Respinta la richiesta presentata da un’anziana signora nei confronti di un Comune abruzzese. Per i Giudici il capitombolo è addebitabile non a difetti strutturali della scala, bensì dall’utilizzo fattone dalla donna.
Pessima conclusione per la visita al cimitero comunale in ricordo del familiare. Fatale l’utilizzo di una scala la donna – 71 anni –, impegnata a sistemare fiori freschi nei vasi che caratterizzano la lapide del marito, scivola e finisce a terra in malo modo. Una volta ripresasi dal brutto incidente, scatta la richiesta di risarcimento nei confronti del Comune in ballo una cifra pari a circa 230mila euro. La pretesa è però priva di fondamento, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’. A loro parere, difatti, il capitombolo è stato causato dalla condotta della donna, che ha posizionato male la scala e l’ha utilizzata in modo poco avveduto. Cassazione, sez. III Civile, ordinanza numero 23203/18, depositata il 27 settembre . Caduta. Ricostruita facilmente la disavventura vissuta, nel luglio del 2001, dalla donna nel cimitero di un piccolo paese abruzzese. In sostanza è stato appurato che ella «è caduta da una scala a pioli in ferro, collocata sul posto per accedere ai loculi più alti» mentre provava a sistemare un mazzo di fiori freschi nei vasi presenti sulla lapide del marito. Consequenziale è la richiesta di risarcimento – per una cifra che si attesta sui 230mila euro – presentata dalla vedova nei confronti del Comune come «proprietario e custode del locale cimitero». Ma la domanda viene a sorpresa respinta prima dai giudici del Tribunale e poi da quelli della Corte d’appello, che, in sostanza, non ritengono l’ente locale responsabile per la caduta subita dalla donna. Condotta. La vedova ritiene però assolutamente errate le valutazioni compiute dai magistrati, e decide perciò di presentare ricorso in Cassazione, ribadendo il proprio «diritto al risarcimento» ed evidenziando nuovamente le responsabilità del Comune. Nello specifico, il legale della donna sottolinea che «la scala, in quanto non a norma e priva dei cosiddetti gommini antiscivolo, rappresentava un pericolo» e aggiunge che «il Comune era consapevole della presenza della scala all’interno dell’area cimiteriale e dell’utilizzo da parte dei visitatori e, pertanto, avrebbe dovuto verificare se la scala stessa, posizionata su quel tipo di pavimento o in qualsiasi altro luogo, potesse scivolare» e costituire quindi un pericolo per le persone. Impossibile, quindi, sempre secondo il legale, parlare di «episodio fortuito» e, per giunta, come sostenuto dai giudici sia in primo che in secondo grado, «dipendente da una condotta colposa della donna». Questa lettura dell’episodio non convince però i giudici della Cassazione, che, difatti, respingono anch’essi l’ipotesi di un risarcimento a favore della vedova. Sia chiaro, i magistrati riconoscono che «la signora, di 71 anni, ha utilizzato una scala a pioli in ferro, che si trovava in un angolo del camposanto, per raggiungere un loculo della fila più alta della parete cimiteriale». Allo stesso tempo, però, essi spiegano che «la caduta della donna è stata provocata non da un difetto strutturale della scala», bensì «dall’errato posizionamento della scala» – effettuato non tenendo conto del «giusto grado di inclinazione» –, posizionamento che «ne aveva provocato l’improvviso slittamento», facendo finire a terra la donna. Esclusi, quindi, «difetti strutturali» della scala, e appurato, anzi, che essa, pur «priva di gommini», era «idonea allo scopo, se correttamente usata», come fatto dalla vedova anche in altre occasioni, è logico ritenere l’incidente addebitabile alla condotta della donna. E a questo proposito i giudici osservano, in conclusione, che «la vedova si era evidentemente dovuta sostenere sulla scala a pioli con una sola mano», poiché «nell’altra mano reggeva un mazzo di fiori» da sistemare sulla lapide del marito.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 27 giugno – 27 settembre 2018, numero 22203 Presidente Travaglino – Relatore Gianniti Rilevato che 1. Ma. Fe. ricorre, articolando tre motivi, avverso la sentenza numero 989/2016 con la quale la Corte di appello di L'Aquila ha integralmente confermato la sentenza numero 532/2009 con la quale il Tribunale di Avezzano aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla Fe. nei confronti del Comune di Morino in relazione all'infortunio subito il 14/7/2001. 2. Era accaduto che la Fe. aveva convocato in giudizio davanti al Tribunale di Avezzano il Comune di Morino, in qualità di proprietario e custode del locale cimitero, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella misura di Euro 230.767,50 o dell'altra somma dovuta subiti per effetto di un infortunio, avvenuto il 14/7/01 all'interno del cimitero e causato da una caduta da una scala a pioli in ferro collocata sul posto per accedere ai loculi più alti. Il Comune convenuto si era costituito, negando la propria responsabilità ed aveva chiesto ed ottenuto di chiamare in garanzia la s.p.a. Assitalia. La compagnia si era costituita a sua volta ed aveva contestato il fondamento della domanda attorea. Il giudice di primo grado, espletata l'istruttoria, con sentenza numero 532/09 aveva rigettato la domanda e regolato le spese secondo soccombenza. La Fe. aveva proposto appello avverso detta sentenza della quale aveva chiesto la riforma, ma la Corte di appello di L'Aquila con la sentenza qui impugnata, respinta la domanda di remissione in termini, ha rigettato l'appello e, per l'effetto, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado. 3. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la Fe Resistono con controricorso le Generali Italia s.p.a. Il Comune non svolge attività difensiva. In vista dell'odierna adunanza il Procuratore Generale conclude chiedendo il rigetto del ricorso. Ritenuto che 1. Il ricorso è affidato a tre motivi 1.1. In sintesi, la ricorrente denuncia, in relazione all'articolo 360, 1. co. nnumero 3 e 5, -con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo e controverso, nella parte in cui la Corte territoriale ha ricondotto il sinistro in esame alla fattispecie del cd. fortuito incidentale, dipendente dalla condotta colposa della vittima, senza valutare le circostanze di contesto e lo scopo a cui era preordinata la scala a pioli da essa utilizzata e in particolare il fatto che la scala si trovava all'interno di una ben perimetrata e ristretta area cimiteriale, sottoposta al controllo ed alla custodia dell'ente comunale, anche per tramite di custode a tale scopo preposto, ed era priva dei gommini antiscivolo nonché il fatto che la pavimentazione fosse particolarmente liscia la ricorrente sostiene che è priva di logica giuridica l'affermazione dei giudici di appello, secondo i quali la scala, pur priva dei gommini antiscivolo, avrebbe dovuto essere considerata idonea allo scopo, in quanto essa ricorrente aveva ammesso di averla utilizzata altre volte senza nocumento aggiunge che il suo comportamento, essendo stato privo di qualsiasi carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, non avrebbe potuto in alcun modo essere ritenuto interruttivo del nesso di causalità in definitiva, secondo la ricorrente la scala, in quanto non a norma, rappresentava un pericolo il comune era consapevole della presenza della scala all'interno dell'area cimiteriale e dell'utilizzo da parte dei visitatori e, pertanto, avrebbe dovuto verificare se la scala stessa, posizionata su quel tipo di pavimento o in qualsiasi altro luogo, potesse scivolare -con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo e controverso, nella parte in cui la Corte territoriale non ha accolto la sua domanda risarcitoria neppure ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 2043 c.c., senza considerare che nel caso in esame ricorrevano tutti gli estremi della fattispecie evento dannoso riconducibilità dello stesso al contegno omissivo del comune sussistenza di uno stato soggettivo della P.A, qualificabile come dolo o come colpa . 1.2. La ricorrente denuncia altresì, in relazione all'articolo 360, 1. co. numero 3 c.p.c, con il terzo motivo, violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c, nella parte in cui la Corte territoriale ha si indicato gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ma li ha indicati senza compierne alcuna approfondita disamina, logica e giuridica e senza considerare che il giudice di primo grado si era limitato a estrapolare e a decontestualizzare parti di altre sentenze, che erano state recuperate sul web e che erano relative a casi completamente diversi e non valutando correttamente le risultanze probatorie dalle quali sarebbe emersa una situazione di fatto del tutto diversa da quella affermata in sentenza . 2. Il ricorso è inammissibile. 