Come noto, l'art. 1669 c.c. disciplina le conseguenze dannose dei vizi costruttivi che incidano in maniera determinante su elementi strutturali essenziali dell’opera es. solidità, efficienza, durata . Da ciò discende come l’articolo de quo si applichi anche nei confronti del venditore nel momento in cui questi assuma nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti un controllo diretto nella costruzione dell’opera. Concludendo. Operativamente l’art. 1669 c.c. configura una responsabilità extracontrattuale di natura pubblica, prevista per finalità di interesse generale che travalica i rapporti negoziali tra le parti. L’azione di responsabilità può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia realizzato l’immobile sotto la propria responsabilità, senza che abbia rilievo l’identificazione del sotteso rapporto giuridico in relazione al quale la costruzione è stata realizzata. La responsabilità è avulsa dal rapporto negoziale appalto o vendita in base al quale il bene sia pervenuto, dal costruttore o venditore, nella sfera di dominio del soggetto che abbia patito pregiudizio. La sentenza in commento, dunque, si discosta da quel risalente orientamento Cass., Sez. II civ., n. 5514/1994 che non riteneva applicabile l’art. 1669 c.c. qualora il convenuto fosse stato mero venditore. Ciò che rileva infatti è che il costruttore, che sia anche venditore, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o abbia esercitato il potere di sorveglianza sullo svolgimento dell’attività altrui, così da ritenere l’opera realizzata in ogni caso attribuibile alla sua sfera giuridica. Nel caso di specie, la motivazione del giudice d’appello è risultata incensurabile in quanto, da tutte le circostanze di prova, era emersa nei soli confronti dell’impresa edile venditrice l’assunzione nei confronti degli acquirenti della diretta responsabilità nella costruzione e completamento dell’opera.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 ottobre 2013 – 6 febbraio 2014, n. 2724 Presidente Nuzzo – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 4 ottobre 1990 M.E. e P.C. evocavano, dinanzi al Tribunale di Macerata, l'Impresa Edile C.N. e premesso di avere acquisto dalla convenuta l'appartamento nel quale abitavano, dalla stessa edificato, esponevano che l'immobile presentava dei vizi, in particolare nella pavimentazione in cemento e graniglia di alcune stanze si erano manifestati dei distacchi in più punti, con creazione di fessurazioni e sgretolamento dei margini, e in quella del bagno una grossa crepa, difetti che non sarebbe stato possibile eliminare se non con la sostituzione, per cui chiedevano la riduzione del prezzo nella misura di L. 15.000.000, oltre al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, si costituiva l'impresa convenuta, che nel contestare le pretese attoree, affermava di avere portato a termine nell'immobile di proprietà degli attori solo le opere strutturali ed impiantistiche, mentre le finiture interne erano state realizzate con materiali forniti direttamente dagli attori e da altra ditta esterna, sempre su richiesta degli acquirenti, senza che si creasse alcun rapporto di subappalto con la venditrice, in particolare il pavimento in graniglia era stato acquistato dalla A. Tessieri s.a.s. di Lucca, semplicemente segnalate agli acquirenti dalla Impresa convenuta la Ditta S.M. , per la posa in opera, e la Ditta A.V. , per la levigatura, del resto - stante la particolarità del pavimento - si era interessata direttamente la P. delle modalità di posa in opera, del tipo di stucco da usare, della levigatura, seguendo personalmente i lavori tanto precisato, chiedeva ed otteneva di chiamare in giudizio le predette ditte, nei cui confronti proponeva domanda in manleva, e i cui titolari, nel costituirsi, negavano ogni responsabilità. Istruita la causa anche con l'espletamento di consulenza tecnica di ufficio, il giudice adito accoglieva la domanda attorea e parzialmente quella in manleva, dichiarando la responsabilità dell'Impresa convenuta per culpa in vigilando o in eligendo, quantificato in Euro 5.977,99 la riduzione del prezzo di compravendita spettante agli attori, oltre ad attribuire alla Ditta S.M. , che aveva provveduto a montare il pavimento, una corresponsabilità nella misura del 15%, esclusi gli addebiti nei confronti della Ditta A.V. che aveva provveduto alla stuccatura ed