Le colpe dei parenti ricadono sull’ ex socio della società? Non senza prove

È incomprensibile il percorso logico che ha condotto il giudice del merito a trarre da fatti poco chiari e sommariamente descritti come la dispersione del patrimonio della società ad opera di parenti elementi di prova della protratta ingerenza nella gestione della società fallita ad opera di un ex socio, in qualità di socio accomandatario occulto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20684, depositata il 10 settembre 2013. Socio occulto della società? La Corte d’Appello aveva respinto il reclamo contro una sentenza che aveva dichiarato il fallimento in estensione di quello di una s.a.s.-, di un socio accomandatario occulto della società. La Corte territoriale, infatti, riesaminato il materiale istruttorio acquisito agli atti, aveva ritenuto che il reclamante - precedente accomandatario della s.a.s. - avesse continuato a gestire la società. Secondo i giudici di secondo grado, la prova di ciò poteva trarsi dall’avvenuta costituzione, da parte dei suoi familiari, di una s.r.l. cui, attraverso operazioni triangolari con una terza società, era stato sostanzialmente ceduto il patrimonio della s.a.s. In secondo luogo, per la Corte distrettuale, sarebbe stato rilevante anche il suo coinvolgimento personale nelle trattative intercorse con una creditrice della s.a.s, per concordare un piano di ristrutturazione del debito e di ridefinizione degli accordi commerciali di affiliazione. No, prove e motivazioni occulte. Avverso tale decisione, il reclamante ha proposto ricorso per cassazione, denunciando vizio di motivazione e lamentando che le circostante inerenti le operazioni di triangolazione sono state poste in essere da soggetti terzi suoi familiari e non possono pertanto costituire prova della sua protratta ingerenza nella gestione societaria. Per la Suprema Corte la censura è fondata. Secondo gli Ermellini, infatti, la prima circostanza su cui è stata basata la prova dell’ingerenza del ricorrente, vale soltanto ad attribuire a soggetti terzi moglie e altri parenti del ricorrente la responsabilità della dispersione del patrimonio della s.a.s, senza che sia in alcun modo chiarito se e come l’odierno ricorrente abbia partecipato all’operazione e se vi siano risultanze istruttorie atte a dimostrare non solo che egli l’ha architettata e diretta, ma che, per portarla a compimento, ha continuato a gestire la s.a.s. al posto di chi lo ha formalmente succeduto nella carica. Inoltre, relativamente al secondo punto, per Piazza Cavour, i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto superfluo l’espletamento della prova contraria - richiesta dal ricorrente - sulla materia. Alla luce di ciò, la sentenza è stata cassata e la causa rinviata per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 maggio - 10 settembre 2013, n. 20684 Presidente Salmé Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Bari, con sentenza del 3.11.011, ha respinto il reclamo proposto da A R. contro la sentenza del Tribunale di Foggia del 25.5.011 che, ai sensi dell'art. 147 l. fall., aveva dichiarato il suo fallimento in estensione di quello della Adriatic Food s.a.s. di Kubiak Piotr Pavel & amp C., quale socio accomandatario occulto della società. La Corte territoriale, riesaminato il materiale istruttorio acquisito agli atti, ha ritenuto che la prova che il R. precedente accomandatario della Adriatic Food, formalmente receduto dalla società il 9.12.09 avesse continuato a gestire la società poteva trarsi dall'avvenuta costituzione, da parte di suoi familiari, di una società denominata Market Food s.r.l. cui, attraverso operazioni triangolari con una terza società, avvenute fra il marzo ed il maggio 2010, era stato sostanzialmente ceduto il patrimonio di Adriatic Food dal suo coinvolgimento personale nelle trattative intercorse con una creditrice della s.a.s., per concordare un piano di ristrutturazione del debito e di ridefinizione degli accordi commerciali di affiliazione. La sentenza è stata impugnata da A R. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui hanno resistito, con separati controricorsi, la creditrice istante Lillo s.p.a. ed il curatore dei Fallimenti della Adriatic Food s.a.s., di Kubiak Piotr Pavel e di R.A L'altra creditrice istante, Bizerba s.p.a., non ha svolto attività difensiva. Il Fallimento ha depositato memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di ricorso A R. denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata rilevando come, secondo la ricostruzione della stessa corte territoriale, le circostanze inerenti le operazioni di triangolazione intervenute per dissipare il patrimonio della Adriatic Food sono state poste in essere da soggetti terzi i suoi familiari, altre società e non possano pertanto costituire prova della sua protratta ingerenza nella gestione societaria. 