Nessuna neutralizzazione del periodo contributivo ridotto per conquistare la pensione

Respinta la richiesta del lavoratore di vedersi riliquidata la pensione di anzianità, escludendo i periodi di retribuzione ridotta. Decisiva la constatazione che la ‘neutralizzazione’, prevista dalla normativa, è inapplicabile quando, come in questa vicenda, i periodi contributivi ridotti servano ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico.

Periodi contributivi ‘sfortunati’, caratterizzati cioè da una retribuzione ‘contenuta’ rispetto a momenti molto più ‘felici’ per il lavoratore, e quest’ultimo punta ad ottenere una riliquidazione della pensione di anzianità, proprio escludendo gli anni di retribuzione ridotta. Ma la richiesta avanzata dal pensionato nei confronti dell’Istituto nazionale di previdenza sociale è assolutamente inutile, perché non si possono ‘neutralizzare’ i periodi contributivi, seppur poco consistenti, che, comunque, concorrono a integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico Cass., sent. numero 6966/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Retribuzione ridotta. Secondo il lavoratore, oramai in pensione, è evidente l’errore commesso dall’INPS non sono stati esclusi «i periodi di retribuzione ridotta». Ciò dà il ‘la’ alla domanda di «riliquidazione della pensione di anzianità». Ebbene, la richiesta, originariamente respinta dai giudici del Tribunale, viene ritenuta legittima dai giudici della Corte d’Appello. Questi ultimi, in particolare, evidenziano che «il diritto alla pensione matura utilizzando lo scomputo dei periodi peggiori sul piano retributivo, senza procrastinare i relativi effetti da epoca successiva al compimento dell’età per conseguire la pensione di vecchiaia». Neutralizzazione pro pensione. Pronta la reazione dell’Istituto, che, con ricorso ad hoc in Cassazione, contesta la decisione assunta in Appello, sostenendo la tesi che la «esclusione, dalla base di calcolo della pensione di anzianità, dei periodi di lavoro nei quali è stata percepita una retribuzione ridotta» può «essere consentita solo ove detti periodi siano successivi alla maturazione del requisito contributivo minimo necessario per accedere alla pensione». Ebbene, questa considerazione viene ritenuta corretta dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi, in premessa, ricordano, norme e giurisprudenza – anche costituzionale – alla mano, che, in merito al «criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile», un «limite» fondamentale è rappresentato dalla «esigenza che, nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione qualunque ne sia la natura obbligatoria, volontaria o figurativa sia destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l’effetto opposto di compromettere la misura della prestazione potenzialmente già maturata in itinere». Ciò significa che «la contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata». Ma, aggiungono i giudici, accogliendo il ricorso proposto dall’Istituto, è logico desumere «l’inapplicabilità della neutralizzazione dei periodi contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 febbraio - 25 marzo 2014, numero 6966 Presidente Coletti De Cesare – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza di cui si chiede l'annullamento, riformando la sentenza del Tribunale di Bologna, accoglieva la domanda di P.F., proposta nei confronti dell'INPS, avente ad oggetto la riliquidazione della pensione di anzianità, dalla decorrenza originaria, escludendo dal computo i periodi di retribuzione ridotta. A fondamento del decisum la Corte del merito, richiamando la sentenza numero 9090 del 2000 di questa Corte, poneva il rilievo secondo il quale il diritto alla pensione matura utilizzando lo scomputo dei periodi peggiori sul piano retributivo, senza procrastinare i relativi effetti da epoca successiva al compimento dell'età per conseguire la pensione di vecchiaia. Avverso questa sentenza l'INPS ricorre in cassazione sulla base di un'unica censura, illustrata da memoria. La parte intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Con l'unico motivo l'INPS, deducendo violazione dell'articolo 3 della legge 29 maggio 1982 numero 297, pone il seguente interpello se la esclusione dalla base di calcolo della pensione di anzianità dei periodi di lavoro nei quali è stata percepita una retribuzione ridotta possa essere consentita solo ove detti periodi siano successivi rispetto alla maturazione del requisito contributivo minimo necessario per accedere alla pensione . La censura è fondata. Occorre prendere le mosse dalla sentenza numero 264 del 1994 della Corte Costituzionale con la quale si è sancito il principio secondo cui, posta la discrezionalità del legislatore nell'operare scelte in ordine alla individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, risulta palesemente contrario al principio di razionalità - implicante l'esigenza di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia e di equità - che dall'applicazione del meccanismo previsto dal nostro sistema previdenziale per la determinazione di tale retribuzione, il quale stabilisce che questa sia costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite durante il rapporto di lavoro oppure corrispondenti o a periodi riconosciuti figurativamente o a eventuale contribuzione volontaria , risultante - per una presunzione di maggior favore verso il lavoratore - dal solo ultimo periodo lavorativo di 260 settimane, consegua, nel caso in cui in tale lasso di tempo debbano venire ricompresi periodi di contribuzione obbligatoria di importo notevolmente inferiore alla contribuzione precedente e non utili per l'anzianità contributiva minima una diminuzione del trattamento pensionistico del soggetto rispetto a quello che gli sarebbe spettato se non avesse dovuto effettuare dette diverse contribuzioni il verificarsi di una tale eventualità, infatti, oltre che irragionevole e ingiusto, incide sul principio di proporzionalità tra pensione e quantità e qualità di lavoro prestato e sulla garanzia previdenziale, di cui, rispettivamente, agli articolo 36 e 38 della Costituzione. La Corte Costituzionale, pertanto, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 3, ottavo comma, legge 29 maggio 1982, numero 297, nella parte in cui non prevede che, nel caso di esercizio durante l'ultimo quinquennio di contribuzione di attività lavorativa, meno retribuita, da parte del lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell'età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell'anzianità contributiva minima. Con la successiva sentenza numero 388 del 1995, il Giudice delle leggi, sempre con riguardo alle modalità di liquidazione delle pensioni previdenziali, ha ancora precisato e rimarcato che la discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, incontra un limite intrinseco nella esigenza - fondata sui valori di giustizia e di equità connaturati a principi sanciti dagli articolo 3 e 38 della Costituzione - che, nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, l'ulteriore contribuzione qualunque ne sia la natura obbligatoria, volontaria o figurativa sia destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l'effetto opposto di compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata in itinere. Da tanto consegue la regula iuris che la contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata cfr, ex plurimis, Cass. numero 29903 del 2011 . Dalla portata del suddetto principio è però agevole desumere, a contrariis, l'inapplicabilità della neutralizzazione dei periodi contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per l'accesso al trattamento pensionistico Cfr sia pure con riferimento a fattispecie diversa da quella in esame, Cass. numero 27879 del 2008 . La sentenza impugnata essendo espressione di una diversa regula iuris va, pertanto cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze che farà applicazione del principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze.