La sussistenza dell’elemento psicologico di natura dolosa può essere desunta dalle concrete modalità del fatto, quando dalle stesse si evinca la chiara accettazione del rischio di cagionare l’evento.
Il caso. Il Tribunale del Riesame di Torino confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP nei confronti di B.I., indagato per il reato di cui all’articolo 575 c.p In particolare, secondo l’impostazione accusatoria, l’indagato – a bordo della propria autovettura – avrebbe percorso circa diciassette chilometri di autostrada contromano e ad altissima velocità e, proprio durante la corsa, avrebbe impattato frontalmente con un’altra automobile che procedeva secondo il regolare senso di marcia, cagionando la morte di quattro dei cinque soggetti a bordo. Inoltre, il B.I. era risultato positivo all’alcool test, con un tasso alcolemico pari a 1,58 g/l. I Giudici della Libertà ritenevano che la condotta dell’indagato fosse caratterizzata dalla presenza, quale elemento soggettivo del reato, di un dolo eventuale, pertanto confermavano la qualificazione giuridica della fattispecie operata dal GIP a titolo omicidio volontario. Avverso tale provvedimento proponevano ricorso per Cassazione i legali del B.I., deducendo, anzitutto, l’erronea applicazione della legge penale con precipuo riferimento all’elemento soggettivo del reato così come determinato e contestato secondariamente, ritenevano inficiata da nullità processuale l’ordinanza, avendo la stessa fatto riferimento, ai fini della individuazione delle circostanze fattuali della fattispecie, alle dichiarazioni rese dall’indagato in assenza del proprio difensore infine, lamentavano carenza ed illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato. Dolo eventuale o colpa cosciente? La Corte di Legittimità, con riferimento al motivo di gravame afferente l’erronea determinazione dell’elemento soggettivo ritenuto sussistente in capo al B.I. all’atto della commissione del fatto di reato, riprendeva e confermava il pacifico e costante orientamento in tema di discrimine tra dolo eventuale e colpa cosciente. Secondo i Supremi Giudici, infatti, l’elemento psichico del dolo eventuale deve ritenersi sussistente allorquando l’agente, nel porre in essere una condotta finalizzata ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze dalla stessa e, ciò nonostante, agisca ugualmente, accettando il rischio di realizzarle. Altrimenti detto, secondo la Corte Regolatrice, il Tribunale avrebbe correttamente escluso che l’elemento psicologico del B.I. potesse essere inquadrato nell’alveo della colpa cosciente, sussistendo la stessa solo qualora il soggetto agente, nel porre in essere la condotta, si rappresenti la possibilità dell’evento, ma – a differenza di quanto avviene nel dolo eventuale – ne escluda la possibile verificazione, sulla scorta della convinzione di poterlo evitare per abilità personale o per l’intervento di diversi fattori. Nel caso de quo, i Supremi Giudici hanno ritenuto che la presenza del dolo eventuale debba essere ritenuta sussistente sulla scorta delle modalità attuative della condotta, caratterizzata dalla notevole durata della marcia contromano, dalla alta velocità della vettura, nonché dalla assoluta assenza di manovre atte a ripristinare la corretta andatura del veicolo, nonostante le innumerevoli segnalazioni acustiche e luminose poste in essere dai diversi automobilisti che, al fine di evitare l’impatto, erano costretti a manovre repentine e pericolose. In effetti, secondo la Corte, da tali circostanze fattuali non può non emergere, ictu oculi, la piena previsione, da parte dell’indagato, della possibilità di un impatto con un’altra autovettura quale diretta conseguenza della propria condotta, nonché, contestualmente, la accettazione del relativo rischio – non essendo idonea ad escludere tale accettazione la presenza, in capo al B.I., di un tasso alcolemico di modesta rilevanza, anche avuto riguardo alle condizioni di sufficiente lucidità in cui lo stesso versava nell’immediatezza dei fatti, così come accertato dagli agenti della Stradale immediatamente intervenuti. Le dichiarazioni dell’indagato