2 Col secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 116 c.p.c. ed ulteriore vizio di motivazione, deduce che la corte territoriale ha erroneamente dato sostanzialmente per ammesso che, dopo le sue formali dimissioni dalla carica di accomandatario, egli si fosse personalmente recato presso la sede della Lillo s.p.a. per concordare un piano di ristrutturazione dei debiti della Adriatic Food, ancorché la circostanza, meramente allegata dalla creditrice nell'istanza di fallimento e da lui fermamente contestata, formasse oggetto di un capitolo di prova testimoniale rispetto al quale egli aveva richiesto l'ammissione di prova contraria. I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e devono essere accolti. La decisione della corte territoriale si fonda, da un lato, sul rilievo che la moglie ed altri parenti del R. , in concomitanza col dissesto della Adriatic Food, avevano costituito la Market Group s.r.l., interessata ad una serie di operazioni triangolari di reso fornitura e rifatturazione tra una terza società e la s.a.s. poi fallita, per effetto delle quali si era appropriata di beni di quest'ultima e, dall'altro, sull'affermato, avvenuto riconoscimento da parte dell'opponente/appellante della sua protratta ingerenza nella gestione della società, manifestatasi attraverso lo svolgimento di trattative con la Lillo s.p.a., per concordare il ripianamento del debito e per ridefinire gli accordi commerciali già esistenti. La prima circostanza, tuttavia, vale soltanto ad attribuire a soggetti terzi i parenti del R. , altre società la responsabilità della dispersione del patrimonio della Adriatic Food, senza che al di là della sintetica, e poco chiara, descrizione del meccanismo da costoro escogitato allo scopo sia in alcun modo chiarito se e come l'odierno ricorrente abbia partecipato all'operazione e se vi siano risultanze istruttorie atte a dimostrare non solo che egli l'ha architettata e diretta, ma che, per portarla a compimento, ha continuato a gestire l'Adriatic Food in luogo del cittadino polacco formalmente succedutogli nella carica resta, in sostanza, incomprensibile il percorso logico che ha condotto il giudice del merito a trarre dai fatti sommariamente descritti elementi di prova della perdurante qualità del R. di socio accomandatario occulto della fallita. La seconda circostanza, invece, non poteva ritenersi pacifica fra le parti, atteso che il R. aveva espressamente contestato di aver tenuto i comportamenti descritti dalla curatela e dalla Lillo s.p.a. in epoca successiva all'abbandono della sua qualità di socio ovvero di aver trattato con la Lillo in nome e per conto dell'Adriatic Food e che tale contestazione era stata ribadita attraverso la richiesta di ammissione di prova contraria alla prova testimoniale articolata sul punto dalla creditrice istante, il cui espletamento è stato erroneamente ritenuto superfluo dalla corte territoriale. 3 Va invece dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso la corte territoriale, con accertamento che non è stato oggetto di impugnazione incidentale da parte del Fallimento e della Lillo s.p.a., ha infatti escluso che la prova dell'ingerenza del R. nella gestione della Adriatic Food potesse ricavarsi dalla circostanza che questi, in data successiva alla sua fuoriuscita dalla compagine societaria, aveva emesso un assegno in nome e per conto della società. Il ricorrente difetta, pertanto, di interesse ad impugnare il predetto capo della decisione, ormai coperto da giudicato intemo, per il solo fatto che il giudice del merito, pur dando atto che egli aveva formalmente disconosciuto la propria sottoscrizione, non ha rilevato che, in mancanza di verificazione, il titolo non avrebbe potuto neppure essere valutato come elemento di prova. L'accoglimento dei primi due motivi comporta la cassazione della sentenza. impugnata ed il rinvio della causa, per un nuovo esame, alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara inammissibile il terzo motivo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.