L’esercizio del potere cautelare è subordinato ad un giudizio prognostico caratterizzato da una ragionevole probabilità di condanna dell’indagato

Qualunque elemento probatorio può essere idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, ma la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di prova idoneo ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare e non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 44345/14 della Corte di Cassazione, depositata il 23 ottobre. Il caso. Il Tribunale della libertà di Milano confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Busto Arsizio, sulla cui scorta veniva applicata la misura restrittiva intramuraria nei confronti di M.A., indagata per il reato di concorso nell’omicidio del marito F.A. unitamente ad altri soggetti ignoti. I Giudici della cautela, a suffragio dell’ordinanza reiettiva, evidenziavano sia le numerose menzogne di essa M.A. precipuamente afferenti i suoi spostamenti nel pomeriggio in cui fu ucciso il di lei marito, che una intercettazione di natura eteroaccusatoria tra la figlia e la sorella della stessa indagata, nell’alveo della quale emergeva come entrambe le donne nutrissero dei sospetti sul coinvolgimento dell’indagata nel fatto omicidiario. Avverso l’ordinanza cautelare M.A. ricorreva per Cassazione, deducendo tre differenti motivi di gravame in primis , lamenta vizio di motivazione, ritenuta apparente, in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria di cui all’art. 273 c.p.p. con riferimento all’omicidio del marito, contestato a titolo di concorso, ma senza che sia stato in alcun modo individuato il contributo causalmente partecipativo, di natura materiale o morale, alla condotta illecita altrui. In secundis , evidenzia la illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari contestate nel titolo custodiale, ovvero il pericolo sia di recidiva che di inquinamento probatorio sostiene la ricorrente che il Tribunale abbia argomentato in modo assolutamente generico sul punto, senza fornire circostanze fattuali concretamente idonee a legittimare il mantenimento della misura cautelare. Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, M.A. lamenta la violazione degli artt. 275 e 292 comma II lett. c bis c.p.p., con precipuo riferimento alla scelta della misura restrittiva ed alla proporzionalità della stessa, avendo i Giudici di Milano omesso di indicare elementi oggettivi sulla cui scorta escludere il possibile soddisfacimento delle esigenze cautelari attraverso misure meno gravose per la libertà personale. Gravità indiziaria. La Prima Sezione Penale della Suprema Corte ha accolto il ricorso de quo e, conseguentemente, ha disposto l’annullamento dell’ordinanza sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In particolare, i Supremi Giudici hanno chiarito come il Tribunale di Milano non abbia correttamente applicato i principi giurisprudenziali in materia di gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., statuendo come il coinvolgimento della M.A. a titolo di concorso nell’omicidio del di lei marito sia stato fondato esclusivamente sulla scorta di meri sospetti che, come tali, non possono sic et simpliciter elevarsi al rango di gravi indizi di colpevolezza. In altri termini, le menzogne dell’indagata sui suoi spostamenti durante le ore immediatamente antecedenti e susseguenti l’omicidio, nonché i dubbi espressi dalla figlia e sorella in ordine ad un suo possibile coinvolgimento, non possono certamente essere valutati quali elementi dotati del crisma della gravità indiziaria richiesta quale condicio sine qua non per l’emissione ed il mantenimento di un titolo custodiale. In effetti, chiarisce la Corte Regolatrice, qualunque elemento probatorio può essere idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, ma la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di prova idoneo ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare e non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria. La ragionevole probabilità di condanna. I Supremi Giudici, con la sentenza de qua , hanno avuto modo di ribadire il consolidato orientamento di legittimità sull’art. 273 c.p.p., specificando come sia indispensabile che la custodia cautelare sia assistita, comunque, da una ragionevole probabilità di condanna, laddove gli indizi sui quali deve fondarsi la misura restrittiva personale devono avere i requisiti indispensabili finalizzati ad assicurare la loro tenuta nel giudizio sul merito dell’accusa. Donde, il giudizio prognostico in tal senso è indispensabile, pur dovendo essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di responsabilità già raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 – 23 ottobre 2014, n. 44345 Presidente Cortese – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. In data 21.5.2014, il Tribunale di Milano, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Busto Arsizio, il 7.5.2014, con la quale veniva applicata la misura della custodia cautelare della custodia in carcere nei confronti di M.A. in relazione alla contestazione del reato di omicidio, aggravato per avere agito con crudeltà e per la condizione di minorata difesa, del marito F.A., colpito più volte alla testa e al volto con un oggetto contundente e attinto da quattro coltellate al torace e al collo, il 12.4.2014 in Somma Lombardo. II tribunale evidenziava che il F. era stato ucciso nella sua abitazione e l’ora della morte era stata collocata, sulla base delle prime valutazioni del medico legale, intorno alla 19,30 l’indagata nell’immediatezza aveva riferito che alle 19 aveva avvisato al telefono la figlia che si sarebbe recata a trovarla e, quindi, era uscita di casa lasciando il marito da solo che aveva trovato morto quando era rientrata alle 20,30. Rilevava che la misura cautelare era stata fondata sugli esiti degli accertamenti della p.g. dai quali era emerso, in primo luogo, che la donna in realtà si era allontanata dalla sua abitazione alle 19,20 e non alle 19. Inoltre, un vicino di casa aveva sentito dei rumori nell’abitazione dei coniugi F. compatibili con quanto accaduto, intorno alle ore 19,15, poi meglio precisate non oltre le 19,03 per quanto emerso dal computer del testimone. Erano, altresì, state rilevate tracce biologiche nell’autovettura usata dall’indagata per recarsi dalla figlia sulle quali erano ancora in corso gli accertamenti dei carabinieri del RIS. Nell’ordinanza del gip era stato anche valorizzato il contenuto di una conversazione telefonica intercettata tra la figlia dell’indagata, F.A., e la zia, sorella dell’indagata, A.L., dalla quale emergeva che le donne nutrivano sospetti sul coinvolgimento della congiunta nell’omicidio. 2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, l’indagata. Con il primo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, ritenuta apparente, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., con riferimento all’omicidio del marito dell’indagata avvenuto il 12 aprile 2014. In particolare, lamenta che il tribunale ha apoditticamente affermato il concorso della ricorrente nel reato contestato senza individuare la condotta partecipativa dell’A., a titolo di concorso morale o materiale, senza indicare su quali elementi è stata ritenuta la qualificata probabilità della colpevolezza. Invero, il tribunale alla pagina 8 dell’ordinanza ha attribuito la responsabilità dell’omicidio ad uno o più soggetti entrati nell’abitazione della vittima considerando, tra l’altro, il rinvenimento di tracce biologiche all’interno dell’abitazione attribuite a persona di sesso maschile diversa dalla vittima e dalla indagata così come ha affermato che la coltellata che ha attinto la vittima al collo sarebbe stata inferta a decesso avvenuto e, quindi, non sarebbe riconducibile alla indagata che si era ormai allontanata dall’abitazione ha affermato che pur se la donna non avesse partecipato materialmente al delitto, ciò non esclude il concorso della stessa. Si rileva come nessun elemento di fatto e nessun movente sia stato individuato a carico della ricorrente anche se si volesse ritenere che l’autore materiale dell’omicidio sia stato lo straniero con il quale l’indagata, di oltre 65 anni di età, avrebbe una relazione, e che la donna si trovasse in casa al momento del fatto, resta un totale vuoto motivazionale in ordine alla partecipazione, sia materiale che morale, della donna alla consumazione dell’omicidio, tenuto conto, peraltro, che non vi era alcun dissapore tra marito e moglie. Ribadisce, quindi, la ricorrente che, pur non essendo stati trasmessi né prodotti al tribunale, gli esami delle tracce biologiche che sarebbero state rilevate nell’autovettura della indagata hanno dato esito negativo, come risulta dalla anticipazione degli esiti degli stessi di cui ha dato atto il consulente della famiglia della vittima che aveva partecipato a detti accertamenti. Si contesta, altresì, la ricostruzione dell’ora della morte e di quella