Nell’ambito dei contratti di telefonia mobile, per valutare la reale natura vessatoria delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto e nelle opzioni prescelte dall’utente, il giudice di merito, anche d’ufficio, deve preliminarmente individuare la qualità di consumatori dei contraenti, per poi poter stabilire, alla luce del principio sinallagmatico, se vi sia effettivamente uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi derivanti dalle clausole contrattuali, con tutte le conseguenze da ciò derivanti.
Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione con sentenza numero 17586/18, depositata il 5 luglio. Il fatto. La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da un consumatore, nei confronti di una compagnia telefonica operante nel campo della telefonia mobile, avente ad oggetto una pronuncia del Tribunale di Roma che, riformando completamente la sentenza di primo grado, aveva rigettato le sue richieste, accogliendo quelle della compagnia telefonica. In primo grado, il consumatore aveva dedotto di aver stipulato un contratto di abbonamento per telefonia mobile, con portabilità del suo preesistente numero telefonico. Il detto servizio, tuttavia, non era mai stato attivato dal nuovo gestore e per tale ragione egli aveva chiesto ed ottenuto che fosse dichiarata la risoluzione del contratto per grave inadempimento, da parte della compagnia telefonica, con contestuale storno di tutte le fatture, che quest’ultima aveva ugualmente emesso. In appello, però, la sentenza era stata totalmente ribaltata poiché il giudice, ignorando del tutto la qualità di consumatore dell’appellato, ne aveva rigettato le richieste, condannandolo anche al pagamento, in favore della compagnia telefonica appellante, degli importi indicati nelle fatture rimaste insolute. Avverso tale decisione, egli proponeva ricorso per Cassazione. La disciplina antecedente al Codice del consumo. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha innanzitutto chiarito quale sia la disciplina applicabile ai contratti stipulati prima del 23.10.2005, ovvero la data di entrata in vigore del d.lgs. numero 206/2005 o Codice del consumo. La Suprema Corte, infatti, nello stabilire che ad essi non può ovviamente applicarsi la successiva disciplina del Codice del consumo, individua negli articoli 1469-bis e seguenti del Codice Civile, la speciale tutela che, in attuazione della direttiva 93/13/CEE, era stata introdotta a tutela del consumatore, quale contraente debole. Le dette norme, infatti, prevedevano una presunzione di vessatorietà delle clausole che, malgrado l’eventuale buona fede, andassero ad alterare l’equilibrio contrattuale fra professionista e consumatore, con conseguenze pregiudizievoli per quest’ultimo. La necessaria qualificazione del contraente consumatore. La Corte di Cassazione, inoltre, ha anche affermato che la qualificazione dei contraenti è un presupposto fondamentale per la corretta valutazione dell’applicabilità della tutela speciale, prevista per i consumatori. Si tratta, infatti, di una questione rilevabile d’ufficio, la cui definizione compete esclusivamente al giudice di merito, essendo questa una premessa necessaria per la decisione sentenza numero 25212/2011 . Ai fini della qualificazione del consumatore, la Suprema Corte ha più volte chiarito che si debba considerare tale anche la persona fisica che svolga un’attività professionale o imprenditoriale, purché essa si trovi a concludere un determinato contratto per esigenze strettamente connesse alla vita quotidiana ed estranee all’esercizio delle dette attività. Viceversa, perché ricorra la figura del professionista, non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio di un’attività professionale o imprenditoriale, essendo sufficiente che esso venga stipulato per scopi ad essa collegati sentenze nnumero 13083/2007 e 21763/2013 . L’individuazione del consumatore nei contratti di telefonia mobile. Ovvio corollario di questi principi, secondo la Corte di Cassazione è che, nell’ambito dei contratti di telefonia mobile, per valutare la reale natura vessatoria delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto e nelle opzioni prescelte dall’utente, il giudice di merito, anche d’ufficio, deve preliminarmente individuare la qualità di consumatori dei contraenti, per poi poter stabilire, alla luce del principio sinallagmatico, se vi sia effettivamente uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi derivanti dalle clausole contrattuali, con tutte le conseguenze da ciò derivanti.
Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza 5 febbraio – 5 luglio 2018, numero 17586 Presidente Chiarini – Relatore Di Florio Svolgimento del processo 1. F.A. evocò in giudizio dinanzi al giudice di pace di Roma la H3G e, premesso di aver sottoscritto in data 21.4.2005 una proposta di abbonamento per telefono mobile con l’opzione Mobile Number Portability da ora MNP e che detto servizio non era mai stato attivato dal nuovo gestore, chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione della proposta di abbonamento per grave inadempimento contrattuale, azzerando gli oneri a proprio carico successivi alla comunicazione di recesso, con condanna della società convenuta al risarcimento dei danni da lui subiti. 2. Il primo giudice accolse tutte le domande dell’attore, respingendo la riconvenzionale spiegata della H3G. Il Tribunale di Roma riformò la sentenza impugnata, condannando il F. anche al pagamento di quanto dovuto per le fatture insolute. 3. Il ricorso avverso la predetta sentenza è affidato ad otto motivi. La H3G ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex articolo 360 numero 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli articolo 33 co 1 e 2 lett. B., 34 co 1 e 5, 20, 21, 22 Codice del Consumo e dell’articolo 3 Direttiva CEE 13/1993. Lamenta che il Tribunale aveva omesso di considerare che il F. era stato qualificato come consumatore dal primo giudice, che tale statuizione era rimasta incontestata e che da ciò non era stata tratta alcuna conseguenza in relazione alla vessatorietà delle clausole contenute nel contratto stipulato. Censura altresì la decisione nella parte in cui aveva ritenuto che l’opzione MNP avesse carattere accessorio. 2. Con gli altri motivi il ricorrente propone le seguenti doglianze, sintetizzate sulla base della loro connessione logica a. ex articolo 360 numero 5 cpc, deduce l’omesso esame del fatto decisivo e discusso fra le parti concernente la massiccia pubblicità ingannevole sulla clausola MNP, di cui il giudice d’appello non aveva affatto tenuto conto secondo motivo ed, ex articolo 360 numero 3, lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1381 c.c e 106 cpc in quanto il giudice d’appello non aveva tenuto conto che nel corso della campagna pubblicitaria, il nuovo gestore si era impegnato per il fatto di un terzo e ne era pertanto responsabile quarto motivo b. ex articolo 360 numero 3 cpc, deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 2697, 2702, 2707 ed articolo 345 cpc lamenta che il Tribunale aveva erroneamente valutato la condotta dell’HG3, ritenendo solo sulla base di documenti provenienti dalla parte interessata e destinati al soggetto terzo donating TIM che avesse adempiuto all’obbligo assunto come recipient con l’opzione sottoscritta terzo motivo e, con riferimento agli articolo 1218, 1337, 1176 c.c., assume che il giudice aveva erroneamente individuato le attività che connotavano l’adempimento del recipient, con ciò interpretando restrittivamente le condizioni generali di contratto quinto motivo ed omettendo di esaminare la disciplina della Delibera 4/CIR/99 che dettava le Regole per la fornitura della portabilità del numero fra operatori sesto motivo c. ex articolo 360 numero 3 cpc, deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1455 c.c., avendo il giudice omesso di considerare l’importanza che la trasferibilità del numero assumeva nell’intero contratto settimo motivo, strettamente collegato al primo d. ex articolo 360 numero 5 cpc censura l’omesso esame di un fatto decisivo e cioè la sostanziale confessione, contenuta negli scritti difensivi della H3G in ordine alla avvenuta disattivazione dell’utenza già dal dicembre 2005, con la conseguente ingiusta condanna al pagamento delle fatture emesse in epoca successiva ottavo motivo . Il primo motivo è fondato. Si osserva, infatti, quanto segue. Il giudice d’appello, nel ribaltare la sentenza di primo grado, ha statuito, focalizzando la sua indagine soltanto sulla formulazione letterale delle condizioni generali di contratto, che 1 la clausola MNP - descritta come un servizio che consente al cliente di cambiare l’operatore di telefonia, mantenendo lo stesso numero telefonico - conteneva un obbligo che risultava accessorio rispetto a quello principale di fornitura del servizio di telecomunicazione e non poteva, quindi, essere considerata essenziale 2 essa, prevedeva, per la sua realizzazione, anche la condotta positiva e collaborativa del gestore donating TIM visto che le attività che doveva svolgere il recipient erano, di per sé, insufficienti per la realizzazione del trasferimento assumeva che, comunque, risultava pacifico dagli atti che la HG3 le avesse compiute per la parte di sua competenza pag. 7 sentenza 3 il contratto, quindi, non poteva essere dichiarato risolto per inadempimento ed a ciò conseguiva anche la riforma della statuizione risarcitoria del primo giudice, nonché la condanna al pagamento degli importi portati nelle fatture rispetto alle quali il ricorrente risultava inadempiente. La prima censura proposta ha per oggetto la violazione delle norme del codice del consumo richiamate sub 1 e dell’articolo 3 della Direttiva CEE 13/1993. Al riguardo, deve precisarsi che il rapporto contrattuale ebbe a svolgersi in epoca antecedente all’entrata in vigore 23.10.2005 del Divo 206/2005, in cui, tuttavia, i contratti stipulati dai consumatori godevano della speciale tutela introdotta dall’articolo 25 della L.52/1996, di attuazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio delle Comunità Europee, concernente le clausole abusive tale disposizione introdusse gli articolo 1469 bis, ter, quater, quinquies e sexies c.c., attraverso la presunzione di vessatorietà delle pattuizioni che, malgrado la buona fede ma in presenza di alcuni presupposti, potessero alterare il sinallagma contrattuale nei contratti fra consumatore e professionista, con conseguenze pregiudizievoli per il contraente più debole. La censura mossa dal ricorrente nel primo motivo coglie, dunque, nel segno ma deve essere riferita alla normativa codicistica vigente prima dell’entrata in vigore del codice del consumo che contiene, tuttavia, per ciò che interessa in questa sede, principi ad esso sovrapponibili e trasposti dalla direttiva comunitaria sopra richiamata. Il Tribunale, nel riformare la sentenza del giudice di pace che aveva qualificato il F. come consumatore , ha deciso la controversia omettendo di formulare ogni valutazione sulla qualità del contraente, anche in presenza di specifica contestazione v. pag. 18 ricorso , e analizzando le condizioni di contratto senza alcun riferimento alla normativa allora vigente che risulta, in tal modo, violata al riguardo, precisato che la qualificazione dei contraenti appare decisiva al fine di individuare la regola del caso concreto, sì osserva che questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini dell’applicazione della disciplina di cui agli articolo 1469 bis e segg. cod. civ., deve essere considerato consumatore la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di tale attività, mentre deve essere considerato professionista tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del professionista non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente - come si evince dalla parola quadro - che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale . cfr. ex multis Cass. 11933/2006 Cass. 4208/2007 Cass. 13083/2007 Cass. 21763/2013 . Ed è stato altresì statuito che tale valutazione compete al giudice di merito essendo la premessa necessaria della decisione cfr. Cass. 25212/2011 che, inoltre, trattasi di questione rilevabile d’ufficio v. al riguardo anche Corte di Giustizia C-243/08 del 4.6.2009, Budaórsi Vàrosi Bírósàg - Ungheria / Pannon GSM Zrt/Erzsèbet Sustiknè Gy6rfi . Poiché la censura espressa nel primo motivo costituisce la necessaria premessa per il corretto inquadramento di tutti gli altri rilievi - con particolare riferimento all’applicabilità, alla clausola MPN in esame, dell’articolo 1469 bis nn 4, 15 e 20 c.c. al valore di essa accessorio o essenziale nell’economia dell’intero contratto alla responsabilità del gestore recipient in relazione alle omissioni del donating anche sotto il profilo degli obblighi di cui all’articolo 1381 c.c. cfr. al riguardo Cass. 16225/2003 Cass. 24853/2014 - all’accoglimento di esso segue l’assorbimento di tutti gli altri. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e rinviata al Tribunale di Roma, in persona di diverso giudice, il quale dovrà riesaminare l’intera controversia alla luce del seguente principio di diritto Nell’ambito dei contratti di telefonia mobile, al fine di valutare le pattuizioni contenute nelle condizioni generali di contratto e nelle opzioni prescelte dall’utente, il giudice deve preliminarmente, anche d’ufficio, individuare la qualità dei contraenti al fine di valutare correttamente, alla luce del principio sinallagmatico, l’eventuale squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dalle clausole stipulate e la loro vessatorietà con tutte le conseguenze da ciò derivanti . Il giudice di rinvio dovrà altresì decidere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.