In tema di azione di disconoscimento di paternità e quindi di tutela della famiglia, la legittimazione e la formulazione comune della domanda giudiziale di disconoscimento costituiscono i presupposti necessari e sufficienti per la validità e la procedibilità formale della medesima azione processuale. E’, così, illegittima la sentenza di merito con cui, accertata la legittimazione del ricorrente, l’intervento adesivo degli altri legittimati e l’assenza di contrasti od opposizioni in sede di contraddittorio regolarmente costituitosi, nonché la prova ematogenetica tra fratelli disposta successivamente al decesso del padre e le conclusioni favorevoli del P.M., venga dichiarata improcedibile l’azione di disconoscimento proposta nei confronti del fratello in quanto il ricorrente non ha indicato il fatto determinante della decorrenza del termine decadenziale della medesima azione.
Il principio si argomenta dalla sentenza numero 14557, decisa l’8 aprile e depositata il 26 giugno 2014. Il caso . Un soggetto proponeva un’azione di disconoscimento di paternità nei confronti del fratello, affermando che quest’ultimo fosse nato a seguito di una relazione pre-matrimoniale della madre con un altro uomo e prima dei 180 giorni dal matrimonio col padre, ora deceduto non indicava, però, il momento in cui aveva acquisito la conoscenza di tale relazione e, comunque, tutti gli altri fratelli, la madre e lo stesso fratello, disconoscendo, aderivano alla domanda giudiziale. L’azione di reclamo di stato presupposti e condizioni. In primis , vanno richiamati gli articolo 2, 3, 24, 29 e 30 Cost., 74, 233, 235, 243 bis, 244, 247 e 2697 c.c., 102 e 183 c.p. nonché la l. numero 151/1975, la l. numero 219/2012 ed il d.lgs numero 154/2013. All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di paternità, filiazione e diritti successori. Sotto il profilo formale, varie le osservazioni da effettuare. La prima riguarda la legittimazione ad agire. Va detto che essa può deriva re anche dalla qualità di erede e, pertanto, l’azione può essere proposta quale discendente del genitore è da precisare, però, che non si tratta di legittimazione attiva autonoma ed originaria, iure proprio . Sul piano procedurale, l’azione è proponibile, entro il termine decadenziale di cinque anni dalla nascita del figlio, da ciascuno dei coniugi ed è, invece, imprescrittibile da parte del figlio e, come nella fattispecie, la prova del dies a quo è desumibile dai fatti processuali non contestati e pacifici. Segnatamente, il disconoscendo, aderendo all’azione del collaterale disconoscente, diviene titolare dell’esercizio della medesima azione e, peraltro, non è tenuto a svolgere una domanda autonoma. La seconda inerisce gli effetti dello ius superveniens rispetto all’azione di disconoscimento proposta dal figlio fratello a riguardo, il favor legislativo è per l’applicazione immediata ed anche ex tunc e, quindi, anche ai giudizi pendenti, fermi però gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore dello stesso ius . In termini di diritto sostanziale, è da sottolineare che l’azione, contestando l’ascendenza dal comune genitore, si traduce nel disconoscimento del collaterale e questo può essere invocato ai sensi e per gli effetti della stessa disposizione in tema di disconoscimento di paternità è da notare, inoltre, che la sola dichiarazione della madre, alla luce dell’ordinamento interno così novellato, non esclude più la paternità. Decisione il quasi collaterale può proporre, iure hereditatis, l’azione di disconoscimento di paternità. In ambito di status di figlio e tutela dei rapporti familiari, l’azione di disconoscimento di paternità non è qualificabile tardiva se non venga allegato e provato il fatto-fondamento oggetto di ricorso e se lo stesso collaterale disconoscendo abbia aderito alla medesima altrui azione attorea formulata in sede giurisdizionale. Ergo , il ricorso va accolto e la sentenza va cassata.
