Agriturismo ‘tarocco’: insufficienti le produzioni proprie. Ma è comunque azienda agricola: fallimento escluso

Confermata l’ottica delineata dai giudici di secondo grado, che avevano azzerato la sentenza dichiarativa del fallimento. Non può essere sufficiente l’elemento del mancato rispetto delle quote di produzioni proprie, previste per gli agriturismi, per escludere la qualificazione di impresa agricola.

Ipotesi fallimento da cestinare per l’azienda agrituristica. Decisive sono la registrazione alla Camera di Commercio nella ‘sezione delle imprese agricole’ e la certificazione della Provincia in merito alla prevalenza del lavoro impiegato per l’attività florovivaistica e di produzione di frutta biologica. Assolutamente irrilevante il fatto che l’agriturismo non rispetti le quote – fissate a livello regionale – di prodotti propri da offrire ai clienti Cassazione, sentenza numero 8690/2013, Prima Sezione Civile, depositata oggi . Agricoltura. Snodo fondamentale, nella vicenda, è la pronunzia della Corte d’Appello, che, accogliendo il ricorso proposto dalla titolare di un’azienda agrituristica, azzera l’ipotesi del fallimento. Come è possibile considerare nulla la sentenza dichiarativa del fallimento? Semplice la risposta offerta dai giudici sussiste la «presunzione iuris tantum della qualità di imprenditrice agricola» della titolare dell’agriturismo. Fondamentali l’iscrizione alla Camera di Commercio e la certificazione rilasciata dalla Provincia. Assolutamente irrilevante, invece, il fatto che «l’imprenditrice non rispettava le proporzioni minime fra i prodotti propri e quelli provenienti dall’esterno per la somministrazione di pasti e bevande» previste dalla normativa regionale in materia di agriturismo. Violazione secondaria. Ma proprio la violazione della disciplina regionale è l’appiglio fondamentale per la curatela fallimentare, che propone ricorso per cassazione contro la pronunzia della Corte d’Appello non a caso, viene ricordato che «l’agriturismo, per rientrare fra le attività agricole per connessione, deve essere connotato dall’utilizzo, da parte dell’agricoltore, di prodotti, mezzi e risorse provenienti in prevalenza dalla sua azienda». Di conseguenza, sostiene la curatela, la «sistematica violazione» della normativa ha valore rilevante per l’«esclusione della qualificazione agricola dell’attività di impresa» Questa contestazione, però, non viene accolta dai giudici della Cassazione, i quali confermano l’inquadramento dell’azienda agrituristica, finita nel mirino, come «attività propriamente agricola», con conseguente esclusione della «assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore». Ciò perché, ragionando in un’ottica normativa nazionale, ci si trova a parlare di «attività para-alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande», e quindi «la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo» ma va «compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di attrezzature e di ulteriori risorse dell’azienda che sono normalmente impiegate nell’attività agricola». Per questo, la «presunzione della natura agricola per connessione», ‘certificata’ dalla Provincia, della «attività di ricezione ed ospitalità esercitata all’interno dell’azienda, adibita alla coltivazione di piante e fiori e alla produzione di frutta biologica», è sufficiente, concludono i giudici, per escludere l’applicabilità del fallimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 gennaio – 10 aprile 2013, numero 8690 Presidente Rordorf – Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 20.12.011, ha accolto il reclamo proposto da P.P., titolare dell’omonima azienda agrituristica, contro la sentenza dichiarativa del suo fallimento. La corte territoriale ha rilevato che, poiché l’impresa era iscritta presso la CCIAA nella sezione delle imprese agricole e poiché v’era certificazione, rilasciata dalla Provincia di Mantova, attestante il rapporto di connessione fra l’attività forovivaistica e di produzione di frutta biologica e l’attività agrituristica esercitate dalla reclamante, attesa la prevalenza del volume di lavoro richiesto per la prima attività rispetto a quello richiesto per la seconda, sussisteva presunzione iuris tantum della qualità di imprenditrice agricola della P., che non poteva ritenersi superata in base all’unico elemento contrario evidenziato dal tribunale, costituito dal fatto che l’imprenditrice non rispettava le proporzioni minime fra i prodotti propri e quelli provenienti dall’esterno previste per la somministrazione di pasti e bevande dalla l. della Regione Lombardia numero 31108, di disciplina dell’agriturismo. La sentenza è stata impugnata dal curatore del Fallimento di P.P. con ricorso affidati a due motivi, cui la P. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. La Villa Sergio & amp C, s.numero c., creditrice istante, non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di ricorso, il curatore denuncia violazione del comb. disp, degli articolo 2135 c.c., 1 l. fall., 2 e 4 l. numero 96106, 152 e 157 l. Reg. Lombardia numero 31108. Deduce che, alla luce del comb. disp. dell’articolo 2135 c.c., così come riformato dall’articolo 1 del d. lgs. numero 228101, e dell’articolo 2 della l. 96106, che ha regolamentato in via generale la materia, l’agriturismo, per rientrare fra le attività agricole per connessione, deve essere connotato dall’utilizzo da parte dell’agricoltore di prodotti, mezzi e risorse provenienti in prevalenza dalla sua azienda. Rileva, ancora, che l’articolo 4 della l. numero 96/06, al 2° comma, demanda alle regioni di definire i criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto a quelle agricole, che devono rimanere prevalenti, sicché il fatto che la norma contenga poi un richiamo al solo parametro del tempo di lavoro necessario per l’esercizio di tali attività non significa che, in concreto, non occorra tener conto di ulteriori elementi di riscontro. Sostiene, pertanto, che la sistematica violazione del disposto dell’articolo 157 della legge regionale lombarda numero 31/08, di regolamentazione del settore, il quale stabilisce che, nella somministrazione di pasti e bevande, l’azienda agrituristica deve garantire l’apporto di prodotti propri secondo ben determinate proporzioni, non può essere privo di rilievo al fine dell’esclusione della qualificazione agricola dell’attività di impresa, posto che il requisito della connessione non può essere desunto che in ragione della tipologia del prodotto somministrato. 2 Col secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta l’omesso esame del merito da parte della corte territoriale, che si sarebbe limitata a richiamare, ritenendolo decisivo, il certificato della Provincia di Mantova che attestava che, l’azienda della P. richiedeva un volume di lavoro agricolo prevalente rispetto a quello richiesto dall’attività agrituristica, ma avrebbe omesso di accertare se il dato certificato corrispondesse o meno a quello reale e non avrebbe tenuto conto delle complessive risultanze della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti. 3.1 La natura commerciale od agricola di un’impresa, rilevante al fine di stabilire se la stessa sia soggetta a fallimento ai sensi dell’articolo 1, 1° comma del R.D. numero 267142, deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale. Ne consegue che l’apprezzamento in concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione fra attività agrituristiche ed attività propriamente agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, in presenza dei quali deve essere esclusa l’assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore che le eserciti, va principalmente condotto alla luce del disposto dell’articolo 2135 comma 3° c.c., integrato dalle previsioni della l. numero 96106, intitolata “disciplina dell’agriturismo”, che ha fissato i principi fondamentali cui le regioni devono uniformarsi nell’emanare le proprie normative in materia. Entro tale cornice, gli specifici criteri valutativi previsti dalle singole leggi regionali possono sicuramente fungere da supporto interpretativo, ma non possono rivestire carattere decisivo, posto che la loro assunzione a parametri vincolanti per la definizione del rapporto di connessione potrebbe condurre a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall’analisi di identici dati aziendali quanto, ad es., a percentuali di prodotti propri utilizzati od alle proporzioni fra prodotti locali ed esterni . Del resto, aderendo alla tesi del ricorrente, secondo cui l’attività agrituristica potrebbe ritenersi connessa a quella agricola solo nel caso di rispetto delle precise proporzioni nell’uso di prodotti propri e prodotti esterni fissate dalle leggi regionali, dovrebbe giungersi alla conclusione, non ricavabile dal disposto dell’articolo 2135 c.c. né dalla l. numero 96106, che un’azienda agricola adibita, ad es., a monocoltura od a viticoltura, e dunque impossibilitata ad offrire ai clienti prodotti in prevalenza propri, non possa esercitare detta attività. In realtà, trattandosi di attività para/alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo che, ai sensi dell’articolo 2135 c.c., connota più specificamente le attività di sola manipolazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti e va piuttosto compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di attrezzature quali, ad es., i locali adibiti alla ricezione degli ospiti e di ulteriori risorse sia tecniche che umane dell’azienda che sono normalmente impiegate nell’attività agricola. La corte territoriale ha pertanto correttamente ritenuto che la presunzione della natura agricola per connessione attestata dalla certificazione rilasciata dalla provincia di Mantova dell’attività di ricezione ed ospitalità esercitata dalla P. all’interno della propria azienda, adibita alla coltivazione di piante e fiori ed alla produzione di frutta biologica, non potesse essere vinta dall’unico elemento contrario evidenziato dal giudice di primo grado, consistente nel mancato rispetto delle proporzioni minime fra prodotti propri e prodotti provenienti dall’esterno fissate dalla legge regionale lombarda per la somministrazione di pasti e bevande. 3.2 Il ricorrente non è stato, d’altro canto, in grado di specificare quali fossero gli ulteriori elementi probatori, emersi dall’espletata ctu ma non valutati dal giudice del merito, etti ad evidenziare la natura commerciale della predetta attività, né ha saputc chiarire le ragioni per le quali, a fronte dell’istruttoria già espletata in primo grado gravando, oltretutto, a suo carico l’onere della prova , la corte territoriale avrebbe dovuto disporre un supplemento di indagine la censura svolta sotto il profilo di cui all’articolo 360 numero 5 c.p.c. si rivela, pertanto, priva del requisito richiesto, a pena di inammissibilità dall’articolo 366 1° comma numero 6 c.p.c. La novità della questione trattata giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.