Respinta l’ipotesi, accolta invece in primo grado, di catalogare le parole dell’uomo, sorvegliato speciale, come semplici minacce. La condotta da lui tenuta aveva chiaramente l’obiettivo di intimidire i due agenti della Polizia, rendendo loro difficile lo svolgimento del compito affidatogli.
Momento di rabbia, forse, o sfogo verbale, o, ancora, semplice attimo di follia Ciò che conta, però, sono i destinatari delle parole – non esattamente da ‘Rotary Club’ – proferite da un uomo, sulla soglia del proprio appartamento cioè due agenti della Polizia. Questi ultimi si erano recati lì, difatti, proprio per effettuare un controllo sulla presenza dell’uomo – sottoposto a misura di sorveglianza speciale – nell’abitazione. Ciò basta per contestare all’uomo il reato di “resistenza a pubblico ufficiale”. Cass., sent. numero 13391/2014, Prima Sezione Penale, depositata oggi Agenti alla porta A sorpresa, in primo grado, l’uomo è liberato da ogni accusa. Per i giudici, in primo luogo, è corretto parlare di «ingiurie e minacce» e non di «resistenza a pubblico ufficiale» su questo punto viene dichiarato il «non doversi procedere» in secondo luogo, va azzerata, sempre secondo i giudici, la contestazione – frutto del comportamento dell’uomo – della «inosservanza» della misura della «sorveglianza speciale». A ribaltare completamente la situazione provvedono i giudici della Corte d’Appello, i quali dichiarano «colpevole» l’uomo, condannandolo «alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione». Nessun dubbio viene ritenuto plausibile sul ‘peso’ della condotta dell’uomo, il quale, «rifiutando di aprire la porta di casa», aveva malamente apostrofato due agenti di Polizia – tra le frasi ‘incriminate’, “ uomini di m , mi avete rotto il c , domani parlo con l’avvocato e vi faccio rovinare ” –, agenti impegnati a compiere un «atto dell’ufficio, consistito nell’effettuare un controllo» proprio «presso l’abitazione» dell’uomo. Resistenza ‘verbale’. Secondo il legale dell’uomo, però, i giudici di secondo grado hanno catalogato male l’episodio, essendo più corretto parlare di ‘semplici’ minacce all’indirizzo dei due agenti di Polizia. Ma questa obiezione viene respinta in maniera netta per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, le parole pronunciate dall’uomo – in particolare la ‘promessa’ di parlare col proprio avvocato per “rovinare” i due agenti di Polizia – sono state chiarissime. Detto in maniera esplicita, l’obiettivo dell’uomo era quello di «intimidire» i due rappresentanti della Questura proprio per «opporsi» al «controllo» che essi stavano mettendo in atto. Ciò basta per parlare di «resistenza a pubblico ufficiale», reato che, ricordano i giudici, si può concretizzare anche con una «condotta ingiuriosa», finalizzata a «frapporre ostacoli» allo «svolgimento dell’atto di ufficio». E a completare il quadro, poi, per i giudici, è evidente anche la «violazione» compiuta dall’uomo, con le parole rivolte ai due agenti della Polizia, della «prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi».
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 febbraio – 21 marzo 2014, numero 13391 Presidente Chieffi – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto C.G. veniva rinviato a giudizio per rispondere dei reati previsti da A articolo 337 cod. penumero perché, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, rifiutando di aprire la porta di casa, usava minaccia consistita nel profferire le seguenti espressioni andate a fare in culo, non siete nessuno, stronzi di merda, vi devo rovinare, 'sti uomini di merda, mi avete rotto il cazzo, domani parlo con l'avvocato e vi faccio rovinare, così capite chi comanda qua, per opporsi ai pubblici ufficiali della Questura di Avellino mentre compivano un atto dell'ufficio, consistito nell'effettuate un controllo presso l'abitazione dell'imputato B articolo 9 della legge numero 1423 del 1956, perché, mediante la condotta precedentemente descritta, violava gli obblighi inerenti la misura di prevenzione della sorveglianza speciale aggravata dall'obbligo di soggiorno, con particolare riguardo all'obbligo di rispettare le leggi. In Avellino il 4 e 5 febbraio 2007. Con sentenza del 29.9.2008 il Tribunale di Avellino, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per i reati di ingiurie e minaccia semplice, così riqualificata l'imputazione del reato di cui all'articolo 337 cod. penumero assolveva l'imputato dal reato previsto dall'articolo 9 comma 2 legge numero 1423 del 1956 perché il fatto non sussiste. Con sentenza del 26.6.2012 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza appellata dal Procuratore generale, dichiarava l'imputato colpevole dei reati originariamente ascrittigli, condannandolo alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione. Avverso la sentenza di appello il difensore ricorre per i seguenti motivi 1 violazione di legge e mera apparenza della motivazione, non avendo la Corte di appello fornito una chiara indicazione della natura della presunta attività di ufficio dei pubblici ufficiali ostacolata dal ricorrente 2 non configurabilità della violazione della norma penale quale autonoma violazione delle prescrizioni relative alla sorveglianza speciale. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. La Corte di appello ha ritenuto che le espressioni ingiuriose e minatorie profferite dall'imputato e riportate nel capo di imputazione in particolare la minaccia di parlare con il proprio avvocato e di far rovinare i verbalizzanti , erano inequivocabilmente dirette ad intimidire gli agenti della Questura di Avellino, al fine di opporsi all'atto di ufficio che essi stavano compiendo mediante il controllo della presenza in casa del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale. La motivazione, incensurabile nel merito, è giuridicamente corretta considerato che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall'articolo 337 cod. penumero può essere integrato, oltre che da comportamenti esplicitamente minatori, quali quelli specialmente evidenziati dal giudice di merito , anche da una condotta ingiuriosa nei confronti del soggetto passivo, quando essa, lungi dal rappresentare l'espressione di uno sfogo verbale fine a sé stesso, assuma modalità tali da rivelare la volontà di frapporre ostacoli, mediante la sequenza di espressioni ingiuriose, allo svolgimento dell'atto di ufficio, conforme Sez. 6, numero 1737 del 14/12/2012 - dep. 14/01/2013, D'Elia, Rv. 254203 . 2. La Corte di appello, in conformità alla costante giurisprudenza di legittimità, ha correttamente ritenuto la configurabilità del concorso formale tra ogni singolo reato, commesso dal soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e la simultanea violazione, prevista dall'articolo 9 della legge 27 dicembre 1956 numero 1423, della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi. da ultimo Sez. 1, numero 26161 del 20/06/2012, P.G. in proc. Albini, Rv. 253090 . A norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.