2.1. Inammissibili sono i primi due motivi di ricorso che, per la loro connessione, si trattano congiuntamente. La inammissibilità consegue al fatto che la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l'esame dei motivi proposti non offre elementi per mutare l'orientamento della stessa. Occorre qui ricordare che la fattispecie della responsabilità per danni da cose in custodia può dirsi regolata dai seguenti principi - l'articolo 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione di responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima - la deduzione di omissioni, ovvero la deduzione di violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'articolo 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento - il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento a tal fine, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'articolo 1227, 1. co. c.c. e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà, espresso dall'articolo 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. 2.2. Tali principi di diritto, anche di recente ribaditi da questa Corte Ordinanza numero 2480 del 01/02/2018, Rv. 647934 - 01 sono stati correttamente applicati nella specie dalla Corte territoriale, alla stregua dell'accertamento di fatto, che è stato operato dalla stessa e che è incensurabile nella presente sede, alla luce del generale principio di insindacabilità in sede di legittimità della ricostruzione dei fatti e del nesso eziologico tra gli uni e gli altri, affermato peraltro in maniera conforme da entrambi i giudici di merito. Nella specie - essendo pacifico tra le parti che la signora Ma. Fe., di anni 71, per raggiungere un loculo della fila più alta della parete cimiteriale, ha utilizzato una scala a pioli in ferro che si trovava in un angolo del camposanto - la Corte territoriale, tenuto conto di quanto riferito dal Sindaco del Comune di Morino e dalla interessata nel corso dei rispettivi interrogatori formali, ha ritenuto pp. 12-13 che la caduta della donna sia stata provocata non da una difetto strutturale della scala, ma dall'errato posizionamento della scala e cioè precisamente da una collocazione della scala, che non aveva tenuto conto del giusto grado di inclinazione , che ne aveva provocato l'improvviso slittamento. La Corte territoriale ha precisato che il danno non si era verificato per difetti strutturali ad es per la rottura di un piolo della scala o per una sua generica inadeguatezza e che, anzi, dalle risultanze probatorie era risultato che la scala, quantunque prima di gommini, era idonea allo scopo se correttamente usata come per l'appunto aveva fatto in altre occasioni la stessa Fe. . D'altronde la stessa Fe. in sede di atto introduttivo del giudizio di merito di primo grado aveva riferito di essersi recata presso il cimitero di Morino per una visita alla tomba di famiglia al fine di deporre i fiori negli appositi vasi pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto, con argomentazione non inficiata da vizi logici o giuridici, che la Fe. si era evidentemente dovuta sostenere sulla scala a pioli con una sola mano, considerato che nell'altra reggeva un mazzo di fiori. E la stessa ricorrente in sede di interrogatorio aveva riferito di aver più volte in precedenza utilizzato la scala per assolvere alle funzioni di devozione verso il proprio defunto marito tumulato per l'appunto nella fila più alta della parete cimiteriale . In definitiva, la Corte territoriale, facendo buon governo dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto la sussistenza della colpa esclusiva della danneggiata, integrante gli estremi del fortuito incidentale che di per sé elide il nesso causale tra la res ed il danno . 2.3. Inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso. La ricorrente denuncia violazione dell'articolo 116 c.c., ma nella sostanza chiede una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, che, come è noto, non è ammissibile in sede di legittimità ogniqualvolta, come per l'appunto si verifica nel caso di specie, la valutazione e l'accertamento effettuati dalla Corte territoriale non presentino vizi logici e giuridici. 3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che sono state sostenute dalla compagnia controricorrente e che vengono liquidate come da dispositivo, nonché al pagamento dell'ulteriore importo, dovuto per legge e pure indicato in dispositivo. Nulla è dovuto, invece, al Comune di Morino, che nel presente giudizio non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della compagnia Generali Italia, delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 3700 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del D.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1 comma 17 della L. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.