Far sottoscrivere l’atto giudiziario a un collega dà diritto a quest’ultimo a richiedere il compenso professionale nonostante il mancato conferimento del mandato.
Il conferimento della procura alle liti deve essere dimostrato con gli atti espressamente previsti dall’articolo 83 codice di rito in quanto ha la finalità di dimostrare la riferibilità degli atti di causa all’assistito per converso il conferimento del mandato professionale, e la conseguente insorgenza di obbligazioni pecuniarie, può essere dimostrato anche in assenza di una formale procura. Qualora un avvocato chieda ad altro di sottoscrivere, unitamente a lui, gli atti e presenziare alle udienze quest’ultimo può richiedere il compenso per l’attività fatta. E’ quanto emerge dalla sentenza numero 2321/15, depositata il 6 febbraio. La fattispecie. Nel caso in esame una avvocato aveva richiesto a un collega di sottoscrivere un atto giudiziario, insieme a lui, e partecipare alle udienze ma, una volta giunta la nota pro forma, aveva eccepito che nulla era dovuto a seguito del mancato conferimento della procura alle liti ai sensi dell’articolo 83 codice di rito. L’ingiunzione era stata opposta ma sia il Tribunale sia la Corte di gravame avevano respinto la tesi dell’opponente argomentando che la sottoscrizione degli atti difensivi e dei verbali d’udienza sono prova privilegiata dell’espletamento del mandato professionale conferito al collega. L’attività deve essere retribuita. La Corte di Cassazione, confermando la tesi del Giudice di merito, ha precisato che la procura ai sensi dell’articolo 83 codice di rito ha la finalità di dimostrare la riferibilità degli atti all’assistito nel giudizio ma il conferimento del mandato professionale è cosa ben diversa. Pertanto la sottoscrizione degli atti prova che, comunque, è stato conferito un mandato professionale e la partecipazione alle udienze, come provato dai verbali di causa, dimostra che l’avvocato ha esperito la propria attività che deve essere correttamente retribuita. Ciò a prescindere dal “peso” per utilizzare la parole del Supremo Collegio della codifesa.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 11 dicembre 2014 – 6 febbraio 2015, numero 2321 Presidente/Relatore Bianchini Rileva in fatto - L'avv. M.F. chiese ed ottenne che il Tribunale di Napoli ingiungesse all'avv. O.L. di pagarle lire 24.747.000 per la rappresentanza ed il patrocinio svolti in favore del predetto in un procedimento civile che lo stesso - anche agente nella sua qualità professionale - aveva intrapreso contro il Consorzio GOL ed altri l'ingiunto propose opposizione contestando - secondo quanto riportato nella narrativa del fatto contenuta nel successivo ricorso per cassazione - l'espletamento dell'attività difensiva da parte della collega eccependo il mancato rituale conferimento della procura ad litem e la nullità del giuramento decisorio l'opposta si costituì e contrastò tali difese. - Il Tribunale di Napoli, con sentenza numero 7046/2005, respinse l'opposizione la Corte di Appello di Napoli, adita dall'avv. O. , con decisione numero 2870/2012, rigettò il gravame. - Quanto al primo motivo di appello, con il quale lo stesso avv. O. aveva riproposto il motivo di opposizione relativo alla mancanza di rituale procura, osservò la Corte territoriale che correttamente il Tribunale aveva ritenuto provato il conferimento del mandato, traendo tale convinzione dalla sottoscrizione dell'atto di citazione e dalla attività difensiva svolta dall'avv. M. sia in udienza - rispetto alla quale la sottoscrizione del relativo verbale da parte dell’istruttore avrebbe costituito prova privilegiata dell'espletamento dell'incarico - sia mediante redazione e deposito di atti difensivi ritenne altresì il giudice del gravame che non fosse rilevante il riferimento alle formalità di conferimento della procura mediante gli atti elencati nell'articolo 83 cpc, atteso che l'atto di citazione, in cui l'appellante assumeva di stare in giudizio da sé, in unione con la collega, era stato sottoscritto da entrambi, così come gli altri atti e comparse depositate nel corso del giudizio. - Quanto al secondo motivo, con il quale si era dedotta la nullità del giuramento decisorio - deferito dall'avv. O. alla M. in ordine all'espletamento da parte della predetta di attività difensive nella causa intrapresa contro il Consorzio Goi ed in relazione al fatto che la stessa M. non avrebbe ricevuto alcun compenso per l'opera prestata - per il fatto che era stato ammesso solo il secondo capitolo, così snaturando il senso del mezzo, osservò la Corte napoletana che non vi sarebbe stata, da parte del giudice di primo grado, alcun immutamento della formula del giuramento - tale da consentire la revoca del deferimento ex articolo 236 cpc - ma solo l'espunzione del primo capitolo in quanto le circostanze ivi descritte sarebbero già stata accertate aliunde e sarebbero comunque state esposte in modo generico. - Quanto al terzo motivo - con il quale l'avv. O. aveva lamentato la mancata dimostrazione dell'effettuazione delle attività