«Ti lascio, ti prendo e ti rilascio»: per la richiesta di un assegno post-divorzio, se ne deve dimostrare in concreto la necessità

La revisione delle disposizioni economiche presuppone la sopravvenienza di circostanze tali da modificare l’equilibrio precedentemente raggiunto. La donna era nullatenente anche al momento del divorzio, per la concessione dell’assegno non basta un generico richiamo al peggioramento delle condizioni economiche a seguito della perdita del lavoro, ma bisogna indicare le situazioni concrete.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6888, depositata il 20 marzo 2013. Un tira e molla complicato. Ognuno trova la propria soluzione per convivere con il partner. Questa coppia, divorziata nel 1987, riavvicinatasi dal 1989, torna a convivere nel 2001, convivenza poi nuovamente interrotta per il riemergere delle incomprensioni precedenti. Il divorzio era stato dichiarato con la rinuncia delle parti ad ogni pretesa di carattere patrimoniale. Il reddito dell’uomo, durante la convivenza, era di 2mila euro, poi è salito a 3mila. La donna, perso il lavoro, dipendeva economicamente dall’ex marito. Chiede quindi il riconoscimento di un assegno mensile pari ad almeno 500 euro, visto anche che nel frattempo l’ex era divenuto proprietario di numerosi immobili. Se lei perde il lavoro, non è automatica la revisione delle condizioni. Tribunale e Corte d’Appello respingono la domanda, rilevando che la donna era nullatenente anche al momento del divorzio e che l’acquisizione degli immobili, non avvenuta con proventi dei coniugi, non incide sulla consistenza del reddito dell’uomo. Non è quindi riscontrabile la sopravvenienza di circostanze tali da modificare l’equilibrio precedentemente raggiunto, al fine di attuare una revisione delle disposizioni economiche. Ma lei dipendeva dall’ex marito! La donna ricorre per cassazione, sostenendo la legittimità della richiesta di un assegno di mantenimento per la prima volta in sede di revisione delle condizioni divorzili, visti i giustificati motivi consistenti nel peggioramento delle condizioni economiche subite per l’incolpevole perdita del lavoro. Per la quantificazione di tale assegno andrebbe considerato il tenore di vita tenuto sia durante il matrimonio che durante la successiva fase di convivenza. Il peggioramento sarebbe dimostrato «dalla documentazione di pubblica provenienza certificante i periodi di occupazione lavorativa come di disoccupazione della parte». Il cambiamento delle condizione deve essere concretamente dimostrato. La Corte di Cassazione respinge il ricorso, rilevando che esso ha avuto come oggetto «esclusivamente l’individuazione del parametro astrattamente utilizzabile per la concessione dell’assegno richiesto peggioramento delle condizioni economiche a seguito della perdita del lavoro e non opera alcun riferimento, dunque, alla situazione venutasi a creare nel caso concreto, ai profili asseritamente a torto considerati dal giudicante, alle circostanze di fatto che, se correttamente esaminate, avrebbero potuto indurre a conclusioni assolutamente diverse da quelle maturate».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 – 20 marzo 2013, numero 6888 Presidente Luccioli – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con ricorso del 13.12.2006 G F. esponeva che il 20.7.1987 il Tribunale di Rovigo aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei celebrato con S.R. che le parti avevano rinunciato ad ogni pretesa di carattere patrimoniale che nel 2001, a seguito di un riavvicinamento iniziato fin dal 1989, era ripresa la convivenza tra i coniugi, successivamente interrotta per il riemergere delle incomprensioni precedenti che essa ricorrente dipendeva economicamente dal marito, il cui reddito, ammontante a circa Euro 2.000 mensili nel periodo della convivenza, era in seguito aumentato ad Euro 3.000 che analogamente anche la situazione patrimoniale del S. era migliorata, essendo egli nel frattempo divenuto proprietario di numerosi immobili. Sulla base della rappresentata situazione di fatto, chiedeva quindi la revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio ed il riconoscimento di un assegno mensile pari almeno a Euro 500. Il S. , costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda ed il Tribunale decideva in conformità, con provvedimento che, reclamato dalla F. , veniva poi confermato dalla Corte di Appello di Potenza. In particolare il giudice del gravame rilevava che la possibilità di revisione delle disposizioni economiche in materia di divorzio avrebbe presupposto la sopravvèniènza di circostanze tali da modificare l'equilibrio precedentemente raggiunto che tale ipotesi non sarebbe stata riscontrabile nel caso di specie, atteso che la reclamante sarebbe stata impossidente anche alla data del divorzio che l'acquisizione di immobili da parte del S. , per le loro qualità e per non essere stati acquistati con i proventi di entrambi i coniugi, non avrebbe sostanzialmente inciso sulla consistenza del reddito percepito dal marito. Avverso la decisione la F. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resisteva con controricorso l'intimato. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 06.03.2013. Motivi della decisione Con i motivi di impugnazione la F. ha rispettivamente denunciato 1 violazione degli articolo 5 e 9 L. 898/70, con riferimento al negato deterioramento delle proprie condizioni economiche. La documentazione prodotta avrebbe infatti comprovato un decremento patrimoniale a far tempo dal 2001 data di inizio della propria disoccupazione fino all'azzeramento dei propri guadagni avvenuto nel 2005. Il provvedimento impugnato sarebbe poi comunque viziato anche sotto altro riflesso, e cioè per il fatto che la revisione dell'assegno di divorzio sarebbe consentita pure in relazione alle migliorate condizioni economiche del coniuge obbligato, miglioramento che si sarebbe incontestabilmente verificato nel caso in esame, come desumibile dall'incremento patrimoniale del S. e dalle risultanze delle indagini della Guardia di Finanza. Nonostante il detto mutamento il giudice del merito avrebbe tuttavia omesso una valutazione comparativa delle posizioni economiche dei due coniugi, con ciò determinando il vizio della decisione adottata 2 vizio di motivazione in relazione all'intervenuto rigetto della domanda, pur dopo l'affermazione secondo cui il peggioramento delle condizioni economiche di una delle parti può dar luogo ad una pronuncia ex articolo 9 l. 898/70, con ciò adottando una conclusione contrastante con la premessa. Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile. Ed infatti al riguardo va considerato che il ricorso in esame è stato proposto contro decreto emesso in data 14.3.2008, vale a dire in epoca in cui era ancora vigente l'articolo 366 bis c.p.c., - per il quale, nel caso di denuncia di violazione di legge, l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto e, nell'ipotesi in cui sia rappresentato un vizio di motivazione, la censura deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali l'asserita insufficienza della motivazione sarebbe inidonea a sostenere la decisione. Con il primo motivo, come detto, è stata denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 5 e 9, l. 898/70 , e pertanto l'ammissibilità della censura risulta subordinata alla formulazione del prescritto quesito di diritto la cui corretta enunciazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, impone l'indicazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato tale cioè da determinare, se condiviso, un ribaltamento della decisione contestata , e comunque la sua concreta riferibilità alla fattispecie oggetto di esame, che pertanto non può essere riscontrata laddove il quesito si esaurisca in indicazioni generali ed astratte, prive cioè di un sostanziale collegamento con le questioni su cui è controversia. A conclusione dell'illustrazione del primo motivo la ricorrente ha viceversa sollecitato questa Corte a pronunciare la seguente massima di diritto nella concessione dell'assegno divorziarle, che può essere richiesta per la prima volta anche in sede di revisione delle condizioni divorzili, si deve tener conto della sopravvenienza di giustificati motivi consistenti nel peggioramento delle condizioni economiche subite dall'istante a seguito dell'incolpevole perdita di lavoro, e nella sua quantificazione si deve tener conto del tenore di vita goduto dall'istante durante il matrimonio e durante i successivi periodi di convivenza e quindi della consequenziale aspettativa formatasi durante il detto periodo , massima che all'evidenza appare connotata da assoluta genericità. Essa ha infatti ad oggetto esclusivamente l'individuazione del parametro astrattamente utilizzabile per la concessione dell'assegno richiesto peggioramento delle condizioni economiche a seguito della perdita di lavoro e non opera alcun riferimento, dunque, alla situazione venutasi a creare nel caso concreto, ai profili asseritamente a torto considerati dal giudicante, alle circostanze di fatto che, se correttamente esaminate, avrebbero dovuto indurre a conclusioni assolutamente diverse da quelle maturate. Quanto al secondo motivo, la censura è stata prospettata con riferimento ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e, a sintesi della doglianza, questa Corte è stata sollecitata a pronunciare la seguente massima di diritto nella concessione dell'assegno divorziarle, che può essere richiesto anche per la prima volta in sede di revisione delle condizioni divorzili, si deve tener conto della sopravvenienza di giustificati motivi consistenti nel peggioramento delle condizioni economiche subite dall'istante a seguito dell'incolpevole perdita del lavoro, e nell'accertamento di tale peggioramento costituisce prova la documentazione di pubblica provenienza certificante i periodi di occupazione lavorativa come di disoccupazione della parte . Al di là del formale e nominalistico richiamo alla sintesi del motivo, in realtà la ricorrente ha formulato un altro quesito di diritto, come anche indirettamente si desume dalla parziale coincidenza della massima redatta in calce al secondo motivo di impugnazione con quella relativa al primo motivo. In ogni modo non risulta segnalato lo specifico fatto controverso che avrebbe dato causa al prospettato vizio di motivazione, e ciò vale a determinare l'inammissibilità anche dell'ulteriore doglianza dedotta con il secondo motivo di ricorso. Alla declaratoria di inammissibilità consegue infine la condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per compensi, oltre agli accessori di legge.