rese in assenza del difensore nessuna nullità dell’ordinanza cautelare se non sono state utilizzate per la ricostruzione dei fatti. Per ciò che concerne, infine, le ulteriori doglianze difensive, i Giudici della I Sezione Penale, dopo aver facilmente superato il motivo di ricorso afferente l’esigenza cautelare sulla scorta sia delle modalità della condotta che dei trascorsi giudiziari – anche specifici, considerato un precedente per guida in stato di ebbrezza – rigettavano anche la questione relativa alla utilizzazione, da parte del GIP, delle dichiarazioni rese dal B.I. in assenza del difensore, sulla scorta della considerazione che il loro inserimento nel corpo motivazione dell’ordinanza custodiale non inficia la stessa, non essendo state tali dichiarazioni utilizzate ai fini della ricostruzione dei fatti, ma solo quale quid pluris argomentativo.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 maggio – 14 giugno 2012, numero 23588 Presidente Chieffi – Relatore Caiazzo Ritenuto in fatto Con ordinanza in data 23.9.2011 il Tribunale del riesame di Torino, qualificato il fatto commesso da B.I. come omicidio volontario, confermava l'ordinanza cautelare, con la quale era stata disposta la custodia in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Alessandria in data 17.8.2011 nei confronti del predetto. Il fatto veniva ricostruito nei modo seguente dal Tribunale del riesame. B.I. , alla guida di un'autovettura Audi Q7 veicolo rientrante nella categoria S.U.V. , era entrato in autostrada dal casello OMISSIS intorno alle ore 4,55 aveva percorso l'autostrada A26 contromano per circa diciassette chilometri, viaggiando nella corsia d'emergenza o in quella centrale e obbligando le auto, che regolarmente procedevano nel senso opposto, a cambiare direzione per evitare l'urto con il suddetto S.U.V. aveva continuato nella sua marcia, nonostante guidatori di altri veicoli gli avessero fatto ripetute segnalazioni acustiche e luminose quindici utenti della strada avevano segnalato alla Polizia della Strada la presenza di un S.U.V. di colore nero che procedeva contromano sulla A26 all'altezza di XXXXX, mentre procedeva ad una velocità di avanzamento pari a 255 Km/h, urtava frontalmente un'autovettura Opel Astra nella quale viaggiavano cinque ragazzi di nazionalità francese, tre dei quali decedevano nell'immediatezza dell'urto e un quarto appena giunto in ospedale poco prima il S.U.V. aveva urtato sulla fiancata sinistra un'auto Peugeot condotta da G.M. , il quale a causa dell'urto riportava lesioni guaribili in giorni trenta. Al B. veniva riscontrato un tasso alcolemico pari a 1,58 g/l, ma lo stesso veniva descritto dagli agenti intervenuti sul posto del tutto padrone di sé. In sede di interrogatorio aveva dichiarato di non avere visto nessuno che lampeggiava o suonava, di non essersi accorto di viaggiare contromano e di non sapersi spiegare l'accaduto. Secondo il Tribunale del riesame, il B. aveva accettato non solo il pericolo concretamente determinato dalla sua condotta, ma anche il rischio dell'evento omicidiario. In effetti, pur essendosi rappresentato la concreta possibilità - prossima alla certezza - del verificarsi del suddetto evento, non aveva desistito dall'azione né posto in essere alcuna condotta finalizzata al mancato avveramento dell'evento stesso. Confermava l'ordinanza cautelare impugnata, ritenendo sussistente il pericolo di recidivanza specifica, tenuto conto delle modalità dell'azione dell'incuranza mostrata per la vita altrui dell'assenza di scrupoli nel persistere nella sua condotta ed anche della personalità dell'indagato, quale emergeva da procedimenti penali pendenti per minacce e danneggiamento e dal comportamento tenuto quella sera nel locale dove era stato, insieme a una ragazza, prima di porsi alla guida della sua autovettura. Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell'indagato, chiedendone l'annullamento per erronea applicazione della legge penale. La difesa ha sostenuto, innanzi tutto, che non vi fossero gli elementi per ritenere che l'imputato avesse accettato consapevolmente la certezza o l'elevata probabilità di provocare un evento omicidiario. Anche nei casi di sfida alla guida di un'auto, passando per esempio con il semaforo rosso, la giurisprudenza non aveva ritenuto il dolo eventuale, poiché il soggetto ritiene di potere dominare il rischio in base alla propria esperienza. Doveva essere ridimensionato il giudizio dei verbalizzanti, che avevano descritto l'indagato padrone di sé, perché era stato accertato uno stato di ebbrezza, che certamente aveva influito sulle sue capacità percettive, ed inoltre gli stessi verbalizzanti avevano precisato che aveva l'alito fortemente vinoso, gli occhi lucidi e l'espressione vocale impastata. L'ordinanza impugnata doveva essere annullata, oltre che per il richiamo a dichiarazioni dell'indagato inutilizzabili, perché rese senza la presenza del difensore, anche per carenza di motivazione e illogicità con riferimento alla sussistenza dell'esigenza cautelare della custodia in carcere. Del tutto insussistente doveva essere ritenuto il pericolo di una recidiva specifica, poiché al B. era stata definitivamente ritirata la patente e lo stesso non aveva la minima intenzione di condurre nuovamente veicoli. La persistenza della sua condotta, nonostante i segnali luminosi e sonori di altri automobilisti, attestava la mancanza di lucidità del ricorrente, anche ammesso che avesse percepito detti segnali. Il precedente di guida in stato di ebbrezza risaliva a cinque anni prima e nulla poteva trarsi dai procedimenti pendenti, per banali litigi, poiché non vi era stata ancora alcuna pronuncia giudiziaria. Infine, non si era considerata la sostanziale incensuratezza del B. , la sua stabile attività lavorativa e la sua regolare situazione familiare. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Il Tribunale del riesame ha ricostruito il fatto sulla base di elementi di prova che, nella sostanza, non sono contestati dal ricorrente. Non è contestato, infatti, che l'imputato ha guidato per circa diciassette chilometri in autostrada contromano che ha percorso il suddetto tratto di strada a forte velocità, viaggiando in parte nella corsia di emergenza e in parte in quella centrale che ha continuato a marciare contromano a forte velocità, senza compiere manovre per evitare gli autoveicoli che provenivano regolarmente dal senso opposto, anche dopo le ripetute segnalazioni luminose e sonore dei conducenti dei predetti autoveicoli che, dopo aver urtato la fiancata dell'auto condotta da G.M. , è piombato sull'auto a bordo della quale viaggiavano i cinque giovani francesi alla elevatissima velocità di 255 Km/h che non ha effettuato alcuna manovra per evitare l'urto. Per ricostruire il fatto, nei suoi termini essenziali, non sono state utilizzate le dichiarazioni che B.I. ha reso senza la presenza del suo difensore nella ordinanza si è anzi precisato che il predetto, nell'interrogatorio di garanzia, non ha dato alcuna spiegazione al suo comportamento. Il Tribunale del riesame ha dedotto che l'indagato ha consapevolmente posto in essere la suddetta condotta, prendendo in considerazione gli elementi di fatto accertati e traendo dagli stessi conseguenze logiche che appaiono del tutto plausibili e rispondenti a comuni massime d'esperienza. Ha escluso che fosse in uno stato di ebbrezza tale da impedirgli di capire cosa stesse facendo e cosa succedesse intorno a lui, prendendo in considerazione il tasso alcolimetrico riscontratogli nel sangue, il comportamento tenuto prima di mettersi alla guida dell'auto, la sua condotta di guida e lo stato psichico subito dopo aver cagionato il terribile urto, siccome rilevato dagli agenti della Polizia Stradale immediatamente intervenuti. Ha altresì escluso che non si fosse reso conto di viaggiare contromano, in considerazione del fatto che aveva ricevuto da più automobilisti ripetute e insistite segnalazioni acustiche e luminose e, nonostante queste, non solo aveva continuato a procedere a fortissima velocità, ma aveva obbligato gli automobilisti che gli venivano incontro ad effettuare improvvise deviazioni per evitare l'urto frontale, in quanto lui manteneva la sua direzione di marcia e non effettuava alcuna manovra di emergenza, anzi, a