Solfiti nella carne fresca? Reo di lesioni personali

Il reato di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, previsto dall’articolo 440 c.p., è a forma libera e quindi può realizzarsi anche mediante attività non occulte o fraudolente, né espressamente vietate dalla legge.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 22618, depositata il 30 maggio 2014. Il caso. L’imputato, titolare di una macelleria, veniva condannato in primo grado con riforma in appello solo in punto di pena per contraffazione di sostanze alimentari e lesioni, per avere posto in commercio della carne tritata fresca alla quale erano stati aggiunti degli additivi alimentari - più precisamente un’alta concentrazione di solfiti – che, mangiata da una cliente allergica alla predetta sostanza, aveva comportato per la stessa uno shock anafilattico, con conseguenti lesioni personali gravissime. Nel corso del procedimento, infatti, era emerso un nesso causale tra l’assunzione da parte della vittima della carne adulterata e la reazione allergica conseguente. L’imputato aveva, peraltro, confermato di avere utilizzato un preparato al fine di mantenere la carne fresca e che questi e la sua famiglia l’avevano pure consumata. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizi di motivazione relativi all’accertamento del nesso causale, posto anche l’ingerimento da parte della persona offesa, anche di altri alimenti contenenti le medesime sostanze. Deduceva, inoltre, vizio di legge in relazione all’articolo 440 c.p. tenuto conto che non sarebbe stata provata la consapevolezza in capo all’imputato della possibilità di nuocere alla salute pubblica, con l’uso della sostanza contestata. L’adulterazione alimentare. Com’è noto, l’articolo 440 c.p. dispone che «chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio». Ebbene, il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, come peraltro, ribadito dalla Suprema Corte, è a forma libera e, dunque, non presuppone necessariamente modalità fraudolente o comunque occulte di corruzione degli alimenti. Con specifico riferimento all’elemento psicologico, si rileva, peraltro che questo è costituito dal dolo generico e, dunque, risulta sufficiente la coscienza e volontà della condotta. Il divieto di legge. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto integrata la condotta, stante che l’imputato con consapevolezza, pur sapendo che l’uso di solfiti era assolutamente vietato nelle carni fresche, ai sensi del d.m. numero 209/2006 - giacché lo stesso aveva in tal senso seguito un corso attraverso il quale aveva avuto modo di apprendere la normativa alimentare - aveva usato, comunque, tale sostanza sui prodotti da lui messi in vendita. A nulla può rilevare, secondo gli Ermellini, la circostanza che la carne veniva regolarmente consumata anche dallo stesso e dalla sua famiglia, dato che tale fatto non poteva escludere che tra gli acquirenti dei suoi prodotti vi potessero essere soggetti allergici. Al contrario, l’imputato, consapevolmente e con l’intento di commercializzare carne non fresca, «adeguatamente imbellettata, si prestò all’utilizzo di sostanza rigorosamente vietata». Tale circostanza è sufficiente, secondo la Corte, a configurare il dolo generico richiesto dalla norma, essendo stata messa in pericolo obiettivo la salute pubblica, a seguito dell’adulterazione di sostanze alimentari, a prescindere dalla sussistenza della volontà di attentare alla stessa.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 – 30 maggio 2014, numero 22618 Presidente Chieffi – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19.3.2013, la corte d'appello di Catania riformava solo in punto pena da sei a quattro anni di reclusione la condanna inflitta a R.N. dal gip del Tribunale della stessa città, in data 12.6.2008, per i reati di cui agli articolo 440 e 590 comma 2 cod.penumero in particolare era stato accertato che il R. , in qualità di titolare di macelleria, aveva posto in commercio carne tritata fresca, aggiungendo notevoli concentrazioni di additivi alimentari che detta carne era stata consumata da D.N.S. che a causa proprio di detti additivi, aveva subito una reazione da shock anafilattico con arresto cardio circolatorio, quindi aveva riportato lesioni personali gravissime, da cui derivava malattia certamente gravissima. L'affermazione di colpevolezza seguiva all'intervenuto accertamento a mezzo di consulenza tecnica del Pm, del nesso causale tra l'assunzione da parte della vittima dell'alimento adulterato e la reazione allergica. La giovane, dopo avere consumato polpette di carne preparate in casa, aveva accusato una forte tosse e gravi crisi respiratorie, a seguito delle quali aveva perso i sensi nel corso del trasporto in ospedale venivano riscontrati arresto cardio circolatorio e cianosi