Lui porta a casa una donna, l’ex moglie lo becca e lo chiama “porco”: reazione verbale comprensibile

Confermata la decisione di ritenere non punibile la donna per l’epiteto poco simpatico rivolto all’ex marito. Quelle parole sono da considerare come frutto dello stato d’ira provocato dall’avere ‘beccato’ l’uomo a portarsi a casa una donna. Decisiva anche la considerazione della contiguità degli appartamenti e dell’accordo fra i due ex coniugi, relativo all’impegno di non portare a casa amanti.

“Sei un porco!”. Non proprio il massimo dei complimenti, di certo non un’espressione da college oxfordiano, eppure l’epiteto non è punibile come «offesa» se a pronunciarla è la ex moglie nei confronti dell’ex marito ‘beccato’ a portarsi a casa – i due hanno ‘spezzato’ la vecchia abitazione, creando due nuovi appartamenti contigui – una donna. Decisiva la considerazione che il comportamento tenuto dall’uomo è valutabile come «provocazione», tale da rendere umanamente comprensibile lo «stato d’ira» manifestato verbalmente dalla donna. Cassazione, sentenza numero 49512, Quinta sezione Penale, depositata oggi Provocazione. Nulla quaestio, secondo il Giudice di pace azzerata ogni contestazione nei confronti della donna che ha malamente «apostrofato» l’ex marito, definendolo «porco» perché lui si «portava tutte le prostitute a casa». Casus belli il fatto che l’ex moglie abbia ‘beccato’ l’uomo mentre quest’ultimo «aveva condotto all’interno della propria abitazione» una donna. Ma tale contesto, secondo il Giudice di pace, va valutato come una ‘giustificazione’ per la reazione verbale della donna, il cui «stato d’ira» è comprensibile. A contestare tale decisione è il Procuratore della Repubblica, che critica duramente l’ottica adottata dal Giudice di pace, ricordando che i due ex coniugi hanno «confermato di essere legalmente separate e di vivere in due unità abitative che, sebbene contigue tra loro, erano materialmente divise, con conseguente naturale affievolimento dell’obbligo della fedeltà». Di conseguenza, il «comportamento» dell’uomo, consistito nel «portare nella propria abitazione» una donna, non è valutabile, secondo il Procuratore della Repubblica, come «un fatto ingiusto». Esistono, quindi, in questa ottica, i presupposti per contestare all’ex moglie di avere «offeso l’onore» dell’uomo. Ma tale prospettiva viene ritenuta non corretta dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, invece, mostrano di condividere la posizione assunta dal Giudice di pace la reazione verbale dell’ex moglie è comprensibile e ‘giustificabile’ all’interno del contesto. Per essere chiari, l’uomo ha «condotto all’interno della propria abitazione» una donna, così «contravvenendo all’accordo» fra i due ex coniugi di «non ospitare estranei, con cui si intrattenevano relazioni, nelle rispettive relazioni». Tale comportamento, secondo i giudici, è «contrario alle regole della lealtà familiare» – regole stabilite «di comune accordo dagli ex coniugi» – ed è valutabile come «fatto ingiusto», capace di provocare la stizzita «reazione» dell’ex moglie. Tutto ciò conduce, quindi, a valutare come non punibile la donna rispetto all’accusa di avere offeso «l’onore» dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 ottobre – 9 dicembre 2013, numero 49512 Presidente Dubolino – Relatore Palla Fatto e diritto Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia ricorre avverso la sentenza 14.12.12 del Giudice di pace di Troina con la quale C.D. assolta dal reato di ingiuria ascrittole “per la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’articolo 599 comma 2 c.p. . Deduce il p.m. ricorrente violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. per avere il giudice illogicamente e contraddittoriamente ritenuto l’operatività della scriminante di cui all’articolo 599 cpv. c.p. laddove invece, avendo entrambe le parti in causa confermato di essere legalmente separate dal 2006 e di vivere in due unità abitative che, sebbene contigue tra loro, erano materialmente divise - con conseguente naturale affievolimento dell’obbligo della fedeltà -, il comportamento di Testa Domenico Sebastiano, ex coniuge della Campione, consistito nel portare nella propria abitazione la propria compagna, non poteva costituire un fatto ingiusto rilevante ai fini del riconoscimento della scriminante in argomento. Osserva la Corte che il ricorso non è fondato. Il giudice di pace, dopo aver evidenziato la risalenza dei rancore che animava i rapporti tra gli ex coniugi e la materiale divisione in due unità abitative della casa coniugale, ha correttamente ritenuto scriminato il comportamento ingiurioso dell’imputata - che sporgendosi dalla finestra aveva apostrofato il T. con l’epiteto di “porco” che portava “tutte le prostitute a casa” - posto in essere alla vista dell’ex coniuge e della sua compagna S.B., ritenendo sussistere l’esimente della provocazione per avere l’imputata reagito, irata, al comportamento del T. che aveva condotto all’interno della propria abitazione un’estranea, contravvenendo in tal modo all’accordo di non ospitare estranei con cui si intrattenevano relazioni nelle rispettive abitazioni, comportamento quindi da definire quale “fatto ingiusto” perché contrario alle regole della lealtà familiare. Per l’applicabilità dell’esimente prevista dal comma 2 dell’articolo 599 c.p., infatti, è sufficiente che la reazione sia determinata dal fatto ingiusto altrui e l’ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi, cioè limitatamente ad un fatto che abbia un’intrinseca illegittimità, ma con criteri più ampi, anche quando cioè esso sia lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza Cass., sez. V, 11 marzo 2009, numero 21455 e nella specie il comportamento tenuto dal T., essendo consistito nella violazione della regola - stabilita di comune accordo dagli ex coniugi - di non ospitare persone, nelle rispettive abitazioni, con cui si intrattenevano relazioni sentimentali, ha concretato gli estremi della “ingiustizia” che ha reso applicabile al fatto ingiurioso posto in essere dalla Campione l’esimente di cui al comma 2 dell’articolo 599 c.p. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia.