Professionista dichiarato fallito: quale importo può trattenere dai ricavi della propria attività?

In caso in cui il fallimento dell’impresa si estenda anche all’attività professionale, spetta al giudice stabilire quanto il professionista possa trattenere - entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia - dai propri guadagni professionali, tenendo conto che il fallito deve destinare parte degli introiti a soddisfare i creditori.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 26206, depositata il 22 novembre 2013. Il caso. Il giudice del Tribunale delegato al fallimento di un architetto in estensione del fallimento di s.d.f., aveva stabilito in € 900 l’ammontare della somma complessivamente attribuita al fallito ex art. 46 beni non compresi nel fallimento r.d. n. 267/42 sui redditi da lui percepiti a titolo di pensione e di attività professionale. In sede di reclamo contro questo provvedimento, il Tribunale aveva modificato la somma, autorizzando il fallito a trattenere la somma mensile di € 1.374, di cui € 1.074 corrispondenti alla pensione, disponendo l’acquisizione alla massa attiva del fallimento del residuo degli introiti. Per la cassazione del decreto il fallito ha proposto ricorso, censurando la determinazione della somma che era stato autorizzato a trattenere per la sua attività e per il mantenimento della sua famiglia. A suo dire, l’art. 46 in questione, sebbene non permetta al fallito un arricchimento, dovrebbe permettere una soddisfazione economica. Il reddito di lavoro, secondo il ricorrente, dovrebbe servire non solo a soddisfare esigenze alimentari, ma anche a realizzare la persona del fallito che lavora, a costituire un effettivo incentivo all’esercizio dell’attività professionale e a consentirgli un tenore di vita adeguato. Per la Suprema Corte la doglianza non ha fondamento. Gli Ermellini, innanzitutto, hanno distinto tra il diritto del lavoratore – autonomo, nel caso in esame – alla retribuzione, che attiene al rapporto tra datore e prestatore di lavoro, e il diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore, il quale è sancito dall’art. 2740 c.c. responsabilità patrimoniale . Il reddito di lavoro deve servire a soddisfare le esigenze alimentari, tenuto conto delle condizioni personali del fallito e della sua famiglia. L’art. 46 r.d. n. 267/42, come evidenziato da Piazza Cavour, limitando il diritto del fallito al necessario per il mantenimento suo e della sua famiglia, con riguardo alle loro condizioni personali, ne salvaguarda le esigenze insopprimibili, e, pertanto, non si espone a censure di legittimità costituzionale . Inoltre, a riguardo, il Collegio ha affermato che il regolamento del conflitto nascente dalle contrapposte aspettative è demandato al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 settembre - 22 novembre 2013, n. 26206 Presidente Rordorf – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. Con decreto 6 luglio 2006, emesso a norma dell'art. 26 r.d. n. 267 del 1942, il giudice del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto delegato al fallimento dell'architetto N I. in estensione del fallimento di s.d.f., stabilì in Euro 900,00 l'ammontare della somma complessivamente attribuita al fallito ex art. 46 r.d. n. 267 del 1942 sui redditi da lui percepiti a titolo di pensione e di attività professionale, obbligandolo alla presentazione di rendiconto trimestrale in luogo di quello annuale in precedenza stabilito, e rispetto al quale il fallito era stato inadempiente. 2. Con decreto in data 19 ottobre 2006, il Tribunale di Pozzo di Gotto, in sede di reclamo avverso detto provvedimento e in parziale riforma del medesimo, ha autorizzato il fallito a trattenere la somma mensile di Euro 1.374,00, di cui Euro 1.074,00 corrispondenti alla pensione, disponendo l'acquisizione alla massa attiva del fallimento del residuo degli introiti, e confermando il provvedimento impugnato quanto alla rendicontazione trimestrale. 