La verifica del nesso causale per le malattie professionali tabellate

Deve ritenersi sempre illegittimo negare il ruolo causale di un fattore nocivo professionale tabellato qualificando semplicemente la sua pericolosità come “modesta”.

Così la Cassazione con la sentenza numero 23653/16 del 21 novembre. Il caso. La Corte d’appello accoglieva l’appello proposto dall’INAIL avverso la sentenza con cui il Tribunale, riconosciuta la natura professionale della malattia che aveva cagionato il decesso del coniuge della ricorrente, aveva condannato l’Istituto all’erogazione delle prestazioni assicurative di legge in favore dell’attrice. Quest’ultima si rivolge dunque alla Corte di Cassazione, censurando l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza d’appello, la quale aveva aderito acriticamente alla c.t.u. espletata in secondo grado senza considerare le contestazioni contenute nelle note critiche depositate in giudizio e senza considerare che gli errori e le lacune della c.t.u. si sostanziavano in carenze diagnostiche e in affermazioni scientificamente errate. La c.t.u. di secondo grado. La sentenza impugnata, sulla scorta della c.t.u. di secondo grado, nega un qualsiasi ruolo causale con la malattia neoplasia polmonare che avrebbe condotto al decesso del de cuius, alle sostanze tossiche alla quale egli era stato esposto nel corso di 31 anni di vita lavorativa in ambiente di lavoro inquinato dalla presenza di amianto, idrocarburi aromatici policiclici, cemento, bitume. Sostanze che, insieme al fumo di sigaretta, avevano agito, secondo il c.t.u. di prime cure, come concause delle 2 patologie che lo avevano condotto a morte. La sentenza degrada invece a “modesta” la pericolosità dell’ambiente lavorativo, negando un apporto anche solo concorsuale alle sostanze nocive suddette. Il rischio ambientale. Nonostante l’ordinamento richieda ancora all’articolo 3 TU numero 1124/65 un vero e proprio nesso di derivazione causale tra malattia e attività lavorativa, si ricorda che ai fini dell’operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza è comunque sufficiente il rischio ambientale, ossia che il lavoratore abbia contratto la malattia in virtù di una noxa comunque presente nell’ambiente di lavoro, ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno. La sentenza in esame ha negato un qualsiasi ruolo causale alle sostanze senza accennare nemmeno ad una giustificazione, limitandosi a qualificare come “modesta” la pericolosità del luogo di lavoro e a raccordare la malattia esclusivamente con «l’inveterata e pericolosa abitudine tabagica del de cuius», ma senza alcun elemento idoneo ad attribuire al tabagismo il carattere di causa esclusiva dello stesso evento dannoso. Le malattie professionali tabellate. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare, sotto il profilo giuridico, la peculiare disciplina apprestata dall’ordinamento assicurativo per la tutela delle malattie professionali tabellate, redatte e aggiornate in base alla legge allo scopo di agevolare il lavoratore esposto a determinati rischi nella dimostrazione del nesso di causalità sul terreno assicurativo INAIL. Talché, quando la malattia è inclusa nella tabella, basterà al lavoratore provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva tabellata, perché il nesso eziologico sia presunto dalla legge. Tale presunzione, suscettibile di prova contraria, non è certo assoluta, ma occorre che tale prova attinga ad un fattore causale dotato di efficacia esclusiva, idonea a superare l’efficacia della prova presuntiva. Chi sia stato esposto all’amianto per motivi professionali ha diritto di vedersi riconosciuta l’origine professionale della malattia ed erogata la tutela assicurativa sociale prevista dalla legge, quand’anche sia stato fumatore. Il ruolo causale. Deve ritenersi sempre illegittimo negare il ruolo causale di un fattore nocivo professionale tabellato qualificando semplicemente la sua pericolosità come “modesta”, in quanto, essendo tabellata la lavorazione comportante un’esposizione comunque all’amianto, secondo il criterio oggettivo dell’esposizione ambientale, l’apporto del attore extraprofessionale non potrà essere ritenuto esclusivo, ma nemmeno prevalente o tale da negare un ruolo concorsuale del medesimo fattore tabellato. La sentenza viene dunque cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 settembre – 21 novembre 2016, numero 23653 Presidente D’Antonio – Relatore Riverso Svolgimento del processo Con la sentenza numero 1238/2010 la Corte d’Appello di l’Aquila accoglieva