quel che risulta dai dati riportati nell'ordinanza, non contraddetti dal ricorrente, aumentava vieppiù la velocità del suo possente automezzo. L'indagato non ha dato alcuna spiegazione del suo comportamento e il Tribunale del riesame, uniformandosi al principio più volte ribadito da questa Corte - secondo il quale la prova della volontà omicida è normalmente e prevalentemente affidata ad elementi di natura obiettiva, desumibili dalle modalità dell'azione V. Sez. 1 sent. numero 2509 del 28.4.1989, Rv. 183429 - ha ritenuto che in base agli elementi di fatto finora accertati B.I. ha agito non solo rappresentandosi che con il suo comportamento - continuare a viaggiare in autostrada contromano di notte ad elevatissima velocità - avrebbe potuto cagionare la morte degli occupanti di uno o più veicoli, ma ha anche accettato il rischio di cagionare il suddetto evento, non compiendo alcuna manovra per evitare l'urto con altri veicoli ed aumentando sempre più la sua velocità per raggiungere il fine che si era prefissato, allo stato identificabile, in mancanza di un qualsiasi chiarimento da parte dell'indagato, in quello di raggiungere al più presto il casello dal quale intendeva uscire dall'autostrada. Il Tribunale del riesame correttamente ha inquadrato l'elemento psichico nel dolo eventuale che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sussiste quando l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta, e ciò nonostante agisca, accettando il rischio di cagionarle V. Sez. U sent. numero 3571 del 14.2.1996, Rv. 204167 Sez. 6 sent numero 1367 del 26.10.2006, Rv. 235789 . Nella giurisprudenza di questa Corte si è messo anche in evidenza che il dolo eventuale è caratterizzato dal fatto che chi agisce non ha il proposito di cagionare l'evento delittuoso, ma si rappresenta anche la semplice possibilità che esso si verifichi e ne accetta il rischio quando invece l'ulteriore accadimento si presenta all'agente come probabile, non si può ritenere che egli, agendo, si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì che, accettando l'evento, lo abbia voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento psicologico si configura nella forma del dolo diretto e non in quella di dolo eventuale V. sentenza già citata delle Sezioni Unite e Sez. 1 sent. numero 13544 del 20.11.1998, Rv. 212058 . Il Tribunale del riesame ha escluso, con motivazione immune da pecche logico giuridiche, che l'atteggiamento psicologico dell'imputato possa essere inquadrato nella colpa cosciente. Si versa nella c.d. colpa cosciente, qualora l'agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori. Correttamente si è osservato che nel caso di specie non si rinviene nel comportamento dell'imputato alcun elemento dal quale dedurre che, in qualche modo, contava di poter evitare l'evento, perché ha invece continuato a marciare ad elevatissima velocità per circa dieci minuti senza porre in essere - e questo è il dato più significativo - alcuna manovra che, per quanto spericolata, possa far pensare alla sua intenzione di evitare l'urto con altri veicoli, contando sulla sua abilità. L'ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali l'unica misura idonea a contenere la pericolosità dell'indagato sia la custodia cautelare in carcere, facendo riferimento alla complessiva condotta posta in essere dall'indagato, al disprezzo mostrato per la vita altrui, ai trascorsi giudiziari e alla inaffidabilità della sua persona. La difesa ha sostenuto, nella discussione davanti a questa Corte, che non risulta chiaro il fine per il quale l'indagato ha agito nel modo che gli è stato addebitato il rilievo ha un suo fondamento e in proposito è auspicabile che dal prosieguo dell'istruttoria possano emergere ulteriori elementi che diano una compiuta spiegazione alle ragioni intime del suo agire ma la attuale mancata conoscenza di queste ragioni - in presenza dei dati sopra indicati - non può essere valutata come un elemento che riduca la possibilità che B.I. possa porre in essere ulteriori analoghe condotte criminose. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94/1-ter disp. att. c.p.p