Corte di Cassazione., sez. I Civile, sentenza 8 aprile – 26 giugno 2014, numero 14557 Presidente Forte – Relatore Acierno Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Venezia, confermando la pronuncia di primo grado dichiarava improponibile l'azione di disconoscimento della paternità proposta da Vi.Ad. nei confronti del proprio fratello V.A. . La parte attrice affermava che la madre prima di sposarsi omissis con il padre V.L. , deceduto in data omissis , aveva avuto una relazione sessuale con B.A. , dalla quale era nato il fratello il omissis prima dello scadere dei 180 giorni dal matrimonio. Tutti i convenuti costituiti, ovvero gli altri fratelli e la madre, oltre che V.A. , avevano aderito alla domanda. La Corte d'Appello, su impugnazione di Vi.Ad. e sull'appello incidentale adesivo delle altre parti, affermava a Vi.Ad. ha agito come discendente del padre premorto ex articolo 247 cod. civ., succedendo nella posizione del genitore e con i limiti ad esso opponibili. Ne conseguiva che, nell'ipotesi, prospettata dall'appellante che i suoi genitori non avessero avuto rapporti sessuali prematrimoniali, il padre avrebbe potuto e dovuto disconoscere il figlio entro un anno dalla nascita dello stesso, essendo del tutto consapevole di non esserne il padre. b Nell'ipotesi in cui, invece, si fosse ipotizzato che il padre avesse avuto rapporti sessuali prima del matrimonio con la futura moglie egli, o gli eredi per esercitare l'azione avrebbero dovuto allegare il momento in cui fossero venuti a conoscenza della circostanza di una relazione sessuale della moglie con un altro uomo, al fine del decorso del termine per esercitare l'azione. c Anche in ordine al disconoscimento da parte del figlio A. la domanda doveva ritenersi tardiva, dal momento che quest'ultimo poteva esercitarla entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui fosse venuto a conoscenza dei fatti che rendevano ammissibile il riconoscimento. Ne conseguiva la necessità dell'indicazione del momento in cui era stata acquisita tale conoscenza, mentre la parte si era limitata alla mera adesione alla domanda attorea senza né allegare né provare la predetta circostanza di fatto. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione V.A. , V.G. e L.G. , affidandosi a tre motivi. Hanno proposto controricorso con richiesta di cassazione della sentenza d'appello, Vi.Ad. e Al. . Hanno depositato memoria le parti ricorrenti. Motivi della decisione Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del principio della domanda ex articolo 102 e 183 cod. proc. civ. con particolare riferimento all'articolo 2697 cod. civ. per non avere la Corte d'Appello considerato la legittimazione e la formulazione comune della domanda di disconoscimento ancorché formalmente prospettata da uno solo dei legittimati con l'intervento adesivo degli altri. In particolare veniva rilevato che la costituzione del contraddittorio non imponeva l'assunzione di posizioni contrastanti od opposte ma soltanto la pluralità di partecipanti al processo. La Corte d'Appello, pur avendo esaminato la domanda di V.A. non aveva tratto da essa le debite conseguenze. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. per avere la Corte dichiarato d'ufficio la tardività dell'azione proposta dal ricorrente a causa della mancata indicazione del dies a quo il momento della conoscenza del decorso del termine decadenziale. Il motivo viene articolato anche sotto il profilo del vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Osserva il ricorrente che nessuna norma processuale gl'imponeva di svolgere una domanda autonoma invece che aderire alla domanda della sorella. Il contraddittorio tra le parti, peraltro necessario si era correttamente costituito. Il ricorrente doveva, di conseguenza, essere ritenuto titolare dell'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità, pur essendosi limitato ad aderire alla domanda di Vi.Ad. , con la conseguenza che i fatti accertati dovevano ritenersi acquisiti anche rispetto alla domanda da lui proposta. Pertanto doveva ritenersi che la prova del dies a quo della conoscenza era desumibile dai fatti di causa, non contestati e pacifici. È risultato non controverso in causa che L.G. aveva avuto una relazione sessuale con B.A. , anteriormente al matrimonio mentre non aveva avuto rapporti sessuali con V.L. che aveva sposato. Tale circostanza era rimasta segreta tra il padre e la madre fino al 2005, quando a causa del rafforzarsi di voci di paese venne eseguita la prova del DNA da parte di V.A. e V.G. , dalla quale emerse incontrovertibilmente che non potevano essere figli dello stesso padre. Dunque soltanto in quell'anno fu possibile per V.A. apprendere la circostanza da cui far scaturire il dies a quo dell'azione. Peraltro, aggiunge il ricorrente anche il P.M. aveva concluso per l'accoglimento dell'azione. Nel terzo motivo viene dedotta la erronea applicazione dell'articolo 235 cod. civ. in correlazione con la lettura della stessa fornita da Corte Cost. numero 266 del 2006. La medesima censura viene prospettata sotto il profilo del vizio di motivazione. Rileva il ricorrente che dai fatti di causa non emerge alcun atto o documento che possa rendere