l’appello proposto dall’INAIL contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Teramo che, riconosciuta sulla scorta di ctu la natura professionale della malattia che aveva cagionato il decesso D.G. , accoglieva la domanda del coniuge L.R.R. e condannato l’Istituto all’erogazione delle prestazioni assicurative di legge in favore dell’attrice. In riforma di detta sentenza la Corte d’Appello affermava invece, in base alla nuova ctu disposta in appello, che il defunto fosse deceduto per un complesso patologico gravissimo neoplasia polmonare del tutto autonomo rispetto all’attività lavorativa pregressa addetto all’edilizia . Aggiungendo che non poteva essere condiviso il parere del consulente di primo grado essendo del tutto convincente il giudizio tecnico peritale acquisito in secondo grado, secondo cui la rilevanza e la gravità della patologia tumorale erano non soltanto sufficienti di per sè a cagionare la morte, ma anche di natura ed entità tali da non essere state influenzate dalla modesta pericolosità dell’ambiente lavorativo cantiere edile a fronte di una inveterata e pericolosa abitudine tabagica, come spiegato dal ctu con chiarimenti resi all’udienza. Avverso detta sentenza L.R.R. ha proposto ricorso per cassazione affidando le proprie censure ad un unico articolato motivo, cui resiste l’INAIL con controricorso. L.R. ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con l’articolato motivo di ricorso la ricorrente, richiamato il contenuto della ctu espletata in primo grado, censura anzitutto l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza di appello la quale aveva aderito acriticamente alla ctu espletata in secondo grado, senza prendere in considerazione le specifiche contestazioni contenute nelle note critiche depositate in giudizio e senza considerare che gli errori e le lacune della ctu si sostanziavano in carenze e deficienze diagnostiche ed in affermazioni illogiche o scientificamente errate. In particolare l’affermazione esposta in sentenza sulla modesta pericolosità dell’ambiente lavorativo costituito dal cantiere edile non era idonea a confutare i numerosi studi epidemiologici che riconoscevano invece un ruolo concausale nell’insorgenza della neoplasia polmonare all’esposizione a sostanze tossiche in particolare amianto presenti nell’ambiente di lavoro. Inoltre la Corte territoriale aveva invertito l’onere dalla prova ex articolo 2697 c.c. in ordine ad una infermità neoplastica tabellata in quanto causata da asbesto e con periodo di indennizzabilità illimitato a fronte della quale era l’INAIL che avrebbe dovuto dimostrare la diversa eziologia dell’infermità che avevano condotta a morte il de cuius. 2. Il ricorso è fondato essendo la sentenza d’appello affetta da vizi logici e giuridici che la espongono alle censure di cui sopra, per come risulta dalle seguenti considerazioni. 3. La sentenza impugnata, sulla scorta della ctu espletata nel giudizio d’appello, nega un qualsiasi ruolo causale con la malattia neoplasia polmonare che avrebbe condotto al decesso il de cuius, alle sostanze tossiche alle quali egli - secondo la ctu svolta in primo grado non confutata in fatto in secondo grado e trascritta nel ricorso per cassazione - era stato esposto nel corso di 31 anni di vita lavorativa in ambiente di lavoro inquinato dalla presenza di amianto, idrocarburi aromatici policiclici, cemento, bitume. Sostanze le quali, insieme al fumo di sigaretta, avevano agito, secondo il medesimo ctu di prime cure come concause delle due patologie carcinoma polmonare e broncopatia cronica ostruttiva che lo avevano condotto a morte. 4. La sentenza degrada invece a modesta la pericolosità dell’ambiente lavorativo cantiere edile dove ha operato il lavoratore e qualifica come del tutto autonoma rispetto all’attività di lavoro la patologia tumorale che da sola avrebbe cagionato il suo decesso negando un apporto anche soltanto concorsuale alle sostanze nocive sopraindicate, alle quali nondimeno non si nega egli fosse stato esposto nel corso dell’attività di lavoro. 