Mobbing e straining: la proposta di legge dell’apposita fattispecie incriminatrice assegnata alla Commissione Giustizia della Camera

Il 13 ottobre scorso è stata assegnata alla Commissione Giustizia della Camera in sede referente la proposta di legge della deputata Maria Tindara Gullo proposta di legge del 14 marzo 2014, A.comma 2191 volta ad introdurre una specifica fattispecie incriminatrice, in materia di molestia morale e violenza psicologica nell’attività lavorativa, volta alla punizione del mobbing e dello straining.

In particolare, l’art. 2 del ddl prevede l’inserimento dell’art. art. 582- bis . – mobbing e straining . – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro o il lavoratore che, in pendenza di un rapporto di lavoro, con più azioni di molestia, minaccia, violenza morale, fisica o psicologica ripetute nel tempo ponga in pericolo o leda la salute fisica o psichica ovvero la dignità di un lavoratore, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da euro 5.000 a euro 20.000. Il delitto è procedibile d’ufficio. Se la condotta di cui al primo comma è realizzata con un’unica azione, il reato è punito con la pena da 3 mesi a 2 anni e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000. Il delitto è procedibile d’ufficio . Assenza di una ipotesi di reato ad hoc. La mancanza di una norma incriminatrice delle condotte di mobbing, in omaggio al principio di frammentarietà e di tassatività della legge penale, ha fino ad oggi portato la giurisprudenza a prendere atto che la tutela penale della vittima di atti persecutori consumati in ambito lavorativo potrà trovare risposta penale solo ove sussumibile in altri reati. Si è cercato in passato di ricondurre la punibilità del mobbing all’interno dei maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., stante la somiglianza di molti elementi costitutivi del reato, come l’abitualità e lo stato di soggezione cui soggiace la vittima. Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione è stata sempre ferma nel ritenere che la figura di reato di cui all'art. 572 c.p. non costituisce la tutela penale del cd. mobbing lavorativo, il quale, ove dante luogo a condotte autonomamente punibili ingiurie, diffamazione, minacce, percosse, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, etc. , trova nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio Sez. VI, n. 45077/2015 . E che il fenomeno del mobbing - e cioè di un comportamento vessatorio e discriminatorio, preordinato a mortificare e a isolare il dipendente nell'ambiente di lavoro - può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, ma, per la configurabilità di tale reato, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 1° ottobre 2012 n. 172, trattandosi pur sempre di delitto contro l'assistenza familiare, è necessario che le pratiche persecutorie e maltrattanti del datore di lavoro in danno del dipendente mobbing verticale o bossing , ovvero, in ambito di rapporti professionali, del superiore nei confronti del sottoposto, è indispensabile che il rapporto interpersonale sia caratterizzato dal tratto della parafamiliarità ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole dei rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia Sez. VI, nn. 51591/2016 e 26766/2016 in quest’ultima pronuncia, in un caso di rapporti tra i gestori di una ricevitoria e una loro dipendente, qualificabili in termini di lavoro subordinato, si è ritenuto non ricorrere quel nesso di supremazia-soggezione che ha esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari . Il bene giuridico protetto salute fisica e psichica”. Tali principi sono stati ribaditi anche nella sentenza, citata nella proposta di legge Gullo, n. 33624/2013 rectius del 2007 , dove la Suprema Corte confermò la sentenza di non luogo a procedere di alcune insegnanti di sostegno per lesioni personali volontarie gravi in ragione dell'indebolimento permanente dell'organo della funzione psichica ritenendo insostenibile” la tesi espressa dal consulente tecnico della riconducibilità alla nozione di lesione della mera alterazione del tono dell'umore attesa la natura transeunte ed assai comune e la difficoltà di individuare un atto a cui collegare eziologicamente la malattia salvo il ricorrere in questi casi il reato di abuso dei mezzi di correzione, di cui all’art. 571 c.p., ove la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o il reato di lesione personale, comprendendo ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia, all'insonnia, dalla depressione, ai disturbi del carattere e del comportamento così, Sez. VI, n. 19850/2016 . Proprio perché la nozione di malattia, quale conseguenza del mobbing, oltre che fisica, è soprattutto psicologica, per superare lo scoglio della mancata consumazione del delitto di lesioni che presuppongono la lesione all’integrità fisica , il disegno di legge prevede che le condotte mobbizzanti pongano in pericolo o leda la salute fisica o psichica della persona offesa. Bastava lo stalking? Tale collocazione topografica della proposta nuova fattispecie di mobbing, subito dopo quella di lesioni, non convince. Anche perché dopo la previsione del delitto di atti persecutori la necessità di una espressa previsione del reato di mobbing