inverosimile la circostanza che il dies a quo per esercitare l'azione fosse diverso da quello coincidente con la prova ematogenetica. Né può ritenersi che vi sia stato un accordo tra le parti volto ad aggirare le decadenze, dal momento che la conoscenza dei fatti posti a base dell'ammissibilità del disconoscimento è coinciso con l'accertamento sopra indicato. Vi.Ad. e Al. nel proprio controricorso hanno contestato la tardività della proposizione dell'azione osservando che il fatto dato per vero sulla base del quale è stata dichiarata la predetta tardività ha valenza soltanto ipotetica in quanto l'assenza di rapporti sessuali tra i loro genitori prima del matrimonio era un mero postulato ma non una verità assoluta. Ne consegue che il dies a quo in questa ipotesi si sarebbe dovuto spostare al momento della conoscenza effettiva. Diversamente ragionando si avrebbe una disparità di trattamento ingiustificata ed una lesione ex articolo 24 Cost., non potendo essere ancorata in modo del tutto rigido la conoscenza del genitore e quella del figlio legittimato alla sua morte. Deve preliminarmente osservarsi che il controricorso depositato da Vi.Ad. ed Al. contiene un vero e proprio ricorso incidentale volto a censurare la statuizione di tardività di proposizione dell'azione rivolta verso tali parti nella sentenza impugnata. La mancanza di una formale intestazione al riguardo non esime questa Corte da una corretta qualificazione dell'atto difensivo e dall'esame del motivo di ricorso da svolgersi anteriormente, in ordine logico, rispetto a quelli riguardanti il ricorso principale. Correttamente la Corte d'Appello ha fatto discendere la legittimazione ad agire dei fratelli di V.A. dalla loro qualità di eredi dal padre litisconsorte necessario nell'azione di disconoscimento di paternità articolo 247 quarto comma cod. civ. . Da tale premessa è coerentemente conseguito che la identificazione del dies a quo conoscenza del fatto da cui desumere il concepimento non dal genitore legittimo dovesse essere valutata alla stregua della posizione del de cuius e non degli eredi essendo questi ultimi non titolari di un diritto a richiedere il disconoscimento di paternità iure proprio ma esclusivamente iure haereditatis. Ne consegue che ai fini dell'osservanza del termine di decadenza per la proposizione dell'azione deve aversi riguardo alla disciplina normativa ratione temporis applicabile al padre legittimo, individuando come dies a quo quello in cui il fatto rilevante poteva essere conosciuto dal de cuius e non dagli eredi. Al riguardo la Corte d'Appello ha fondato la propria decisione su due rationes decidendi sostanzialmente concorrenti. Ha ritenuto che ove si ritenesse provata la conoscenza da parte del padre legittimo della relazione sessuale della madre con un terzo desumibile dall'assenza di rapporti sessuali prematrimoniali da parte dei nubendi la decadenza si doveva ritenere ampiamente consumata, in quanto decorrente dalla nascita di V.A. . Del pari, ove invece tali rapporti vi fossero stati, sarebbe stato necessario ai fini della proposizione dell'azione identificare il momento della conoscenza della relazione con altro uomo, circostanza neanche allegata, dovendosi altrimenti ritenere anche in tale ipotesi,come dies a quo il giorno della nascita. Deve, pertanto, condividersi la valutazione di tardività della proposizione dell'azione formulata dalla Corte d'Appello, non potendosi nella specie assumere come dies a quo del termine di decadenza la conoscenza effettiva da parte dei legittimati-eredi, successiva alla morte del proprio padre, essendo questi ultimi privi di una legittimazione attiva autonoma ed originaria, ed avendo una titolarità esclusivamente derivata dal proprio avente causa. Ne consegue che, limitatamente all'esame del ricorso incidentale, risulta ininfluente la soluzione del quesito relativo all'applicabilità della disciplina normativa codicistica del disconoscimento della paternità vigente al momento della proposizione dell'azione o quella medio tempore introdotta dalla L. numero 219 del 2012 e dal d.lgs. numero 154 del 2013. Peraltro, anche alla luce del novellato articolo 244 cod. civ., la decadenza dalla proposizione dell'azione si sarebbe determinata, in virtù della previsione di uno sbarramento temporale di cinque anni dalla nascita disancorato dal requisito della conoscenza. articolo 244, quarto comma così come modificato dal d.lgs. numero 154 del 2013 . La necessità di affrontare la questione relativa al regime giuridico applicabile si pone invece con riferimento ai motivi di ricorso principale da trattarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi. Deve osservarsi, al riguardo che il d.lgs numero 154 del 2013 ha profondamente mutato il regime giuridico del disconoscimento di paternità. Gli articolo 233 nascita del figlio prima dei 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e 235 disconoscimento del figlio concepito durante il matrimonio sono stati abrogati. Nel capo III del titolo VII Dello stato di figlio del libro primo sono confluite le azioni di disconoscimento, di contestazione e di reclamo dello stato di figlio. L'articolo 243 bis cod. civ. ha semplificato la disciplina normativa dell'azione di disconoscimento della paternità, sotto il profilo della legittimazione e della prova, stabilendo che l'azione può essere proposta dal marito, dalla madre e dal figlio. Chi la esercita è ammesso a provare che non sussiste il rapporto di filiazione contestato. La sola dichiarazione della madre, come in passato,non esclude la paternità. Una radicale innovazione è intervenuta in ordine ai termini di proposizione dell'azione di disconoscimento, così come delineati dal novellato articolo 244 cod. civ Nei primi tre comma viene definito il regime decadenziale di proposizione dell'azione da parte della madre primo comma del marito un anno dalla nascita o dalla conoscenza dell'impotenza a generare o dell'adulterio, o dal ritorno alla residenza familiare se non vi si trovava al momento della nascita . Nel quarto comma, come già rilevato, viene fissato un termine decadenziale di cinque anni dalla nascita per la madre ed il marito, insuscettibile di subire slittamenti. La norma costituisce il punto di equilibrio individuato dal legislatore tra l'esigenza di verità e quella di stabilità, ponendo un limite invalicabile, ai legittimati diversi dal figlio, all'esercizio del diritto di stabilire la verità nei rapporti di filiazione e nella formazione degli status. Il comma di cruciale importanza nel presente giudizio è, tuttavia, il quinto che stabilisce l'imprescrittibilità dell'azione con riguardo al figlio. L'applicabilità, ove non esclusa dalle norme di diritto transitorio, dello jus superveniens costituisce un dovere-potere officioso di questa Corte ove il nuovo regime giuridico sia entrato in vigore dopo la proposizione del ricorso per cassazione Cass.852 del 1976 e 498 del 1986 con riferimento alle modifiche del regime di disconoscimento di paternità introdotte dalla L. numero 151 del 1975 . È, conseguentemente, necessario stabilire se la nuova previsione dell'imprescrittibilità trovi applicazione nei giudizi pendenti. Al riguardo soccorre l'articolo 104 del d.lgs. numero 154 del 2013 il quale contiene un'articolata disciplina transitoria delle norme della legge delega numero 219 del 2012 e di quelle del successivo decreto delegato. In particolare dovranno essere esaminati i comma settimo e nono della disposizione transitoria in quanto espressamente riguardanti il disconoscimento. Nel comma settimo viene affermato Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, numero 219, le disposizioni del codice civile, come modificate dal presente decreto legislativo, si applicano alle azioni di disconoscimento di paternità, di reclamo e di contestazione dello stato di figlio, relative ai figli nati prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo . Nel successivo nono comma viene affermato Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, numero 219, i termini per proporre l'azione di disconoscimento di paternità', previsti dal quarto comma dell'articolo 244 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo . Dall'esame delle due disposizioni emerge in modo inequivoco che la nuova disciplina normativa del disconoscimento di paternità si applica a Anche ai figli nati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. numero 154 del 2013 7/2/2014 fermi però gli effetti del giudicato, formatosi prima dell'entrata in vigore della L. numero 219 del 2012, 1/1/2013 . b I nuovi termini di decadenza dall'azione previsti per la madre ed il marito dall'articolo 244, quarto comma, cinque anni dalla nascita decorrono e, conseguentemente, trovano applicazione soltanto a partire dall'entrata in vigore del d.lgs. numero 154 del 2013, mentre ai giudizi instaurati anteriormente a tale data si applica il regime decadenziale pregresso. L'esclusivo rinvio al quarto comma dell'articolo 244 cod. civ., conduce ad escludere che tale deroga trovi applicazione in relazione alla nuova previsione d'imprescrittibilità dell'azione per il figlio e alla conseguente