professionali rispetto alle quali l'avv. M. aveva chiesto il compenso - la Corte distrettuale ribadì, come già il giudice del grado precedente, che la sottoscrizione degli atti difensivi e la presenza in udienza della professionista, certificata dai verbali di causa, costituivano prova sufficiente della sua attività in favore dell'appellante la deduzione poi che l'avv. M. avrebbe sottoscritto atti difensivi il cui autore o coautore sarebbe stato lo stesso avv. O. , non avrebbe costituito circostanza tale da elidere il diritto al compenso, in quanto la tariffa professionale, all'articolo 7, garantiva a ciascuno dei co-difensori il diritto al pagamento delle proprie spettanze. - Per la cassazione di tale sentenza l'avv. O. ha proposto ricorso, facendo valere tre motivi di annullamento l'avv. M. ha resistito con controricorso. Osserva in diritto - I - Con il primo motivo viene denunziata la violazione dell'articolo 83 cpc assumendo che la lettera di tale norma non consentiva di supplire alla mancanza di rituale procura mediante presunzioni semplici, quali quelle desumibili dalla indicazione, nella intestazione dell'atto introduttivo, della collega quale codifensore dell'opponente, atteso che tale specificazione avrebbe avuto il solo significato di confermare il conferimento del mandato difensivo ma non avrebbe potuto sostituire il rilascio della procura. - I.a - Il mezzo non è fondato in quanto nel contenzioso che vedeva contrapposti i due professionisti, il diritto al compenso nasceva dal conferimento del mandato e dall'espletamento dell'incarico, circostanze queste la seconda con forti limitazioni ammesse dallo stesso ricorrente la ritualità della procura non avrebbe avuto un rilievo neppure se avesse formato oggetto di eccezione da parte dell'avversario nel processo ove si svolse quell'incarico unico interessato al rispetto delle formalità di conferimento della procura atteso che, per come risulta dalla narrativa che precede, la citazione nel giudizio presupposto venne sottoscritta anche dallo stesso avv. O. ex articolo 86 cpc. - I.a.1 - Posta in questi termini la res dubia non è utilmente invocabile a sostegno del mezzo in esame la soluzione data dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza numero 10967/2001 - la cui parafrasi costituisce la base del motivo - perché la questione colà controversa che determinò l'adozione della pronunzia a Sezioni Unite solo ratione materiae, trattandosi di ricorso avverso un provvedimento disciplinare contro un avvocato riguardata la validità della rappresentanza in giudizio - come visto, non messa in discussione nel procedimento presupposto - e non gli effetti dell'esecuzione del contratto di patrocinio sul diritto a percepire il compenso. - II - Con il secondo motivo vengono fatte valere la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2736, 2739 cod. civ. e 236 cpc laddove la Corte del merito ritenne correttamente deferito il giuramento decisorio come già in appello il ricorrente contesta la correttezza dell'agire dell'istruttore sia perché il deferimento avrebbe dovuto riguardare i due capitoli sia perché la ragione della mancata accettazione del primo - relativa, come visto, alla sussistenza di riscontri istruttori sufficienti di per sé a provare il diritto agito dall’avv. M. - urtava con la pacifica interpretazione di legittimità secondo la quale il giuramento decisorio può essere sempre ammesso, anche se la circostanza sulla quale viene deferito risultasse aliunde provata. - II.a - Il mezzo non è fondato in quanto la motivazione di esclusione del primo capitolo si basava su una duplice ratio decidendi, rappresentata non solo dalla sussistenza di prove sufficienti ma anche dalla genericità delle circostanze sulle quali doveva essere prestato il giuramento vero che l'avv. M. ha espletato effettivamente tutte le attività per il giudizio O. /Consorzio GOI e tale motivazione non ha formato oggetto di specifica censura, essendosi limitato il ricorrente a dolersi che l'istruttore in primo grado non avesse modificato il capitolo al fine di renderlo più comprensibile ed agevole così a fol 7 del ricorso - in disparte la considerazione che il potere correttivo al quale faceva riferimento non poteva esplicarsi con finalità integrative dell'esposizione di una realtà processuale insufficientemente articolata. - III - Con il terzo capitolo viene denunziata la violazione degli articolo 2727 2728 2729 e 1697 cod. civ. assumendosi che, non ammettendo il Tribunale la prova per testi - dedotta al fine di dimostrare che le attività difensive poste in essere e riferibili all'avv. M. in realtà sarebbero state elaborate dal ricorrente, così che la partecipazione della collega si sarebbe limitata alla sottoscrizione di tali atti ed alla partecipazione alle udienze - e confermando poi la Corte di Appello tale statuizione, si sarebbe impedita la dimostrazione contraria ad una evidente presumpio hominis. - III.a - Il motivo presenza profili di inammissibilità e di infondatezza - III.a.1 - Quanto ai primi viene violato il principio di specificità del ricorso - anche indicato come autosufficienza dello stesso - laddove non vengono riportati i capitoli di prova quanto al secondo è erroneamente invocato il ragionamento per presunzioni in quanto la Corte del merito non dedusse la sussistenza dell'espletamento del mandato da elementi presuntivi bensì da atti direttamente significativi dello stesso, con valenza logica univoca le considerazioni poi fatte dalla Corte del merito - che debbono in questa sede di legittimità trovare conferma - relative alla sussistenza del diritto al compenso anche in caso di co-difesa, rendono ininfluente l'accertamento del peso che la dedotta impostazione delle difese potesse avere sul diritto a percepire il compenso. - IV - Il ricorso è pertanto idoneo ad essere trattato in camera di consiglio a' sensi - degli articolo 375 numero 5, 376 e 380 bis cpc, per essere dichiarato manifestamente infondato. P.Q.M. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 375 numero 5 376 380 bis cpc, per essere quivi dichiarato manifestamente infondato. I - Il collegio condivide le considerazioni appena sopra riportate, alle quali non sono state efficacemente contrapposte valide argomentazioni contrarie né nella memoria ex articolo 380 bis cpc né in sede di discussione orale in sede di adunanza camerale. II - In particolare, non appare esser stato affrontato il punto centrale esposto in relazione, relativo alla differente funzione svolta dalla procura - atto ad efficacia esterna, idoneo a giustificare nei confronti dei terzi, la difesa, ad opera del professionista, in favore del cliente e, nei confronti di quest'ultimo, l'assunzione di iniziative processuali destinate a incidere nella sua sfera giuridica - e dal mandato professionale - atto a rilevanza interna, necessario per la riferibilità degli effetti della, sicuramente svolta, attività professionale della quale si chiede il pagamento- il rigore formale che presidia il conferimento della procura e la sua stessa esistenza sono dunque funzionali al primo dei due aspetti ma non toccano il secondo che dipende solo dal riscontrato esercizio di una valida difesa in favore del cliente stesso. II.a - La mancanza della procura in capo all'avv. M. dunque avrebbe comportato solo il pericolo che controparte nel giudizio presupposto ritenesse invalidamente assunte le iniziative processuali adottate da tale professionista in nome dell'avv. O. ipotesi questa non verificatasi nell'ambito invece della difesa concretamente assunta quel che rilevava era, come sopra indicato, che vi fosse stata una determinata attività processuale da parte del professionista e che essa si fosse efficacemente svolta nell'ambito della co-difesa sul punto, come messo in rilievo nella relazione, ogni contestazione del ricorrente si è rivelata infondata. II.b - Al postutto la richiamata interpretazione di legittimità di cui è espressione Cass. Sez. Unumero numero 10967/2001 che stabilisce la non dimostrabilità della esistenza della procura se non con gli atti espressamente previsti nell'articolo 83 cpc, peraltro contrastata da divergente orientamento v. Cass. Sez. II numero 8620/1996 Cass. Sez. II numero 6850/2001, attinenti a procure ad litem presupposte da procure ad negotia o a procure non leggibili ha riguardo alla prima delle due funzioni che la procura è destinata ad adempiere, con riguardo dunque alla riferibilità al cliente degli effetti dell'attività professionale svolta e non tocca invece la differente problematica se l'esistenza del mandato professionale e la conseguente insorgenza di obbligazioni pecuniarie tra cliente e difensore una volta che sia stato in concreto ed efficacemente espletato - e venga in rilievo come fonte di ragioni di credito nei confronti del mandante - possa essere dimostrata anche in assenza di una formale procura. III - Per quello che concerne la contestata non riducibilità dei capitoli di giuramento decisorio, la memoria ex articolo 380 bis cpc non ha offerto spunti critici sufficienti a contrastare le argomentazioni contenute in relazione, attinenti alla decisione della Corte di merito di sostanzialmente escludere la decisorietà del giuramento se rivolto alla dimostrazione di fatti non sufficientemente determinati. IV - Quanto al terzo motivo, mancano, nella memoria difensiva, accenni alla problematica svolta in relazione, attinente alla violazione del c.d. principio di autosufficienza. V - Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come indicato in dispositivo a' sensi dell'articolo 13, comma I, quater del d.P.R. numero 115/2002, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, si deve dar atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma I bis dello stesso articolo 13, atteso che il ricorso è stato notificato il 13 marzo 2013, dunque successivamente al 30 gennaio 2013, data di entrata in vigore della legge 228/2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge a' sensi dell'articolo 13, comma I, quater del d.P.R. numero 115/2002 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma I bis dello stesso articolo 13.