5. Ciò premesso, va ricordato che benché l’ordinamento richieda ancora all’articolo 3 del T.U. 1124/65, anche sul terreno assicurativo INAIL, un vero e proprio stretto nesso di derivazione causale tra la malattia e l’attività lavorativa esercitata dal medesimo lavoratore a causa e nell’esercizio delle lavorazioni specificate nella tabella - non è men vero che ai fini dell’operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza anche costituzionale Corte. Cost. 206/74 è comunque sufficiente il rischio ambientale cfr. Cass. SU 13025/2006 15865/2003, 6602/2005, 3227/2011 , ossia che il lavoratore abbia contratto la malattia di cui si discute in virtù di una noxa comunque presente nell’ambiente di lavoro ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno, anche se egli non fosse stato specificatamente addetto alle stesse. Fermo restando che il nostro ordinamento in materia di nesso casuale è ispirato al principio di equivalenza delle cause per cui, al fine di ricostruire il nesso di causa, occorre tener conto di qualsiasi fattore, anche indiretto, remoto o di minore spessore, sul piano eziologico, che abbia concretamente cooperato a creare nel soggetto una situazione tale da favorire comunque l’azione dannosa di altri fattori o ad aggravarne gli effetti, senza che possa riconoscersi rilevanza causale esclusiva soltanto ad uno dei fattori patologici che abbiano operato nella serie causale. 6. Ora, la sentenza in esame, rispetto ad una malattia ad eziologia multifattoriale, pur non contestando che il lavoratore fosse stato esposto per il lunghissimo periodo di tempo di 31 anni alle sostanze nocive presenti nell’ambiente di lavoro, ha negato un qualsiasi ruolo causale alle stesse sostanze senza accennare nemmeno ad una giustificazione limitandosi a qualificare come modesta la pericolosità dell’ambiente ed a raccordare la malattia esclusivamente con l’inveterata e pericolosa abitudine tabagica del de cuius ma in assenza di elementi, in alcun modo indicati dal giudice di merito, idonei ad attribuire al tabagismo il carattere di causa esclusiva dello stesso evento dannoso. Ciò, nonostante il ctu di primo grado ma anche il ctp in appello avesse messo in luce l’effetto sinergico tra le due sostanze ai fini del nesso di causa mettendo in rilievo come il fumo avesse amplificato il legame tra le sostanze presenti e le due malattie considerate in primo grado di una delle quali la sentenza impugnata non parla più . 7. Si tratta di una decisione lacunosa ed apodittica che non si regge su una spiegazione razionalmente e scientificamente plausibile e che da luogo al vizio di omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione rispetto ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio , previsto dall’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, qui applicabile ratione temporis. 8. Andava inoltre considerata, sotto il profilo giuridico, la peculiare disciplina apprestata dall’ordinamento assicurativo per la tutela delle malattie professionali tabellate. 9. Com’è noto, in materia di tutela assicurativa delle malattie professionali, la tabellazione rappresenta l’approdo e la cristallizzazione di giudizi scientifici specifici sull’esistenza del nesso di causalità. La tabella è prevista dalla legge, viene redatta ed aggiornata in base alla legge, proprio allo scopo di agevolare il lavoratore esposto a determinati rischi nella dimostrazione del nesso di causalità sul terreno assicurativo INAIL. Talché, quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore basterà provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva anch’essa tabellata perché il nesso eziologico tra i due termini sia presunto per legge sempre che la malattia si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella . 10. Ora, è certamente vero che la presunzione in questione non sia assoluta Cass. 14023/2004 , rimanendo la possibilità per l’INAIL di provare una diagnosi differenziale, ossia di fornire la prova contraria idonea a vincere la presunzione legale dimostrando l’intervento causale di fattori patogeni extralavorativi. Ma occorre che tale prova attinga ad un fattore causale dotato di efficacia esclusiva, idonea a superare l’efficacia della prova presuntiva dell’accertata esposizione professionale e della tabella. 11. Nel caso del tumore polmonare malattia di natura multifattoriale , in relazione all’esposizione ad amianto, il fattore di rischio è stato previsto in tabella dal DPR 336/1994 e ss. ed oggi alla voce numero 57 della tabella di cui al decreto 9 aprile 2008 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in termini ampi Lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto e senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali. Dovendo perciò ritenersi che l’ordinamento abbia compiuto il giudizio sulla correlazione causale tra i due termini come riferito anche all’apporto concausale. 12. Ciò significa che chi sia stato esposto all’amianto per motivi professionali anche soltanto ambientali ha diritto di vedersi riconosciuta l’origine professionale della malattia ed erogata la tutela assicurativa sociale prevista dalla legge, quand’anche sia stato fumatore, quand’anche abbia vissuto nelle vicinanze di una industria altamente inquinante, quand’anche risultino nel giudizio altre condizioni di confondimento che non assurgano però al ruolo di fattori alternativi di tipo esclusivo. 13. Tutto questo non a caso nella patologia che riguarda, la tabella ha effettuato una prognosi positiva sul nesso causale per esposizione ad amianto in termini volutamente aperti, tenendo conto della caratteristiche della malattia soprattutto in considerazione della discussa e problematica questione della c.d. dose indipendenza delle fibre di asbesto nocive ovvero della dose necessaria ai fini dell’innesco, sviluppo, diminuzione della latenza ed accelerazione della manifestazione delle malattie mortali previste nella stessa tabella questione di cui tanto si discute, anche sul terreno scientifico, ai fini della responsabilità civile e penale. 14. Non per niente l’ordinamento I. 257/1992 e ss. , per altro verso, ha pure stabilito la cessazione totale dell’uso dell’amianto e la bonifica di ogni struttura dove esso risulti impiegato e costituisca un pericolo per le persone. 15. Tutto ciò vale ovviamente in relazione ed ai fini dell’erogazione delle prestazioni assicurative gestite dall’INAIL. 16. Altro vale ai fini del finanziamento del sistema assicurativo INAIL in relazione al quale il limite della concentrazione tale da determinare il rischio di cui all’articolo 153 del DPR 11243/65 opera nell’ottica del premio assicurativo supplementare asbestosico, come criterio statistico attuariale volto a circoscrivere la platea dei datori tenuti al pagamento del premio Cass. 9078/2013 . Ma lo stesso limite non ha mai esercitato alcun effetto ai fini della determinazione dell’ambito di operatività dell’assicurazione né ai fini di accordare la tutela al lavoratore, né quindi ai fini della copertura assicurativa per asbestosi. Lo dice espressamente l’allegato numero 8 al DPR 1124/1965 contenente la tabella relativa all’assicurazione obbligatoria per silicosi ed asbestosi che parla di lavori che comportano impiego ed applicazione di amianto e di materiali che lo contengono o che comunque espongano ad inalazione di polvere di amianto . Basta dunque, anche a tal fine, essere stati comunque esposti all’amianto per motivi professionali ad un rischio professionale amianto anche se non era diretto e qualificato in concentrazioni determinate anche se non era collegato agli stessi presupposti identici utilizzati per calcolare il pagamento del premio supplementare per poter essere protetti, in caso di accertamento della malattia professionale, dal sistema assicurativo e perciò indennizzati. 17. Altre differenti considerazioni valgono pure ai fini del giudizio sul nesso di causalità fuori della tabella, nel campo civile o penale o per le malattie non tabellate anche sul terreno assicurativo , settori rispetto ai quali, in mancanza di tabellazione, esso non può essere affermato in modo rigidamente deterministico sulla base del solo riscontro della presenza di un fattore di rischio nel luogo di lavoro ma - pur tenendo conto della diverse regole di giudizio presenti in ciascuno dei medesimi settori - andrà ricostruito ai sensi degli articolo 40 e 41 c.p. secondo il criterio della conditio sine qua non, della causalità necessaria. Occorrerà perciò la verifica della probabilità logica Sez. Unumero Penali 30328/2002 che rispetto a quella epidemiologica o statistica richiede la verifica aggiuntiva dell’attendibilità dell’impiego della legge scientifica al singolo evento, in base al c.d. giudizio contro fattuale. 18. Per quanto concerne il caso che si giudica, come si diceva, lo stesso ctu di primo grado aveva affermato che la relazione che si innesca sul piano causale tra tumore polmonare, amianto e fumo è di tipo sinergico ovvero ad effetto moltiplicativo o più che addittivo ma la stessa relazione è nota anche alla giurisprudenza di legittimità v. a es. Cass. civ. 18472/2012 la quale ha chiarito come l’abitudine al fumo non spezzi il legame causale con l’esposizione all’amianto tant’è che lo stesso ctu aveva messo in rilievo che il fumo avesse amplificato il nesso con le sostanze presenti nell’ambiente di lavoro ai fini dell’insorgenza delle due malattie diagnosticate in primo grado. 19. In definitiva, deve ritenersi sempre illegittimo negare il ruolo causale di un fattore nocivo professionale tabellato semplicemente qualificando la sua pericolosità come modesta in quanto, essendo tabellata la lavorazione comportante una esposizione comunque all’amianto, secondo il criterio oggettivo dell’esposizione ambientale, l’apporto del fattore extraprofessionale non potrà essere ritenuto esclusivo, ma nemmeno prevalente o comunque tale da negare qualsiasi ruolo concorsuale del medesimo fattore tabellato senza offrire una idonea spiegazione sul piano fattuale e scientifico . 20. La stessa sentenza impugnata non è neppure conforme alla più recente giurisprudenza di questa Corte che si è pronunciata di recente in fattispecie consimile con la sentenza numero 6105 del 26/03/2015, osservando che nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’articolo 41 cod. penumero , per cui il rapporto causale tra evento e danno è regolato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, a determinare l’evento, sicché solo qualora possa ritenersi con certezza che l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre la infermità deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Nella specie, la S.C., nel riaffermare il detto principio, ha cassato la sentenza di merito che, con giudizio probabilistico, aveva ritenuto il tabagismo prevalente in punto di efficacia causale della malattia neoplastica polmonare, senza dare rilievo alla esposizione lavorativa ai fumi di fonderia di fusione dell’acciaio . 21. Non sfugge infine al Collegio che secondo un differente indirizzo giurisprudenziale di legittimità la presunzione legale circa l’eziologia professionale delle malattie tabellate non possa esplicare la sua efficacia nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale Cass. Sez. L. Sentenza numero 12364/2014 numero 21360/2013 numero 15400/2011 . 22. Si tratta di una tesi che pare essersi affermata in relazione a problematiche differenti, rispetto a quella del valore della tabella, ma non risultanti dalla massimazione ovvero in relazione a malattia non tabellata, all’idoneità del fattore causale, all’onere della prova della sua identificazione e presenza . Essa comunque, nella sua formulazione, non sembra, ad avviso di questo Collegio, pienamente aderente al principio di equivalenza causale ex articolo 41 c.p. ed alla logica del sistema tabellare su cui Corte Cost. 179/1988 nei cui elenchi sono inseriti anche tante malattie ad eziologia multifattoriale le quali anzi sono oramai assolutamente prevalenti rispetto a quelle suscettibili di essere catalogate come malattie di origine esclusivamente professionale, in quanto chiaramente riconducibili ad un’unica noxa lavorativa. 23. Lo stesso orientamento di cui sopra, perciò, nella sua assolutezza, finirebbe per indebolire il valore sociale della tabellazione e mettere in crisi la ratio ispirativa dello stesso sistema assicurativo INAIL, anche in rapporto all’articolo 38, comma 2 della Cost 24. Pertanto, sullo stesso tema il collegio intende dare continuità ad altro precedente orientamento su cui questa Corte per lungo tempo non ha mai dubitato e secondo il quale Sez. L, Sentenza numero 14023 del 26/07/2004 l’accertamento dell’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità comporta l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell’I.numero A.I.L. dell’onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed in particolare della dipendenza dell’infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tuttavia, questa regola, allorquando si tratti di una malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, dev’essere temperata nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso, dovendosi, peraltro, ritenere che, nel caso in cui si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torni ad operare, con la conseguenza che l’istituto assicuratore è onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo . Nella stessa direzione anche Cass. numero 5638 del 1991, numero 10953 del 1992, numero 10970 del 1993, numero 4297 del 1996, numero 3252 del 1999, numero 8108 del 2002, numero 4665 del 2003, numero 13954/2014 . 25. In conclusione, tenuto conto di tutti questi rilievi, poiché la sentenza impugnata non si sottrae alle censure formulate dalla ricorrente, il ricorso per cassazione deve essere accolto e la sentenza stessa deve essere cassata, con rinvio della causa, per un nuovo esame, ad un nuovo giudice. Quest’ultimo, che si designa nella Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione, dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra richiamati specie quelli enunciati nei punti 5-13 , provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione.