Copre una veranda in area sottoposta a vincolo paesaggistico: giocata senza successo la carta dell’“abuso minore”

Riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione all’attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7343 del 17 febbraio 2014. Il fatto. La Corte d’Appello di Cagliari confermava la sentenza di condanna del locale Tribunale a carico di un uomo per il delitto di cui all’art. 181, co. 1 -bis , d. lgs. n. 42/2004, per aver realizzato, in assenza di preventiva autorizzazione paesaggistica, la copertura di una veranda in area sottoposta a vincolo paesaggistico. L’imputato propone ricorso in Cassazione, sostenendo che l’opera realizzata, di recupero e risanamento, non avrebbe inciso negativamente sull’assetto del paesaggio. La violazione paesaggistica è un reato di pericolo. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, sulla base di una preventiva esposizione delle principali norme in materia. In primis , ritiene opportuno ricordare che il reato di cui all’art. 181 d. lsg. n. 42/2004 è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione ed eseguito in assenza o in difformità delle prescritte autorizzazioni. La potenzialità lesiva degli interventi deve essere valutata ex ante. L’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante , diretta ad accertare se quanto realizzato sia astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato. Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, secondo la quale è il giudice penale che deve accertare in concreto l’offensività della singola condotta. Se questa non pone a repentaglio il bene tutelato si verte in tema di reato impossibile ex art. 49 c.p. L’assenza del pericolo di lesione deve essere valutabile ictu oculi e, quindi, al di là di ogni ragionevole dubbio. Reato paesaggistico. E, infatti, riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione all’attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito. Pertanto, il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consista nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione mentre non è punibile solo nell’ipotesi di interventi di minima entità, inidonei a pregiudicare il paesaggio. Se l’intervento è realizzato, l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria. Gli Ermellini precisano che non è inoffensiva quell’opera che, indipendentemente dalle dimensioni, per il solo fatto di essere realizzata in un’area protetta, ne determina inevitabilmente una sua modifica. E, tra l’altro, l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. Tutt’al più, nel caso in cui venga accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. Esclusa l’ipotesi di abuso minore”. In conclusione, il Supremo Collegio rigetta il ricorso, escludendo che possa parlarsi, nel caso di specie, di abuso minore”. Le opere realizzate presentavano un’intrinseca obiettiva incidenza sull’assetto territoriale, potendosi ritenere configurato il reato contestato, stante l’assenza di idoneo titolo abilitativo.

Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 4 – 17 febbraio 2014, numero 7343 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 20.5.2013 ha confermato la decisione con la quale, in data 30.9.2011, il Tribunale di quella città aveva riconosciuto L.E. responsabile del delitto di cui all'art. 181, comma 1 - bis d.lgs. 42/2004, per aver realizzato, quale proprietario e committente, in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica, la copertura di una veranda avente una superficie di 30 mq in area sottoposta a vincolo paesaggistico con d.m. 11.2.1976 in località omissis . Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore. 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, lamentando che i giudici del gravame avrebbero erroneamente escluso che, nella fattispecie, sarebbe stato realizzato un semplice intervento di recupero e risanamento e non avrebbero, altrettanto erroneamente, tenuto conto del principio di offensività, considerato che l'intervento realizzato non sarebbe stato idoneo ad incidere negativamente sull'assetto del paesaggio, come peraltro dimostrato dal successivo riconoscimento, da parte delle autorità preposte alla tutela del vincolo, della compatibilità paesaggistica delle opere e della loro rispondenza alle previsioni del piano paesaggistico. Aggiunge che la Corte territoriale avrebbe impropriamente negato la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, da eseguirsi mediante nuova escussione di un teste e l'acquisizione di documentazione presso l'amministrazione comunale. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. In materia di reati paesaggistici e di ambito di operatività della disciplina paesaggistica questa Corte si è ripetutamente pronunciata. Da ultimo Sez. III numero 6299, 8 febbraio 2013 , si è ribadita la natura di reato di pericolo della violazione paesaggistica attraverso una disamina dei precedenti giurisprudenziali che pare opportuno richiamare anche in questa sede. In particolare, nella richiamata decisione si è ricordato come si fosse già precisato Sez. III numero 28277, 18 luglio 2011 che il reato contemplato dall'articolo 181 D.Lv. 42/2004 è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione si richiamava, a tale proposito, anche Sez. III numero 2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf. e come sia di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull'originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione. Si è pure ricordato che l'individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all'ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato v. ex pl. Sez. III numero 14461, 28 marzo 2003 numero 14457, 28/3/2003 numero 12863, 20 marzo 2003 numero 10641, 7 marzo 2003 e che, proprio per tali ragioni, è richiesta la preventiva valutazione da parte dell'ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia. Sulla base di tali considerazioni si giungeva pertanto ad affermare che il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consista nell'esecuzione di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l'azione dell'uomo, siano venuti meno restituendo ai luoghi l'originario assetto Sez. III numero 6299, 08 febbraio 2013 . Ancor più recentemente si è ribadito che la punibilità del reato in questione è esclusa solo nell'ipotesi di interventi di minima entità”, inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggistico - ambientale Sez. III numero 39049, 23 settembre 2013 . Tali principi sono stati affermati anche con riferimento all'ipotesi delittuosa disciplinata dal medesimo art. 181 d.lgs. 42/2004 Sez. III numero 34764, 26 settembre 2011 . 4. Questa Corte non ha inoltre mancato di prendere in esame, da ultimo nella decisione appena citata, l'incidenza del c.d. principio di offensività, già oggetto, in precedenza, di una compiuta analisi delle diverse posizioni dottrinarie e giurisprudenziali Sez. III numero 2733, 7 marzo 2000 Sez. III numero 44161, 10 dicembre 2001 cui si rinviava, ricordando anche quanto osservato, in tema, dalla Corte Costituzionale sentenza numero 247 del 1997 , secondo la quale anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre devoluto al sindacato del giudice penale l'accertamento in concreto dell'offensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 cod. penumero sentenza numero 360 del 1995 . Veniva precisato, sempre in tale occasione Sez. III numero 34764, 26 settembre 2011, cit. , che il principio di offensività deve essere considerato non tanto sulla base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale, quanto, piuttosto, per l'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto affermazione peraltro successivamente ribadita in Sez. III numero 13736, 22 marzo 2013 e precedentemente formulata in Sez. III numero 2903, 22 gennaio 2010 . È stato preso in considerazione anche il rilievo assunto, ai fini della valutazione della offensività della condotta, da eventuali valutazioni postume di compatibilità paesaggistica delle opere abusivamente realizzate, escludendone ogni efficacia. Osservando, infatti, che il reato si perfeziona con il porre in essere interventi in zone vincolate senza il controllo e la autorizzazione amministrativa indipendentemente dal risultato sulle bellezze naturali, si è ritenuto irrilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, la mancanza di danno ambientale attestata dalle autorità competenti alla tutela del vincolo Sez. III numero 10463, 17 marzo 2005 . Si era inoltre argomentato, in precedenza, che il riferimento al criterio di concreta offensività può essere accettato, nelle ipotesi in esame, soltanto in ambiti estremamente marginali riguardanti casi in cui l'assenza di pericolo di lesione del bene tutelato sia verificabile ictu oculi e, quindi, al di là di ogni ragionevole dubbio, con la conseguenza che non può ammettersi, per l'evidente incompatibilità con la rigorosa disciplina di settore, il riconoscimento della inoffensività, in concreto, di una nuova opera, che, indipendentemente dalle dimensioni, per il solo fatto di essere introdotta in un paesaggio rigorosamente tutelato nella sua integrità, ne determina inevitabilmente una modifica e, quindi, un pericolo di alterazione”, pericolo che, con riferimento alla sua sussistenza, al momento della consumazione dell'abuso, non può ritenersi vanificato da successiva autorizzazione in sanatoria così Sez. III numero 1401, 31 maggio 2000 . 5. Va rilevato come sia lo stesso tenore delle disposizioni che disciplinano la verifica della compatibilità paesaggistica a confermare l'esattezza di tali conclusioni, perché l'articolo 146, comma 4 d.lgs. 152/06 stabilisce che l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, anche se, con riferimento ai cosiddetti abusi minori, la valutazione di compatibilità paesaggistica effettuata ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, impedisce l'applicazione della sola sanzione penale, restando ferma, come disposto dall'art. 181, comma I-ter d.lgs. 42/2004, l'applicazione delle misure amministrative pecuniarie previste dall'articolo 167. Tale ultima disposizione stabilisce, in particolare, al comma 5, che nel caso in cui venga accertata la compatibilità paesaggistica dell'intervento, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione, il cui ammontare è determinato previa perizia di stima. Dunque la procedura di verifica postuma della compatibilità paesaggistica dell'intervento è limitata a casi del tutto marginali, riguardando le ipotesi di lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380. Essa inoltre non esclude, neppure in questi casi, caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull'assetto del territorio vincolato, l'applicazione di sanzioni amministrative e, sopratutto, non consente di ritenere, per il solo fatto del riconoscimento di compatibilità paesaggistica, sempre in tali limitati casi, l'inoffensività della condotta posta in essere, atteso che, come si è appena detto, la determinazione delle somme da pagare tiene conto del danno arrecato” mediante la trasgressione. 6. Date tali premesse, osserva il Collegio che i principi in precedenza richiamati sono pienamente condivisibili, dovendosi pertanto ribadire che, riguardo agli abusi paesaggistici il principio di offensività opera in relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e la incidenza della condotta medesima sull'assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall'amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell'intervento eseguito. 7. Ciò posto, va rilevato che la fattispecie in esame non riguarda una delle ipotesi di abuso minore” delle quali si è detto, né pare che i riferimenti alla riconosciuta compatibilità paesaggistica effettuati in ricorso siano riconducibili alla specifica procedura di cui all’art. 167 d.lgs. 42/2004, dovendosi ritenere, anche alla luce della ricostruzione dei fatti riportata in sentenza, che la menzione riguardi una situazione del tutto diversa. Emerge infatti dalla decisione impugnata, la quale richiama anche la decisione di primo grado, che l'intervento per cui è processo riguarda il rifacimento della copertura di una veranda preesistente, originariamente realizzata con canne ad aria passante” sostenuta con semplici tubi in ferro, che veniva sostituita da una tettoia in struttura lignea sorretta da colonne con capitello in legno con copertura bituminosa occupante una superficie di circa 30 mq. Detto intervento veniva eseguito in difformità dall'autorizzazione paesaggistica rilasciata all'imputato il quale, successivamente, dopo aver demolito il manufatto, aveva chiesto ed ottenuto una nuova autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un'opera diversa da quella oggetto di contestazione. 8. Dunque ciò che è stato oggetto di considerazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo non è neppure l'intervento per cui si procede, bensì un'opera diversa la cui consistenza e legittimità non riguardavano i giudici del merito, i quali hanno peraltro proceduto ad una valutazione della vicenda sottoposta al loro esame che non presenta alcun profilo di criticità e risulta assistita da idonea motivazione. Correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che le opere eseguite, per consistenza ed impatto visivo rispetto alle preesistenti, con le quali non avevano alcuna corrispondenza, presentavano un'intrinseca obiettiva incidenza sull'assetto territoriale, potendosi così ritenere configurato il reato contestato, stante l'assenza di idoneo titolo abilitativo e correttamente escludendo ogni rilievo delle successive vicende, riguardanti altro intervento debitamente autorizzato dopo la demolizione di quello illecitamente realizzato. 9. Parimenti infondati risultano, inoltre, i rilievi formulati in ricorso riguardo al diniego di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Basti ricordare, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che l'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'articolo 603 cod. proc. penumero costituisce un'eccezione alla presunzione di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere non potendolo fare allo stato degli atti v. Sez. II numero 3458, 27 gennaio 2006 ed altre prec. conf. Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell'istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento Sez. III numero 24294, 25 luglio 2010 Sez. V numero 15320, 21 aprile 2010 Sez. IV numero 47095, 11 dicembre 2009 . Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità può sindacare la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento entro l'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire Sez. IV numero 47095/09 cit. Sez. IV numero 37624, 12 ottobre 2007 SS.UU. numero 2110, 23 febbraio 1996 . 10. Nella fattispecie, la Corte del merito si è espressamente pronunciata sulla sufficienza ed idoneità, ai fini della decisione, delle risultanze probatorie già nella sua disponibilità e, segnatamene, secondo quanto affermato dallo stesso imputato, delle dichiarazioni di un teste escusso e della documentazione fotografica in atti, cosicché il rigetto della richiesta di nuova attività istruttoria risulta del tutto legittimo. 11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.