sembra essere estremamente ridotta in quanto le più azioni di molestia, minaccia, violenza morale, fisica o psicologica ripetute nel tempo coincidono con le reiterate condotte di molestie e di minacce tipizzate nell’art. 612- bis c.p. e pure sul piano degli eventi ivi alternativamente tipizzati soprattutto con riferimento al grave e perdurante stato di ansia e di paura rientreremmo all’interno dei confini criminologici del fenomeno mobbing. Peraltro, qualora tali condotte non ledano solo la libertà psichica, ma sfocino in danno di quella fisica, potrà trovare applicazione anche l’art. 582 c.p Ciò in quanto la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612- bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni con il quale può invece concorrere Sez. V. n. 10051/2017 , il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica da ultimo Sez. V, n. 18646/2017 . Criticità sistematiche e incertezze strutturali. Proprio dal raffronto col l’attuale tipizzazione del delitto di stalking emergono alcuni profili di scarsa armonizzazione sistematica il nuovo reato di mobbing sarebbe perseguibile sempre d’ufficio, anche nella ipotesi attenuata di straining , nonostante sia punito con una pena – da sei mesi a tre anni per il mobbing e da tre mesi a due anni per lo straining – inferiore nel massimo a quella attualmente prevista nell’art. 612- bis c.p. da 6 mesi a 5 anni e nonostante la sostanziale affinità delle due fattispecie. Ciò, alla luce delle novelle apportate dalla c.d. riforma Orlando precluderebbe per i delitti di mobbing e di straining l’accesso all’estensione del reato per condotte riparatorie, previsto dal nuovo art. 162- ter c.p Si potrebbe obiettare che le nuove ipotesi criminali vengono disegnate dalla proposta di legge sia come reato di pericolo concreto, sia come reato di evento o di danno in quest’ultimo senso è stato alla fine costruito il delitto di stalking . Ma, a parte la singolarità della previsione, farebbe aumentare i margini di incertezza in quanto anche laddove la si volesse ricostruire come reato di pericolo per giustificare le diverse comminatorie rispetto allo stalking sarebbe difficile motivarle in un ottica di anticipazione di tutela del mobbing sol perché realizzato in ambito lavorativo come se quest’ultimo fosse più grave di quello realizzato in altri ambiti . Tutela anche dello straining. La previsione del secondo comma prevede una riduzione di pena se la condotta di cui al primo comma è realizzata con un’unica azione . Tale disposizione sembra voler accordare una tutela penalistica anche allo straining , ove in sede civile, per configurare il relativo danno, è stata ritenuta sufficiente anche una sola azione ostile. In particolare, Cassazione Civile, sez. Lavoro, sentenza n. 3291/2016, ha stabilito che è pacifico che lo straining consiste in una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro. In tutte le suddette ipotesi se la condotta nociva si realizza con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità si è in presenza dello straining , che è pur sempre un comportamento che può produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o pscichici. Pertanto, pur mancando il requisito della continuità nel tempo della condotta, essa può essere sanzionata in sede civile sempre in applicazione dell’art. 2087 c.c. ma può anche dare luogo a fattispecie di reato, se ne ricorrono i presupposti. Viene all’uopo richiamata, infatti, Cassazione penale, Sezione Vi, n. 28603 del 2013 che si è occupata proprio di una situazione di fatto astrattamente riconducibile alla nozione di straining . Considerazioni conclusive. Se può essere condivisa la ratio della proposta di legge – quella di colmare una lacuna dell'ordinamento, perché la mancanza di una norma specifica che descriva e sanzioni la fattispecie del cosiddetto mobbing” ha, spesso, determinato l'assoluzione per soggetti che hanno posto in essere condotte ritenute riprovevoli dalla generalità dei consociati, ma prive di sanzione penale specifica – non sempre la minaccia della sanzione penale assicura una tutela più rafforzata alle vittime del reato che potranno sicuramente trovare ristoro dei danni subiti in sede civile. È innegabile una difficoltà processuale nel ricostruire contesti di mobbing e straining in sede penale e il raggiungimento di standard probatori al di la di ogni ragionevole dubbio. Basti pensare che per la loro sussistenza sono stati fissati dalla scienza medica sette parametri tassativi e necessari da Cassazione civile, sez. Lav., n. 10037/2015 1 ambiente lavorativo il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro 2 frequenza le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese 3 durata i conflitti devono essere in corso da almeno 6 mesi 4 tipo di azioni le azioni devono appartenere ad almeno 2 delle categorie del Lipt Hege 5 dislivello tra antagonisti la vittima è in posizione costante di inferiorità 6 andamento secondo fasi successive la vicenda ha raggiunto almeno la II° fase del modello Ege 7 intento persecutorio. In ogni caso, il ddl va sicuramente migliorato nella definizione della struttura e degli elementi costitutivi del reato, nonché nell’esatta individuazione dei confini applicativi con altre fattispecie di reato.