i successivi esami avevano verificato che la crisi respiratoria e l'arresto cardiaco erano stati all'origine della ipossia celebrale, con danni irreversibili. Veniva acquisito il dato che la giovane era allergica ai solfiti e veniva accertato nella parte residua di carne acquistata presso il R. e congelata, che la stessa conteneva una concentrazione di solfito di sodio pari a 10,7 g/Kg., percentuale che risultava presente nei campioni di carne analizzata presso la macelleria dell'imputato. Il R. assumeva di aver utilizzato un preparato, costituito da una polvere da diluire con acqua, onde arrestare i fenomeni putrefattivi della carne, assumendo di non averne conosciuta la composizione. I giudici del merito ritenevano integrata la condotta di cui all'articolo 440 cod.penumero , considerato che l'uso dei solfiti era assolutamente vietato nelle carni fresche, ai sensi del DM 27.2.2006, numero 209, divieto che il R. in quanto operatore del settore, conosceva, anche perché aveva dovuto frequentare corsi sul rispetto della normativa alimentare e della salute pubblica e che l'uso del solfito nella carne conservava solo in apparenza la freschezza del prodotto, proteggendolo dall'ossidazione, ma non dal processo putrefattivo. Essendo il reato in questione di mero pericolo ed essendo sorretto da dolo generico, veniva ritenuta sufficiente la coscienza e volontà della condotta e dell'evento ad esso collegabile, cioè il pericolo obiettivo per la salute per la configurazione dell'elemento soggettivo. Quanto al reato di lesioni, veniva ritenuto superfluo disporre una perizia, considerata l'accertata genesi dello shock subito dalla vittima e quindi l'assoluta certezza dello stretto nesso causale tra l'ingestione della carne e la crisi. I due reati non erano messi in continuazione fra loro. I giudici di secondo grado riducevano la pena per entrambi, ma non ritenevano di concedere le circostanze attenuanti generiche, considerati la gravità delle conseguenze arrecate con la condotta illecita, l'esistenza di precedenti penali a carico dell'imputato, lo spirito meramente speculativo e senza scrupoli che aninò l'imputato che tenne ancora in vendita la carne alterata anche dopo l'accertamento del fatto. Veniva ritenuto ampiamente provato il danno conseguito in capo alla vittima ed ai suoi familiari, considerato che la giovane donna subì effetti devastanti a causa dell'ipossia celebrale, essendo oggi ridotta a vita vegetativa con necessità di assistenza continua, non potendosi alimentare autonomamente e soffrendo di incontinenza, il che da la cifra della perdita di chance della giovane, già studentessa universitaria e della sofferenza morale inflitta ai genitori, oltre che dei danni materiali conseguiti. Veniva altresì disattesa la richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento di provvisionale, atteso che la condanna avendo ad oggetto il pagamento di somma di denaro, non postula un danno irreparabile dall'anticipata esecuzione, poiché diverso è il concetto della concreta difficoltà di recupero della somma. 2. Avverso detta decisione, interponeva ricorso per cassazione l'imputato, pel tramite del suo difensore, per dedurre 2.1 Vizi motivazionali quanto alla mancata rinnovazione dell'istruttoria al fine di disporre perizia medico legale, onde accertare se ed in quale misura la condotta attribuita all'imputato abbia esplicitato efficacia causale rispetto alle lesioni riportate dalla D.N. . Secondo la difesa, non poteva bastare la consulenza tecnica del pm, atteso che la sentenza non è stata in grado di rispondere congruamente sui problemi che possono provocare i solfiti su persone sensibili e quale sia la quantità necessaria sufficiente per fare sorgere problemi analoghi a quelli subiti dalla D.N. . Non solo, ma sarebbe rimasto senza risposta il quesito sulla incidenza di altri alimenti contenenti additivi ingeriti dalla persona offesa, quale ad es. l'aceto balsamico. Sarebbe quindi mancante una motivazione congrua in relazione alle plurime lacune della consulenza che erano state evidenziate e sulla regolarità degli esami che portarono ad accertare la presenza dei solfiti. 2.2 Violazione dell'articolo 440 cod.penumero , con riguardo alla mancata assoluzione dell'imputato non sarebbe stata provata la consapevolezza in capo all'imputato della possibilità di nocumento alla salute della sostanza utilizzata per rinfrescare la carne, atteso che il R. e la sua famiglia erano soliti consumare quel tipo di carne. La prova del dolo da parte dell'imputato sarebbe stata collegata al non poteva non sapere , così delineando una sorta di responsabilità oggettiva. 2.3 Illogicità della motivazione, quanto alla mancata assoluzione dal reato di cui all'articolo 440 cod.penumero la corte avrebbe ripreso la motivazione del primo giudice, non indicando le ragioni per le quali ha ritenuto superabile la presunta consapevolezza degli effetti dannosi dell'uso di additivi, con la circostanza del consumo di detta carne ad opera dello stesso imputato, della sua famiglia e dei suoi dipendenti. 2.4 Violazione di legge in relazione all'intervenuta condanna dell'imputato per il reato di cui all'articolo 590 comma 2 cod.penumero , in relazione all'articolo 583 comma 2 cod.penumero sarebbe stata ritenuta in termini di mera probabilità l'esistenza del rapporto fra l'azione posta in essere dall'imputato e le lesioni riportate dalla vittima, in ragione dell'intolleranza ai solfiti di quest'ultima, ma al più si potrebbe dare per accertata la relazione tra i solfiti e la reazione allergica della giovane studentessa, ma non un rapporto eziologico tra condotta dell'imputato e lesioni riportate. I consulenti sulla cui parola è stata basata la sentenza, non avrebbero offerto chiarimenti tecnico scientifici sul contrasto tra gli accertamenti effettuati sulla carne esaminata e quelli posti in essere presso l'IZS di , in esito ai quali era stata esclusa la presenza di solfiti. Viene rilevato che la Corte avrebbe dovuto compiere un giudizio controfattuale, valutando se l'evento si sarebbe comunque verificato in assenza della condotta commissiva dell'imputato e non limitarsi invece ad asserire l'esistenza della condotta illecita, quale quella di intervenuta aggiunta di additivi nella carne. 2.5 Vizi motivazionali, quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, atteso che l'esistenza di precedenti non vale a negare il beneficio, l'uso sistematico di solfiti è frutto di un travisamento dei fatti, poiché solo nella carne sequestrata il 9.2.2006 è stata riscontrata la presenza di additivi e l'imputato ha riconosciuto un uso non sistematico della sostanza e quindi sporadico. 2.6 Vizi motivazionali in riferimento alla mancata inflizione di pena minima l'imputato non sarebbe stato messo in condizioni di conoscere le ragioni per cui gli venne inflitta una pena sensibilmente superiore al minimo, avendo fatto i giudici del merito ricorso a formule formali. 2.7 Vizi motivazionali quanto alla mancata sospensione e revoca della condanna al pagamento di provvisionale l'esborso delle somme indicate in sentenza avrebbe creato un grave ed irreparabile danno all'imputato, oltre ad essere ingiustificate atteso il mancato collegamento in maniera diretta al R. . 2.8 Violazione di legge in relazione all'intervenuta condanna dell'imputato al risarcimento dei danni, in favore della parte civile la difesa lamenta una non corretta applicazione dell'articolo 539 cod.proc.penumero , essendo mancato l'accertamento in termini di certezza giuridica del nesso eziologico fra la condotta e le lesioni patite dalla D.N. . Considerato in diritto Il ricorso è per certi versi manifestamente infondato, in alcuni punti difetta di specificità, su altri profili, concernenti il risarcimento del danno e la provvisionale, l'intervento che viene richiesto è inibito al giudice di legittimità, cosicché deve essere dichiarato inammissibile. La ricostruzione dei fatti è stata adeguatamente operata, senza che potessero residuare profili di incertezze era stato accertato senza alcun margine di dubbio che la povera studentessa aveva consumato una polpetta confezionata con la carne che era stata venduta dall'imputato, che detta carne era stata trattata con solfito e che a detta sostanza la D.N. era allergica, cosicché l'ingestione le provocò shock anafilattico, con arresto circolatorio ed ipossia che lasciarono conseguenze devastanti sul suo organismo, riducendola a vita vegetativa. Le conclusioni che furono prese dai sanitari che ricoverarono la giovane ed il consulente tecnico sono assolutamente sovrapponibili e non lasciavano spazi per profilare ambiti di alternative valutazioni, anche in ragione dell'assoluta mancanza di soluzione di continuità tra l'ingestione e la reazione. Neppure il dato che altri componenti, quali l'aceto balsamico, avessero potuto avere incidenza nella reazione avuta dalla giovane donna, venivano ritenuti concorrenti, poiché la sensibile diversità di quantitativo di solfito contenuto in poche gocce di aceto ed in una polpetta, non poteva non fare ritenere che la crisi era seguita all'ingestione della polpetta, confezionata con carne che pacificamente conteneva una percentuale 10g/kg di solfiti. Il discorso giustificativo sul punto non si presta ad alcuna censura, cosicché deve ritenersi manifestamente infondato il primo motivo di ricorso. Altrettanto manifestamente infondati sono i motivi 2 e 3, quanto alla ritenuta violazione dell'articolo 440 cod.pen il reato di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, previsto dall'articolo 440 cod. penumero , è a forma libera e quindi può realizzarsi anche mediante attività non occulte o fraudolente, né espressamente vietate dalla legge. Quanto all'elemento psicologico, questo è costituito dal dolo generico, di tal che risulta sufficiente la semplice coscienza e volontà della condotta e dell'evento ad essa ricollegabile pericolo obiettivo per la salute pubblica connesso al corrompimento o all'adulterazione delle acque o sostanze destinate all'alimentazione , senza alcuna necessità che il detto evento sia specificamente perseguito in funzione dell'obiettivo di realizzare un attentato alla salute pubblica Sez. I 5.11.1990, numero 3711, Rv 185776 . Il R. sapeva perfettamente di adulterare la carne tritata, in quanto scientemente la condì con una polverina che conteneva solfiti per renderla accettabile esteticamente doveva sapere che l'uso dei solfiti, ammesso negli insaccati, è assolutamente vietato sulle carni fresche, in forza del decreto ministeriale 27.2.1996, numero 209. L'imputato non poteva dire di ignorare detta previsione normativa, avendo riguardo specifico all'attività commerciale da lui gestita. Quindi sotto il profilo soggettivo, correttamente è stata argomentata a pag. 5 della sentenza impugnata la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, atteso che consapevolmente il R. ebbe ad usare sostanza adulterante, a nulla potendo rilevare che egli ed i suoi familiari abbiano fatto uso di questo tipo di carne adulterata, visto che nessuno di loro, per loro fortuna, aveva insofferenza ai solfiti. Ciò peraltro non poteva togliere il rischio che nella platea dei clienti ci fossero soggetti allergici e che quindi il non rispetto del divieto avrebbe potuto avere ripercussioni su soggetti presidiati dal divieto medesimo. Quello che è certo è che il R. consapevolmente e con l'intento di poter commerciare carne non fresca, adeguatamente imbellettata, si prestò all'utilizzo di sostanza rigorosamente vietata, i cui effetti nocivi, quanto meno su talune persone esposte a rischio di shock anafilattico, ebbe di fatto ad accettare. Questo è quanto basta per configurare il dolo generico richiesto dalla previsione normativa. È pacifico che le lesioni gravissime che riportò la giovane furono direttamente consequenziali all'assunzione della polpetta che causò shock anafilattico, con conseguente arresto cardiocircolatorio e respiratorio post anossico. Quindi non ricorrevano spazi per individuare processi eziologici alternativi. Come rilevato nella sentenza impugnata pag. 5 , la immediata successione temporale tra l'ingestione e la crisi respiratoria con cianosi ed ipossia, non consente di nutrire dubbi sull'operatività della sostanza contenuta in percentuale di gran lunga superiore come detto, rispetto a quanto potessero contenerne poche gocce d'aceto balsamico, eventualmente utilizzate. Nessuna carenza è apprezzabile sul punto. Sulla mancata concessione della circostanze attenuanti generiche, i giudici del merito hanno offerto adeguata risposta giustificativa, avendo fatto leva sulle gravissime conseguenze arrecate alla giovane vittima, alla spregiudicatezza manifestata dall'imputato, che avrebbe continuato a vendere la carne adulterata, anche dopo la denuncia v. pag. 6 sentenza di primo grado . La corte ha a sua volta sottolineato che in un solo giorno al R. furono sequestrati ben sette chili di carne contenente solfito di sodio in percentuale 10-10,9 g/Kg, quindi ne ha sottolineato i tratti di irresponsabilità e la personalità negativa, anche in ragione dei precedenti penali. Sulla pena inflitta, la corte ha dato ragione dell'intervento mitigatore, rispetto al primo grado, dimostrando di aver adeguatamente soppesato i criteri previsti dal parametro normativo di riferimento e di non poter infliggere una pena su base minima. Quanto agli ultimi motivi trattasi afferenti alla liquidazione del danno ed alla immediata esecutorietà della condanna provvisionale, è inibita una valutazione in questa sede, atteso che presuppone una valutazione di merito. Il provvedimento che liquida somme a titolo di provvisionale alla parte civile non è ricorribile per cassazione, perché non è suscettibile di passaggio in giudicato e destinato a rimanere assorbito nella pronuncia definitiva sul risarcimento che, sola, può essere oggetto di impugnazione con ricorso per cassazione Sez., II, 20.6.2003, numero 36536 . Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost., sent. numero 186 del 2000 , al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p A fronte di motivi manifestamente infondati, che precludono l'instaurarsi di un corretto rapporto processuale avanti questa Corte Sez. Unumero 22.3.2005, numero 23428, Bracale , non va verificato l'intervenuto decorso della prescrizione a seguito della sentenza di secondo grado. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.