Il custode non risponde dei danni provocati dalla cosa quando essi derivino dal suo mancato uso…

La presunzione di responsabilità del custode di cui alla norma dell’articolo 2051 c.c. si fonda sul potere del soggetto sulla cosa nel senso del potere di vigilarla e mantenerne il controllo in modo da impedire che il dinamismo connaturato alla stessa o lo sviluppo di un agente esterno produca un danno a terzi, con assunzione del rischio di chi ha tale potere di fatto sulla cosa. Da tanto emerge chiaramente che può invocarsi l’obbligo di manutenzione del custode e il suo mancato esercizio in relazione a danni derivanti direttamente dalla cosa e dal suo uso, non già per quelli assunti come derivanti dal suo mancato uso, impedito per evitare la produzione di danni.

Tale principio viene affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza numero 9967, depositata l’8 maggio 2014. In particolare, la predetta sentenza afferma che quando i danni lamentati si assumano derivanti dal mancato uso della cosa, impedito per ragioni di tutela della pubblica incolumità, chi assume di essere stato leso dal comportamento omissivo del custode non può invocare l’applicazione della norma di cui all’art 2051 c.c Il fatto. La controversia trae origine dalla domanda spiegata da un elettrauto il quale citò in giudizio la P. A. al fine di ottenere l’integrale ristoro dei danni per non aver potuto svolgere l’attività di elettrauto nell’officina di proprietà, costruita con regolare concessione edilizia e sita su una strada comunale nella quale il traffico era stato interdetto in forza di un’ordinanza sindacale – antecedente alla concessione edilizia – che il Comune non aveva provveduto a rendere agibile negli anni successivi mediante il ripristino e l’apertura al traffico. Il Tribunale, accolta l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva in capo al Comune, rigettò comunque la domanda nel merito perché l’attore non risultava in possesso del certificato di conformità e della certificazione di agibilità del fabbricato. La Corte territoriale accolse l’impugnazione solo quanto alla mancanza del difetto di legittimazione passiva, ritenendo sussistere la legittimazione della P.A., nonché all’esistenza della documentazione ritenuta mancante in primo grado. Veniva, infine, proposto ricorso per Cassazione. L’ordinanza di chiusura al traffico, se fondata sulla tutela della pubblica incolumità, è lecita. Nelle specie, secondo il ricorrente, la Corte territoriale, avrebbe errato nel non considerare che sin dall’atto introduttivo l’attore avrebbe lamentato l’impossibilità di esercitare l’attività di elettrauto a causa della violazione dell’obbligo della P. A. di eliminare ogni situazione impediente l’ordinario uso della strada effettuando i lavori di ripristino cui si era impegnata nella citata delibera. Inoltre avrebbe parimenti errato nel non pronunciarsi in riferimento all’articolo 2051 c.c., dallo stesso attore pure invocato, nonostante la sua qualità di proprietario frontista in possesso di concessione edilizia del danneggiato e l’illegittimità della mancata esecuzione dei lavori di ripristino. Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente i giudici di legittimità ritengono che nella specie le norme di cui all’articolo 2051 c.c. non possano essere applicate in ragione del fatto che la presunzione di responsabilità del custode di cui alla norma in argomento, fonda i suoi presupposti sul potere del soggetto di vigilare e mantenere il controllo sulla cosa al fine di impedire che il suo uso produca per qualunque evenienza – sia pure causata da un agente esterno, un danno a terzi con la conseguente assunzione del rischio di chi detiene un potere di fatto sulla cosa. In particolare, emerge chiaramente che i danni lamentati dall’elettrauto dall’impossibilità dell’uso della cosa, il cui uso, tuttavia, è stato impedito in ragione dello stato di dissesto della strada la quale è stata chiusa alla circolazione proprio per impedire danni agli utenti. Concludendo. Nel caso di specie non può trovare applicazione neanche l’articolo 2043 c.c Tale norma, infatti, definisce l’area della risarcibilità con una clausola generale espressa dalla formula “danno ingiusto”, in forza della quale è risarcibile il danno che ha le caratteristiche dell’ingiustizia, cioè il danno arrecato non iure, ravvisabile nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione, quindi derivante da un comportamento non giustificato da altra norma che si risolva nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento. Il danno lamentato dal ricorrente deriverebbe dall’ordinanza di chiusura al traffico della strada la quale è tutt’altro priva di una causa giustificativa. Essa trova fondamento, infatti, nell’obbligo di evitare che la strada, della quale il Comune è custode, sia causa di danni a terzi in ragione dello stato di dissesto. Pertanto, l’esclusione del “danno ingiusto” comporta la perdita di rilievo dell’ulteriore profilo in ordine all’esistenza o meno di un interesse giuridicamente protetto in capo al preteso danneggiato e in ordine alla possibilità che tale interesse possa essere qualificato, come nella specie, dall’essere il soggetto titolare di una concessione edilizia rilasciata successivamente alla chiusura della strada.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 febbraio – 8 maggio 2014, numero 9967 Presidente Carleo – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. N.B. con atto notificato nel gennaio 1995 convenne in giudizio il Comune di Villa San Giovanni, chiedendo il risarcimento del danno per non aver potuto svolgere l'attività artigianale di elettrauto nella officina di proprietà, costruita nel 1989 con regolare concessione edilizia, sita su una strada comunale nella quale il traffico era interdetto da una ordinanza sindacale dei 1984, che il Comune non aveva provveduto a rendere agibile negli anni successivi mediante il ripristino e l'apertura al traffico. Ai fini del danno patito, dedusse di essere stato costretto ad affittare altro locale in un paese vicino per svolgere l'attività di elettrauto di aver contratto un mutuo per la costruzione dell'immobile di aver stipulato il contratto di fornitura elettrica di aver provveduto al pagamento delle imposte relative all'immobile. Specificò all'udienza per la precisazione della domanda che nell'ordinanza sindacale, emanata dopo che, durante i lavori eseguiti dalla ditta incaricata dal Comune C. era crollato un muro di contenimento, il Comune aveva ordinato il ripristino della strada alla stessa ditta, con avvertenza che sarebbero stati eseguiti in danno della stessa e che, invece, i lavori necessari al ripristino non erano stati mai eseguiti e la strada era rimasta chiusa al traffico. Il Comune eccepì il difetto di legittimazione passiva, per non essere certa l'appartenenza della strada al patrimonio dei Comune o della Provincia, e che lo stato di intransitabilità era attribuibile alla ditta C Il Tribunale ritenne che la strada non appartenesse al Comune e, «comunque», rigettò la domanda nel merito perché l'attore non era in possesso del certificato di conformità e della certificazione di agibilità del fabbricato. La Corte di appello di Reggio Calabria accolse l'impugnazione quanto alla mancanza dei difetto di legittimazione passiva, ritenendo la legittimazione del Comune. Accolse anche il motivo di appello relativo all'esistenza della documentazione del nulla-osta igienico sanitario e di agibilità del locale. Nel merito rigettò la domanda sentenza dei 14 luglio 2010 . 2. Avverso la suddetta sentenza B. ricorre per cassazione con due motivi. Resiste con controricorso il Comune. Motivi della decisione 1. Secondo la Corte di merito, atteso che il risarcimento del danno ex articolo 2043 cod. civ. presuppone un comportamento illecito del Comune, lo stesso non può individuarsi nel mancato ripristino della viabilità della strada poiché è pacifico che il B. conosceva lo stato dei luoghi già prima di iniziare a costruire l'immobile tanto è vero, aggiunge la Corte, che solo in appello l'attore ha giustificato la domanda con l'aspettativa ingenerata dalla circostanza che nella stessa ordinanza si faceva riferimento ai lavori di ripristino. Comunque, sostiene la Corte, anche a voler considerare il mancato ripristino, l'attività del Comune non è illecita. L'ordinanza di chiusura al traffico è fondata sulla tutela della pubblica incolumità ed è lecita. Rispetto a tale attività il B. non vanta né un diritto soggettivo, né un interesse legittimo, ma, semmai, un interesse di mero fatto. 2. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 112 cod. proc. civ., 2043 e 2697 cod. civ., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso. Con il secondo si deduce omessa pronuncia e violazione di legge, in riferimento all'articolo 112 cod. proc. civ. e agli articolo 2051 e 2055 cod. civ., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte avrebbe errato nel non considerare che sin dall'atto introduttivo l'attore aveva lamentato l'impossibilità di esercitare l'attività di elettrauto in collegamento con la violazione dell'obbligo dell'amministrazione di eliminare ogni situazione impediente l'ordinario uso della strada effettuando i lavori di ripristino cui si era impegnata nella stessa delibera del 1984, invocando all'udienza di precisazione delle domande la violazione degli articolo 2043 e 2051 cod. civ. e non la lesione di una aspettativa che il Comune aveva rilasciato la concessione edilizia, nel 1988 e la certificazione di inizio attività, nel 1989 come risultante anche dalla CTU e dai relativi allegati primo motivo . Inoltre, avrebbe errato nel non pronunciarsi in riferimento all'articolo 2051 cod. civ., pure invocato, nonostante la qualità di proprietario frontista in possesso di concessione edilizia del danneggiato e l'illegittimità della mancata esecuzione dei lavori di ripristino. Per la stretta connessione, le censure vanno trattate congiuntamente e sono prive di pregio, con conseguente rigetto del ricorso. 3. Non si controverte più della legittimazione passiva del Comune, non risultando impugnata la relativa statuizione della Corte di appello, con conseguente giudicato sul punto. Né è controversa la giurisdizione del giudice ordinario. 4. La Corte di merito, e prima il Tribunale, hanno qualificato e esaminato la domanda attorea, che pure aveva richiamato la violazione dell'articolo 2051 cod. civ., in riferimento all'articolo 2043 cod. civ. Il ricorrente denuncia la mancata applicazione dell'articolo 2051 cod. civ., lamentando omessa pronuncia secondo motivo . Dalla condotta omissiva del Comune, che non avrebbe eseguito o fatto eseguire i lavori di ripristino, i quali avrebbero consentito l'apertura al traffico della strada, in collegamento con l'obbligo di custodia e del connesso obbligo di manutenzione, deriverebbe, secondo il ricorrente, la presunzione di responsabilità del Comune, nei confronti dei danneggiato, proprietario frontista, in possesso di concessione edilizia. 