mancata previsione normativa di un regime decadenziale, sancita nel successivo quinto comma. Deve rilevarsi, al fine di una corretta interpretazione della disciplina transitoria propria dell'azione di disconoscimento della paternità, che il limite temporale del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della L. numero 219 del 2012 viene assunto anche nei primi tre comma per sancire l'applicazione dell'articolo 74 cod. civ., contenente l'equiparazione di tutte le tipologie di filiazione, ai fini della relazione giuridicamente qualificata di parentela alla proposizione delle azioni di petizione di eredità e all'esercizio dei diritti successori estesi anche ai discendenti del figlio morto anteriormente all'entrata in vigore della L. numero 219 del 2012. I comma quarto e quinto, inoltre stabiliscono che i diritti successori derivanti dall'applicazione dell'articolo 74 cod. civ. si applicano anche alle eredità che si siano aperte prima dell'entrata in vigore della L. numero 219 del 2012 ed, infine che nei riconoscimenti o le dichiarazioni giudiziali di genitorialità che intervengano dopo l'entrata in vigore della nuova legge verosimilmente delega , i diritti successori che non sarebbero spettati alla persona deceduta prima di tale termine possono essere esercitati dai discendenti con uno slittamento temporale della prescrizione. Il sesto comma completa il quadro estensivo prevedendo che anche ai giudizi già pendenti di petizione di eredità si applica la nuova disciplina della parentela e le disposizioni del libro secondo le successioni del codice civile, sempre fermi gli effetti del giudicato formatosi prima del 1/1/2013. Risulta in conclusione del tutto evidente un netto favor legislativo verso l'applicazione immediata, salvo il giudicato che si sia formato nei limiti temporali sopra indicati, delle nuove norme sulla filiazione, relative alla parentela ed alle ricadute sui diritti successori nonché alle azioni di stato. Al riguardo, il riferimento espresso al giudicato non può che interpretarsi come comprensivo anche dei giudizi in corso che siano investiti dello jus superveniens, così come già verificatosi con l'entrata in vigore della L. numero 151 del 1975. Non sarebbe coerente con tale evidente ratio legislativa della norma transitoria, la quale al settimo comma regola allo stesso modo con il solo sbarramento temporale del giudicato anche la vigenza delle nuove norme sostanziali della legge delega numero 219 del 2012, l'esclusione del nuovo regime ai giudizi pendenti. L'argomento testuale secondo il quale il riferimento espresso ai giudizi pendenti è limitato al sesto comma, mentre negli altri il riferimento è esclusivamente al giudicato non risulta convincente. Il sesto comma costituisce un completamento del meccanismo estensivo dell'applicazione della nuova norma sulla parentela alle azioni di petizione di eredità già intraprese alla data di entrata in vigore del decreto legislativo e non coperte da giudicato formatosi prima del 1/1/2013. L'adeguamento è imposto in questa tipologia di azioni dalla modificazione in corso di causa della legittimazione ad agire, non dalla individuazione dell'unica esclusiva ipotesi di estensione della nuova disciplina normativa contenuta nella legge delega e nel decreto legislativo delegato ai giudizi pendenti. Questo richiamo, peraltro, come osservato, fondato su una ratio specifica, non scalfisce il significato univoco, sotto il profilo semantico e giuridico - formale dell'espressione giudicato , in quanto diretta in via esclusiva a definire l'intangibilità di una decisione giudiziale e conseguentemente a richiamare la pendenza del procedimento volto a definirla, prima del suo formarsi. Si ritiene in conclusione che fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della L. numero 219 del 2012 stia ad indicare che in assenza di essi le nuove norme, così come individuate dall'articolo 104 d.lgs numero 154 del 2014 si applicano ai giudizi pendenti, ai quali, in modo particolare si rivolge specularmente la definizione attraverso il giudicato. Da tale premessa consegue che il nuovo regime dell'imprescrittibilità dell'azione di disconoscimento proposta dal figlio si applichi al presente giudizio con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d'Appello territoriale in diversa composizione perché esamini la posizione del ricorrente V.A. alla luce del nuovo regime giuridico ad esso applicabile. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso incidentale. Accoglie il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione.