Non è possibile pattuire il trasferimento della maggiore imposta, derivante dal frazionamento dell'immobile oggetto della compravendita, in capo al compratore. È l'alienante che ha l'onere di versare tale imposta.
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 17576/2011 depositata il 23 agosto, ha dichiarato nullo il patto tra alienante e acquirente che trasferisce l'onere di versare la maggiore imposta, derivante dal frazionamento dell'immobile oggetto della compravendita, in capo al compratore.Il caso. Davanti al notaio, il venditore di un immobile e i due acquirenti, si accordavano per trasferire a questi ultimi la maggiore imposta derivante dal frazionamento del bene. Poi, in realtà, il tributo era stato pagato dal venditore che, al fine di recuperare i soldi versati, aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo. A nulla era servito impugnare tale decreto, in quanto, il Tribunale giudicante aveva considerato legittimo il patto intercorso tra le parti.Gli acquirenti ricorrono per la cassazione della sentenza.Il patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta è nullo. La S.C. accoglie il primo motivo di ricorso. Infatti, sottolineano gli ermellini, l'imposta sull'incremento di valore degli immobili è dovuta dall'alienante a titolo oneroso e qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta è nullo articolo 4 e 27 d.p.r. numero 643/1972 .L'acquirente ha chiesto il frazionamento, ma l'onere di pagare l'imposta rimane in capo al venditore. Secondo quanto disposto nella sentenza impugnata, non v'era stata alcune elusione dell'obbligo fiscale gravante sulla venditrice a titolo oneroso, ma un risarcimento della maggior somma che era stata corrisposta in ragione della suddivisione dell'immobile in due distinte unità immobiliari, come richiesto dalla parte acquirente.La Corte Suprema, però, ribaltando la decisione di merito, afferma che anche se la maggiore entità dell'imposta dovuta fosse da ascriversi ad un desiderio della parte acquirente, non viene meno l'onere dell'alienante di versare interamente l'imposta.Quindi, il ricorso viene accolto e la sentenza cassata senza rinvio, visto che tutti gli elementi utili alla decisione nel merito risultano acquisiti pertanto la Corte, pronunciando nel merito, accoglie l'opposizione.
Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 26 maggio - 23 agosto 2011, numero 17576Presidente Triola - Relatore GoldoniSvolgimento del processoCon ricorso del 1999, A. L. chiedeva ed otteneva dal giudice di pace di Vittoria, decreto ingiuntivo per £. 4.726.000 nei confronti di N. e D. D. M., adducendo che tale importo le era stato richiesto quale maggiore imposta sull'incremento di valore conseguente alla diversa qualificazione catastale conseguita al frazionamento di un immobile da lei promesso al padre delle predette, che aveva voluto, prima della vendita, il detto frazionamento.Proponevano opposizione le ingiunte assumendo di nulla dovere atteso che per legge l'imposta gravava sulla alienante e che ogni patto contrario era nullo per contrasto con la legge.Con sentenza del 2001, l'adito giudice aveva respinto l'opposizione e regolato le spese avverso tale decisione avevano proposto appello le D. M., cui aveva resistito la controparte.Con sentenza in data 16/22.10.2004, il tribunale di Ragusa aveva respinto l'impugnazione, regolando le spese.Osservava quel giudicante che il patto intercorso tra l'alienante ed il compratore non era da considerarsi in violazione della legge, giacché con lo stesso si era stabilito, per venire incontro ad un desiderio dell'acquirente, di frazionare l'immobile compravenduto, con conseguente variazione catastale in aumento, maggior onere che, su consiglio dell'impiegato dello studio notarile, si era pattuito che avrebbe gravato sulle acquirenti.Conclude la sentenza impugnata affermando essere evidente che in tal modo non si era voluto operare la traslazione dell'imposta sulla parte non obbligata, ma ovviare al maggior onere tributario conseguito per volere dell'acquirente.La L. aveva infatti corrisposto l'imposta per intero e aveva chiesto alle D.M. la restituzione di quanto pagato in più.Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria, le soccombenti la controparte resiste con controricorso.Motivi della decisione.Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo , 4 e 27 del d.p.r. 643/1972, in ragione del chiaro dettato delle norme suddette, in forza del quale l'imposta sull'incremento di valore degli immobili è dovuta dall'alienante a titolo oneroso e che qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta è nullo.Nella specie, la L. ha agito per la restituzione della somma pagata in più a tal titolo in ragione della suddivisione del suo immobile promesso in vendita in due distinte unità immobiliari, per espresso desiderio del promissario acquirente le parti, all'atto della stipula avevano, come non è smentito, convenuto che il maggior onere tributario sarebbe stato pagato dalle acquirenti.La sentenza impugnata ha argomentato nel senso che non v'era stata alcune elusione dell'obbligo fiscale gravante sulla venditrice a titolo oneroso, ma un risarcimento della maggior somma che era stata corrisposta in ragione della suddivisione dell'immobile, originariamente unico, in due distinte unità immobiliari, come richiesto dal promissario acquirente.A parte il fatto che non si era mai prospettata la questione di un risarcimento del danno, il dettato delle norme applicabili è categorico nel senso che deve ritenersi nullo ogni patto volto a riversare l'onere del tributo su soggetti diversi da quelli indicati dall'articolo 4, senza che rilevi la finalità pratica che le parti intendono conseguire v. Cass. 10.5.1994, numero 4556 14.9.1991, numero 9608 .Ora, che la maggiore entità dell'imposta dovuta fosse da ascriversi ad un desiderio della parte acquirente, non elide la debenza della stessa e la attribuzione dell'onere relativo alla parte allenante la sanzione di nullità comminata in relazione a qualsiasi patto volto a trasferire su altri l'onere dell'imposta in questione opera pertanto in un caso del genere, atteso che l'oggetto della compravendita era risultato diverso, sotto il profilo fiscale, rispetto a quello compromesso, cosa questa che comportava l'applicazione di una imposta più elevata, in ragione del ritenuto maggior valore del bene.Il fatto che le parti del contratto si fossero accordate nel senso di trasferire il maggior onere fiscale su chi aveva richiesto la suddivisione, senza che tanto si riflettesse sul prezzo dell'immobile, costituisce un patto volto ad elidere la tassativa disposizione di cui ai citati articolo 4 e 27, comporta nullità del patto stesso, che va dichiarata, con conseguente accoglimento del motivo in esame, senza che possano incidere le finalità pratiche che le parti si erano proposte.Il secondo motivo, afferente alla regolamentazione delle spese, è assorbito.Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata, senza che si profili la necessità del rinvio atteso che tutti gli elementi utili alla decisione nel merito risultano acquisiti pertanto questa Corte, pronunciando nel merito, accoglie l'opposizione.Le spese vengono regolate come da dispositivo.P.Q.M.La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, accoglie l'opposizione.Condanna la resistente al pagamento delle spese che, quanto al primo grado,liquida in €. 376,00, quanto al secondo in €. 2,050,00 e, quanto al presente, in €. 700,00, di cui €. 500,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.