alla levigatura del pavimento in contestazione . In virtù di rituale appello interposto dalla Impresa Edile C.N. , con il quale lamentava il travisamento dei fatti da parte del giudice di prime cure, per l'erronea rappresentazione degli stessi da parte dell'inattendibile c.t.u. in atti, ribadite le difese svolte in primo grado e le domande di rivalsa, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza degli appellati M. e P. , che spiegavano pure appello incidentale per ottenere un maggiore importo anche a titolo risarcitorio, oltre alla rivalutazione monetaria non riconosciuta dal primo giudice, costituite le chiamate ditte S. e A. , spiegato anche dalle predette appello incidentale, la prima, per avere il primo giudice ritenuto una sua corresponsabilità, dedotta la tardività della denuncia dei vizi nei suoi confronti, la seconda, sulla compensazione delle spese processuali, respingeva l'appello principale e quello incidentale dei M. - P. , in accoglimento dell'appello incidentale delle Ditte chiamate in giudizio, rigettato quello proposto dagli originari attori, accoglieva l'eccezione di decadenza dalla garanzia dell'appellante sollevata dal S. e condannava l'appellante alla rifusione dei due terzi delle spese processuali dei due gradi quanto alla ditta S. e per intero quanto alla ditta A. , confermata per il resto la sentenza di primo grado. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava preliminarmente che la fattispecie in esame era inquadrabile - relativamente al rapporto fra il M. e la P. , da un lato, e la Impresa C. , dall'altro, nello schema della compravendita avendo i primi acquistato il bene quando era ancora in corso di ultimazione, prevedendo la convenzione stipulata la facoltà per i promissari acquirenti di esprimere le loro preferenze per le tipologie di finiture, la cui lavorazione però rimaneva nell'ambito della responsabilità del promittente venditore, costituendo tipica obbligazione del venditore quella di consegnare un bene idoneo all'uso abitativo pattuito, cui incombeva l'obbligo di controllare, prima della consegna al compratore, la corretta esecuzione dei lavori affidati ed eseguiti da terzi. Ferma la responsabilità esclusiva e diretta del costruttore-venditore nei confronti degli acquirenti, era indubbio che sussistevano i vizi lamentati dagli originari attori alla pavimentazione, che si erano manifestati come indiscutibile effetto di una cattiva esecuzione del montaggio della stessa, con il distacco della stuccatura fra le marmette dipesi da irregolare realizzazione delle fughe” fra le mattonelle e da omessa applicazione di una rete di irrigidimento del massetto sottostante la pavimentazione , la disomogeneità di livello e di presa, le fessurazioni dei rivestimenti basali del bagno, difetti tutti verificatesi a breve distanza temporale dalla sua installazione, per cui nei rapporti interni - stante la ricognizione delle fasi progressive e perfettive del manufatto effettuata dal c.t.u. - l'azione di rivalsa andava accolta esclusivamente nei confronti del S. , autore esclusivo della posa in opera, eseguita dalla ditta A. la sola levigatura, da ricondursi ad attività di rifinitura ulteriore. Aggiungeva quanto alla tempestività della denuncia dei vizi, contestata dal chiamato fin dalle prime difese, che nella specie ricorreva la figura contrattuale dell'appalto, in tal senso deponeva sia l'organizzazione tecnico-ecomica della impresa S. sia il contratto sottoscritto dalle parti il 31.1.1988, per curai sensi dell'art. 1667 c.c., il C. avrebbe dovuto provvedervi entro i prescritti 60 giorni, e che non poteva essere condiviso l'assunto del primo giudice secondo il quale, pervenuta denuncia dei difetti al C. da parte degli acquirenti con lettera racc. del 24.1.1990, al sopralluogo presso la unità abitativa de qua effettuato il successivo 3.2.1991 avrebbero preso parte oltre al C. , anche il S. con l'A. , giacché non vi era in atti la prova di detta presenza, di cui si parlava solo nell'atto introduttivo del giudizio, ma non ammessa dal chiamato, pertanto andava affermata la decadenza dell'originario convenuto dall'azione di rivalsa in difetto di una qualunque articolazione di mezzo istruttorie in tal senso. Per tali ragioni la corte territoriale provvedeva alla riforma della sentenza di primo grado quanto alla statuizione sulle spese processuali nei rapporti interni fra la impresa committente e le ditte chiamate, in considerazione della soccombenza della prima. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione la Impresa Edile C.N. , articolato su tre motivi, al quale hanno replicato, con separati controricorsi, M.E. e P.C. , da una parte, la Ditta A.V. , da altra, e la Ditta S.M. , da altra ancora quest'ultima ha anche presentato ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi ed illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c Memoria illustrativa è stata fatta pervenire via fax anche dai controricorrenti M. - P. . Motivi della decisione Va disposta, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso principale e del ricorso incidentale siccome proposti avverso la stessa sentenza. Il Collegio rileva, altresì, preliminarmente che è inammissibile la memoria fatta pervenire dai controricorrenti M. e P. a mezzo fax inviato alla cancelleria, sia pure spedito da quello di pertinenza del difensore indicato nel ricorso. L'art. 366 c.p.c., u.c., infatti, ammette che possano farsi a mezzo fax soltanto le comunicazioni da parte della cancelleria e le notificazioni tra i difensori, di cui agli artt. 372 e 390 c.p.c .nessuna norma consente di depositare la memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. tramite fax e, d'altro canto, nella specie non viene in rilievo neppure alcuna delle ipotesi di cui alla legge n. 183 del 1993. La tempestività del deposito, infatti, deve verificarsi con riferimento al momento in cui scadeva il termine di cui all'art. 378 c.p.c., e, d'altro canto, l'attività di deposito non può che riguardare l'atto in originale, il quale, com'è palese, in assenza di ufficialità della relazione fra la stazione che trasmette la memoria e quella presso la cancelleria che la riceve, non può essere rappresentato dalla copia fotostatica trasmessa a mezzo fax. D'altro canto, l'attività di deposito, al di fuori di espressa previsione di legge che ammetta una diversa forma, esige che l'atto originale sia rimesso nelle mani del cancelliere o del suo ausiliario dal depositante, o da un suo ausiliario, tramite accesso fisico alla cancelleria in termini, Cass. 16 ottobre 2009 n. 22033 . Ciò posto, con il primo motivo l'Impresa ricorrente denuncia la insufficiente ed omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, riguardante l'assenza della rete elettrosaldata sul secondo massetto. In altri termini, ad avviso della ricorrente, il c.t.u. dopo avere attributo in un primo momento la esistenza dei vizi alla mancanza della rete elettrosaldata di irrigidimento, per cui il distacco della colatura delle marmette in graniglia era da riferire all'assestamento del solaio non irrigidito, alla espressa contestazione della convenuta di avere apposto detta rete, il c.t.u. - richiamato a chiarimenti - ha cambiato la versione e pur riconoscendo detta apposizione, ha affermato che la rete elettrosaldata doveva essere montata anche sul secondo massetto, conclusione da ritenere inverosimile sia sotto il profilo strettamente tecnico sia alla luce delle basilari conoscenze di edilizia. Ciò nonostante la corte di merito ha ritenuto le argomentazioni addotte dall'appellante per confutare l'elaborato peritale sfornite di riscontro tecnico-scientifico, così integrando una omessa motivazione. La ricorrente, inoltre, dopo avere illustrato il mezzo sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente motivazione, deduce anche errores in procedendo, giacché a suo avviso il giudice del gravame avrebbe dovuto motivare puntualmente in ordine alle specifiche critiche di carattere tecnico sollevate dall'appellante. A corollario del mezzo è posto il seguente quesito Vi è stata insufficiente ed omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., avendo la Corte d'appello fondato la sua decisione su di un'erronea valutazione, e cioè sul fatto che fosse necessaria una rete elettrosaldata sul secondo massetto, quanto era già stata installata sul primo . Il motivo è da ritenere inammissibile sotto un duplice profilo. La sentenza ha, infatti, con motivazione che risulta congrua ed immune da vizi logici e giuridici, ampiamente argomentato la ritenuta riferibilità all'Impresa venditrice dei vizi riscontrati nella pavimentazione dell'immobile acquistato dai resistenti M. e P. . Al riguardo la Corte di appello ha motivato il suo convincimento sulla base delle risultanze istruttorie, in particolare, previo inquadramento legale della fattispecie nell'ambito della compravendita immobiliare, ha proceduto all'interpretazione delle clausole contenute nel regolamento convenzionale stipulato fra le parti, per poi porle in relazione agli esiti della consulenza tecnica di ufficio. Né peraltro risulta rilevante che dall'accertamento della causa del vizio sia emersa la concorrente responsabilità del S. , autore esclusivo della posa in opera del rivestimento del pavimento nell'appartamento, interessando detta circostanza esclusivamente i rapporti interni relativi ai soggetti legittimati rispetto all'azione di rivalsa. Sotto questo diverso profilo, pertanto, la censura è inammissibile in quanto si limita a prospettare una diversa valutazione delle prove fondata su una diversa lettura dell'accertamento peritale in contrasto con la motivata valutazione delle prove da parte del giudice di appello e, per giunta, senza neppure attingere la ratio decidendi della sentenza che ha statuito la responsabilità della ricorrente quale diretto effetto dell'atto di trasferimento, per la sua qualità di venditore - costruttore, prevista nel regolamento negoziale la facoltà degli acquirenti di esprimere le loro preferenze per la tipologia di finiture, pur rimanendo la loro realizzazione nell'ambito delle obbligazioni del venditore, di cui costituiva un obbligo tipico la consegna di un bene idoneo all'uso abitativo pattuito. Di qui l'inammissibilità del motivo anche per la mancata correlazione tra la censura con esso proposta e la ratio che sostiene la decisione impugnata. Con il secondo motivo la ricorrente principale lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare il non avere la corte considerato l'assenza di qualsivoglia rapporto giuridicamente rilevante tra l'Impresa C. e le ditte chiamate in causa. Insiste la Impresa C. nel riferire la responsabilità dei vizi riscontrati in via esclusiva alla ditta S. , esecutrice materiale della posa in opera del pavimento, ed alla ditta A. , che aveva eseguito le stuccature, essendosi ella limitata solo ad indicare le due ditte agli acquirenti e precedendo il capitolato di vendita dell'immobile la posa in opera di piastrelle in ceramica e non del particolare tipo di marmette scelte dagli acquirenti. Rilevante profilo della vicenda sul quale i giudici del merito avevano omesso qualsiasi motivazione, presumendo iuris et de iure che fosse intercorso tra le suddette ditte e l'impresa venditrice un contratto di subappalto, senza però che ne fosse stata raggiunta la prova. A conclusione del mezzo è posto il seguente quesito Vi è violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione di norme, per il fatto che il giudice di prime cure, così come la Corte di appello di Ancona, hanno omesso qualsiasi motivazione sulla eccepita assenza di qualsivoglia rapporto giuridico tra l'Impresa Edile C. e la Ditta A. e la Ditta S. , presumendo in via assoluta ed in assenza di qualsiasi prova la vigenza di un contratto di subappalto tra le stesse . La censura è infondata. Nel caso in esame, risultava né la ricorrente contesta che la C.N. , esercente l'attività di imprenditoria edile, aveva venduto l'appartamento in contestazione, dalla stessa realizzato per averne curato direttamente l'esecuzione dei lavori, pur consentendo agli acquirenti di sceglierne le finiture, ancorché queste ultime opere fossero nella specie materialmente affidate ad altra impresa mediante contratto di appalto , per cui doveva ritenersi che aveva anche l'obbligo della garanzia, con il contratto di vendita, che l'appartamento fosse stato costruito a regola d'arte, con materiali idonei, senza lesioni dei diritti dei terzi, nel pieno rispetto di tutte le norme legali e regolamentari in materia edilizia. Correttamente, quindi, è stato applicato l'art. 1669 c.c., essendo evidente, dall'ineccepibile motivazione della sentenza, che il giudice d'appello non ha considerato decisiva una o soltanto alcune delle suddette circostanze, ma, ponendo in correlazione ciascuna di esse con tutte le altre, ha ritenuto la confluenza di tutte in capo allo stesso soggetto determinante nel dimostrare che la società venditrice aveva assunto nei confronti degli acquirenti la diretta responsabilità della costruzione. D'altra parte la disposizione dell'art. 1669 c.c. configura