4.1. L'invocazione dell'applicabilità dell'articolo 2051 cod. civ. non è pertinente. Se solo si considera che la presunzione di responsabilità dei custode, di cui alla norma in argomento, si fonda sul potere dei soggetto sulla cosa, nel senso del potere di vigilarla e mantenerne il controllo in modo da impedire che il dinamismo connaturato alla stessa o lo sviluppo di un agente esterno produca un danno a terzi, con assunzione dei rischio di chi ha tale potere di fatto sulla cosa, emerge chiaramente che l'articolo 2051 cit. non viene in questione se, come nella specie, i danni lamentati si assumano derivanti dal mancato uso della cosa se i danni derivino, secondo il sostanziale assunto del ricorrente, proprio dall'impossibilità dell'uso della cosa, il cui uso è stato impedito con ordinanza sindacale che, in ragione dello stato di dissesto della strada, ha impedito la circolazione per evitare danni agli utenti. In definitiva, può invocarsi l'obbligo di manutenzione del custode e il suo mancato esercizio in relazione a danni derivanti direttamente dalla cosa e dal suo uso, non certamente per quelli assunti come derivanti dal mancato uso, impedito per evitare la produzione di danni. 5. Né la responsabilità dei Comune può trovare fondamento nel generale articolo 2043 cod. civ. La questione all'attenzione della Corte, al quale il Collegio reputa doversi dare risposta negativa, è «se in capo al proprietario di un immobile frontista della strada comunale, costruito sulla base di concessione edilizia rilasciata nel 1989 dal Comune per essere adibito ad officina di elettrauto, possa ravvisarsi il diritto al risarcimento di un danno, non avendo potuto utilizzare l'immobile per lo svolgimento dell'attività artigianale, ritenendolo ingiusto per avere l'amministrazione omesso di effettuare le opere di ripristino della strada, necessarie in ragione del dissesto determinatosi durante ai lavori affidati ad una impresa, così lasciandola interdetta al traffico sin dall'ordinanza, emanata in epoca precedente 1984 la concessione edilizia». 5.1. La norma primaria sulla responsabilità aquiliana definisce l'area della risarcibilità con una clausola generale espressa dalla formula danno ingiusto , in forza della quale è risarcibile il danno che ha le caratteristiche dell'ingiustizia, cioè il danno arrecato non iure, che è ravvisabile nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione, quindi derivante da un comportamento non giustificato da altra norma, che si risolva nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento. Per escludere la risarcibilità del danno lamentato dal ricorrente è sufficiente soffermarsi sulla mancanza del carattere di ingiustizia del danno. Invero, il danno lamentato deriverebbe dalla ordinanza di chiusura al traffico della strada, la quale è tutt'altro che priva di una causa giustificativa essa trova fondamento, infatti, nell'obbligo di evitare che la strada, della quale il Comune è custode, sia causa di danni a terzi in ragione dello stato di dissesto. Né, in questa sede è in discussione la legittimità dell'ordinanza per profili suoi propri. Né può individuarsi l'ingiustizia nella scelta dell'amministrazione comunale di non riparare la strada o di non farla riparare in danno dell'impresa che aveva eseguito i lavori dai quali, secondo la prospettazione attorea, sarebbe derivato il dissesto , cui è conseguita la necessità dell'ordinanza di chiusura per evitare danni a terzi e, quindi, a tutela della pubblica incolumità. Non si può dubitare, infatti, che a legittimare la scelta di non eseguire i lavori di manutenzione vi è la discrezionalità nella scelta delle priorità di intervento, propria dell'azione amministrativa, con il limite esterno dei neminem laedere, qui non in rilievo per le ragioni suddette, stante la presenza dell'ordinanza di chiusura al traffico della strada. 5.2. L'esclusione del danno ingiusto comporta la perdita di rilievo dell'ulteriore profilo, in ordine alla esistenza o meno di un interesse giuridicamente protetto in capo al preteso danneggiato e in ordine alla possibilità che tale interesse possa essere qualificato, in particolare, dall'essere il soggetto titolare di una concessione edilizia rilasciata quando la strada era già chiusa. D'altra parte, nel caso di specie, ammettere la violazione del dovere di correttezza e buona fede da parte di un'amministrazione la quale, pur sapendo che non avrebbe provveduto alla riapertura della strada previa esecuzione dei lavori necessari, abbia rilasciato una concessione edilizia per lo svolgimento di un'attività produttiva su quella strada, significherebbe riconoscere un obbligo di coerenza nelle scelte discrezionali dell'amministrazione, che non è dato desumere dall'ordinamento vigente. 6. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. numero 140 dei 2012, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei Comune controricorrente delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.