La richiesta di patteggiamento è inammissibile se la qualificazione giuridica è inesatta.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 40797/2013 depositata il 2 ottobre scorso. La fattispecie. Il giudice riqualifica il fatto contestato – per la quale l’imputato aveva patteggiato la pena – quale furto in appartamento articolo 624 bis c.p. e non semplice furto articolo 624 c.p. , osservando che il reato era stato commesso in un luogo destinato allo svolgimento di attività di vita privata. L’imputato, quindi, si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando che la sentenza impugnata risulta aver applicato la pena in difformità dell’accordo concluso tra le parti. Al giudice, infatti, secondo il ricorrente, è riservata la facoltà, «previo vaglio di ammissibilità e congruità della richiesta», di accettarla o rigettarla. Diversa qualificazione del fatto in termini non contemplati dall’accordo che le parti avevano definito. I giudici di legittimità, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, ha chiarito che «in tema di applicazione della pena concordata, poiché tale rito speciale comporta un accordo sulla pena, ma non anche sul fatto-reato, il giudice ha l’obbligo di procedere ex officio a verifica non meramente formale limitata cioè alla esattezza della qualificazione giuridica del fatto e dunque alla correttezza estrinseca della imputazione , ma anche sostanziale e specifica, vale a dire estesa alla fattispecie concreta quale emerge dagli atti». Di conseguenza, la richiesta di patteggiamento dovrà essere dichiarata inammissibile, non solo nel caso di inesatta qualificazione giuridica del fatto contestato, «ma anche nel caso di errore sul nomen iuris, originato dalla contestazione di un fatto diverso da quello risultante dagli atti». Pertanto, quando il giudice ritenga di dover pervenire a diversa qualificazione giuridica del fatto, non potendo egli modificare l’imputazione, «deve respingere la richiesta e procedere con rito ordinario, mentre, quando egli accerti la diversità del fatto, deve necessariamente restituire gli atti al P.M.». Sospensione non più possibile? Anche perché con la diversa qualificazione giuridica del fatto si è venuta a determinare l’applicazione all’imputato di una pena la cui esecuzione non sarebbe stata suscettibile delle sospensioni previste dall’articolo 656 c.p.p. sospensione dell'esecuzione delle pene detentive .
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 aprile – 2 ottobre 2013, numero 40797 Presidente Grassi – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Brescia - in composizione monocratica, ed a seguito di udienza di convalida dell'arresto - applicava ad A T. , su sua richiesta, la pena di anni 1 di reclusione ed Euro 600,00 di multa in relazione a un addebito qualificato in rubrica ex articolo 110, 624, 625 co. 1 numero 2 cod. penumero pur non discostandosi dai termini dell'accordo intervenuto fra le parti quanto al computo della pena che derivava dalla concessione di attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante contestata, oltre che dalla diminuzione conseguente alla opzione per il rito speciale , il giudice riteneva però di riqualificare il fatto contestato quale “delitto ai sensi degli articolo 624-bis, 625 comma 1 numero 2 cod. penumero ”, osservando che il reato era stato commesso in un luogo destinato allo svolgimento di attività di vita privata, anche se di carattere imprenditoriale. Con la medesima decisione, il giudicante disponeva la confisca di un veicolo che si assumeva essere stato utilizzato per la realizzazione del furto un autocarro di proprietà del T. , nonché di ulteriori oggetti in sequestro. 2. Propone ricorso per Cassazione il difensore del T. , deducendo violazione dell'articolo 444 del codice di rito sotto un duplice profilo. 2.1 La difesa lamenta che la sentenza impugnata risulta avere applicato la pena anzidetta in difformità dall'accordo concluso tra le parti, essendo stata data al fatto di cui al capo d'imputazione una qualificazione giuridica diversa e più grave. Oltre ad osservare in via generale che al giudice non può ritenersi consentito alcun intervento sul negozio perfezionatosi tra il Pubblico Ministero e l'imputato, “essendogli riservata solamente la facoltà, previo vaglio di ammissibilità e congruità della richiesta, di accettarla o di rigettarla”, il ricorrente rileva che nel caso di specie la mutata qualificazione dell'addebito comporta effetti pregiudizievoli richiama in proposito il disposto dell'articolo 656 cod. proc. penumero , che esclude per i reati ex articolo 624-bis cod. penumero le ipotesi di sospensione dell'esecuzione ivi contemplate. 2.2 In secondo luogo, la sentenza viene censurata quanto all'applicazione della confisca del suddetto autocarro, disposta dal giudice non ricorrendone obbligo di legge e pur sempre fuori dai termini dell'accordo fra le parti. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso è fondato. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che “in tema di applicazione della pena concordata, poiché tale rito speciale comporta un accordo sulla pena, ma non anche sul fatto-reato, il giudice ha l'obbligo di procedere ex officio a verifica non meramente formale limitata cioè alla esattezza della qualificazione giuridica del fatto e dunque alla correttezza estrinseca della imputazione , ma anche sostanziale e specifica, vale a dire estesa alla fattispecie concreta quale emerge dagli atti con la conseguenza che dovrà essere dichiarata inammissibile la richiesta di patteggiamento, non solo nel caso di inesatta qualificazione giuridica del fatto contestato, ma anche nel caso di errore sul nomen iuris, originato dalla contestazione di un fatto diverso da quello risultante dagli atti. D'altra parte, dall'obbligo di correlazione tra imputazione e sentenza, applicabile anche nei procedimenti speciali, consegue che, quando il giudice ritenga di dover pervenire a diversa qualificazione giuridica del fatto, non potendo egli modificare l'imputazione, deve respingere la richiesta e procedere con rito ordinario, mentre, quando egli accerti la diversità del fatto, deve necessariamente restituire gli atti al P.M.” Cass., Sez. V, numero 467 del 26/01/1999, Tavagnacco, Rv 213185 v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. VI, numero 6510 dell'11/12/2003, Rossi, Rv 228272 . Come correttamente rilevato dalla difesa, anche a sostegno del concreto interesse a proporre l'odierno gravame, nella fattispecie concreta vi è stata una diversa qualificazione del fatto in termini non contemplati dall'accordo che le parti avevano definito, peraltro venendosi a determinare l'applicazione all'imputato di una pena - per quanto identica nel computo a quella richiesta - la cui esecuzione non sarebbe stata suscettibile delle sospensioni previste dall'articolo 656 del codice di rito stante il disposto del comma 9 . L'accoglimento del primo motivo di ricorso, che comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei termini di cui al dispositivo, è assorbente della questione prospettata sulla legittimità della confisca va peraltro ricordato che secondo una recente pronuncia di questa Corte “le parti, nel c.d. patteggiamento , non possono vincolare il giudice con un accordo avente ad oggetto anche le pene accessorie, le misure di sicurezza o la confisca, atteso che le suddette misure sono fuori dalla loro disponibilità, e, nel caso in cui l'accordo riguardi anche esse, il giudice non è obbligato a recepirlo o non recepirlo per intero, rimanendo vincolato soltanto con riguardo alle parti dell'accordo riguardanti elementi in disponibilità delle parti” Cass., Sez. II, numero 19945 del 19/04/2012, Toseroni, Rv 252825 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Brescia, per nuovo giudizio.