una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti. Pertanto, l'azione di responsabilità prevista dalla suddetta norma può essere esercitata non solo dal committente contro l'appaltatore, ma anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile sotto la propria responsabilità senza che abbia rilievo la specifica identificazione del rapporto giuridico in relazione al quale la costruzione è stata effettuata cfr più di recente, Cass. 17 aprile 2013 n. 9370 e Cass. 16 febbraio 2012 n. 2238 . Ne consegue che l'applicazione dell'art. 1669 c.c. nei confronti del venditore è giustificata allorché la posizione da lui assunta nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti abbia evidenziato l'assunzione da parte del detto soggetto di una diretta responsabilità nella costruzione dell'opera. Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697, comma 2, c.c. per avere la corte di merito contraddittoriamente concluso - dopo avere condiviso la risultanza del c.t.u. in merito alla esecuzione del massetto - che restava decisivo l'argomento di prova logica per esclusione secondo cui il distacco delle stuccature era dipeso soltanto dal malgoverno delle operazioni di posa in opera, non emergendo alcuna causalità alternativa ricollegabile ad agenti causali esterni alla struttura della pavimentazione ciò nonostante - andando di contrario avviso rispetto al giudice di prime cure, che aveva risolto pragmaticamente la questione - riteneva che non fosse stata offerta la prova della tempestività della denuncia dei vizi, ponendo nel nulla le dichiarazioni degli stessi attori che avevano affermato che il sopralluogo del 3.2.1991 si era verificato alla presenza di tutte e tre le ditte. Il mezzo culmina nel seguente quesito di diritto Vi è violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione di norme, ex art. 2697, comma 2, c.c., per il fatto che risulta pacificamente ammessa la presenza del S. al sopralluogo tra le parti, e quindi tempestiva l'azione di garanzia della ricorrente di rivalsa contro il S. per i difetti della posa in opera della pavimentazione, non avendo peraltro assolto il S. al proprio onere probatorio di provare di non essere intervenuto al sopralluogo . Il mezzo è inammissibile in quanto a corollario dello stesso è posto un quesito di diritto non pertinente, avendo la sentenza impugnata escluso che vi fosse prova della presenza del S. al sopralluogo effettuato dal C. , il 3.2.1991, presso l'appartamento degli acquirenti, affermando invece che detta circostanza era stata introdotta solo con l'atto di citazione ed il chiamato non aveva fatto alcuna ammissione al riguardo, e perciò, andava affermata l'estinzione della garanzia per i vizi dell'opera consegnata per intervenuta decadenza in mancanza di prova di tempestiva denuncia degli stessi. La risposta al quesito non sarebbe dunque idonea a risolvere la questione della garanzia, in quanto in esso è presupposto un fatto intervenuta tempestiva denuncia dei vizi diverso da quello accertato mancata prova della presenza del S. al sopralluogo fra le parti . Passando all'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dal S. - che con il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1655 e 2222 c.c. nella parte in cui il giudice del gravame ha disatteso l'appello incidentale da egli proposto in relazione alla qualificazione giuridica del rapporto intercorso con C.N. ritenendo trattarsi di appalto e non di contratto d'opera e con il secondo l'omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la corte di merito affermato la responsabilità esclusiva del posatore in opera del pavimento nel determinare i vizi riscontrati, senza tenere conto che in precedenza aveva riferito la responsabilità anche alla mancata posa in opera di una seconda rete elettrosaldata - è da ritenere assorbito dal rigetto del ricorso principale. In definitiva, alla luce delle esposte ragioni, il ricorso principale va respinto, assorbito quello incidentale condizionato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di ciascuno resistente, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, sulla scorta delle attività difensive in concreto espletate dagli stessi. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in favore del S. in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, e per gli altri controricorrenti in Euro 1.200,00 ciascuno, di cui Euro 200,00 per esborsi.