3. Per la cassazione del decreto ricorre il fallito per cinque motivi. Il fallimento non ha svolto difese. Motivi della decisione 4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 42 r.d. n. 267 del 1942, avendo il giudice di merito determinato la somma a lui attribuita a titolo di reddito professionale in una misura al lordo dei ricavi e non al netto delle spese. 5. Il motivo di ricorso è inammissibile, sollevando una questione che non risulta essere stata sottoposta negli stessi termini al giudice d'appello. Dall'esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata, e dello stesso ricorso, si desume, infatti, che il medesimo errore oggi denunciato sarebbe stato presente in tutti i provvedimenti precedenti a quello impugnato, senza che sul punto sia mai stato sollecitato il controllo nel giudizio di merito. Si tratta pertanto di questione proposta inammissibilmente per la prima volta nel presente giudizio di cassazione. 6. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli art. 42 e 46 r.d. n. 267 del 1942, per la prescrizione di una rendicontazione trimestrale anziché annuale, finalizzata surrettiziamente all'esercizio di un controllo o di un'ingerenza nell'attività del fallito. 7. La denunciata violazione delle norme richiamate non è ravvisabile nella periodizzazione del rendiconto, indipendentemente dal fatto che la statuizione censurata è stata motivata con la necessità di un controllo più rigoroso a causa di precedenti inadempimenti dello stesso ricorrente. La periodizzazione non è stabilita, infatti, dalle norme invocate, ma è rimessa alla discrezionalità del giudice delegato, che la esercita avendo riguardo alla particolarità dei singoli casi. 8. Con il terzo motivo di denuncia un vizio di motivazione nella decisione impugnata, e s'indica il fatto controverso, sul quale la motivazione sarebbe insufficiente o illogica, nel rendiconto trimestrale. 9. Il motivo è inammissibile. La rendicontazione trimestrale è oggetto di un provvedimento decisorio del quale è già stata ricordata la natura discrezionale, e non è un fatto, controverso e accertato nel processo, sul quale si fonderebbe la decisione impugnata. 10. Con il quarto motivo si denuncia una violazione o falsa applicazione degli artt. 42 e 46 nella determinazione della somma che il fallito può trattenere per la sua attività, per il mantenimento della sua famiglia. Si sostiene che l'art. 46, sebbene non permetta al fallito un arricchimento, dovrebbe permettere una soddisfazione economica che realizzi i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 4 Cost. il reddito di lavoro dovrebbe servire non solo a soddisfare esigenze alimentari, ma anche realizzare la persona del fallito che lavora, a costituire un effettivo incentivo all'esercizio dell'attività professionale e a consentirgli un tenore di vita adeguato. 11. La doglianza non ha fondamento. Il diritto del lavoratore - in questo caso, peraltro, autonomo - alla retribuzione attiene al rapporto tra datore e prestatore di lavoro, mentre il diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore è sancito dall'art. 2740 c.c L'art. 46 r.d. n. 267 del 1942, limitando il diritto del fallito al necessario per il mantenimento suo e della sua famiglia, con riguardo alle loro condizioni personali, ne salvaguarda le esigenze insopprimibili, e non si espone a censure di legittimità costituzionale. Il regolamento del conflitto nascente dalle contrapposte aspettative è demandato al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in questa sede, fuori del caso dei vizi di motivazione, nell'accezione ristretta che risulta dalla testuale formulazione del 360 n. 5. 12. Con l'ultimo motivo si denuncia un vizio di motivazione nella determinazione in Euro 300,00 mensili dell'importo che il fallito può trattenere dall'esercizio dell'attività professionale, e nella limitazione alla cifra indicata e a quella percepita ma titolo di pensione Euro 1.074,00 la somma da destinare al sostentamento suo e della famiglia. 13. La questione è posta dal motivo in termini che appartengono interamente al merito della causa, ed è inammissibile in questa sede. 14. In conclusione il ricorso è respinto. In mancanza di difese svolte dal fallimento, non v'è luogo a pronuncia sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.