dell’allontanamento dell’indagata dall’abitazione, così come la rilevanza della omissione della indicazione dell’incontro con il tunisino avvenuto alle 16.00 del pomeriggio. Con un secondo motivo la ricorrente denuncia l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, sia con riferimento alla pericolo di recidiva, sia quanto all’inquinamento probatorio avendo il tribunale argomentato sul punto in maniera generica, senza alcuna indicazione di circostanze di fatto concrete. In particolare, quanto al pericolo di recidiva specifica è stato affermato che l’indagata è persona con limitato controllo delle proprie azioni a fronte del fatto che si tratta di una donna di 65 anni, portatrice di varie patologie, che non ha mai tenuto atteggiamenti violenti, con una vita coniugale informata da affetto e reciproco rispetto. Infine, denuncia la violazione dell’artt. 275 e 292 comma 2 lett. c-bis cod. proc. pen. avuto riguardo alla scelta della misura cautelare e alla proporzionalità della stessa. I giudici di merito hanno omesso di indicare elementi oggettivi per escludere il soddisfacimento delle esigenze cautelari attraverso misure diverse da quella della custodia in carcere, pur essendo oggettivamente evidente nel caso di specie che le eventuali esigenze cautelare ben potrebbero essere garantite con la misura domiciliare. Considerato in diritto Precisato che non può essere presa in considerazione la documentazione trasmessa dal Procuratore della repubblica di Busto Arsizio, relativa agli esiti degli accertamenti del RIS sulle tracce biologiche prelevate, trattandosi di elementi non contenuti negli atti esaminati dal tribunale del riesame, il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. La valutazione del tribunale degli elementi posti a fondamento della decisione - per quanto viene dato atto nella motivazione dell’ordinanza impugnata - non risulta conforme ai canoni che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza prescritti dall’art. 273 cod. proc. pen I giudici della libertà, esaminando oltre agli elementi indicati nell’ordinanza emessa dal gip anche quelli introdotti a supporto dei rilievi difensivi e quelli indicati nella memoria depositata in udienza dal pubblico ministero, acquisiti nel prosieguo delle indagini esiti di ulteriori intercettazioni e le circostanze tratte dalle dichiarazioni rese da tale L.B. , hanno preso atto, evidentemente, del parziale mutamento del compendio indiziario ed hanno prospettato, compatibilmente con i propri poteri, il concorso della A., unitamente a uno o più soggetti, nell’omicidio del marito. Hanno, quindi, evidenziato come l’indagine in corso su due cittadini tunisini non escluda il concorso della ricorrente nel fatto delittuoso, ed hanno affermato che, verosimilmente, l’aggressione era avvenuta ad opera di un altro o altri soggetti in concorso con la donna che non necessariamente potrebbe aver partecipato materialmente al delitto . Tuttavia, lo sviluppo argomentativo della motivazione non è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro nè appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi possano essere reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine della responsabilità dell’indagata per l’omicidio del marito. Il tribunale ha ribadito la valorizzazione operata dal gip di elementi che, ancorchè non neutri, non possono da soli, per come rappresentati, sostanziare la gravità indiziaria a carico della A È stato, infatti, ritenuto significativo che l’indagata abbia mentito sull’orario di uscita dall’abitazione e sul tempo impiegato per raggiungere la casa della figlia dove ha detto di essersi recata per vedere il nipote che non era stato bene, mentre risultava verificato che il nipote era uscito ed era rientrato solo pochi minuti prima dell’arrivo della nonna. Invero, la circostanza che la A. abbia mentito sull’orario nel quale era uscita di casa che, per quanto emerso dai tabulati dei sistemi di lettura delle targhe dei comuni di Somma Lombardo e Gallarate, dai filmati delle telecamere dei predetti comuni, nonché, dai tabulati telefonici e dalle celle agganciate dal telefono dell’indagata, è stato individuato nelle 19,20 e non appena dopo le 19, non può assumere significato dirimente se la morte del F. è avvenuta alle 19,30 come indicato dal tribunale. L’ulteriore indizio ritenuto dai giudici del riesame conducente in ordine al concorso della A. nell’omicidio dei marito è rappresentato dal fatto che l’indagata abbia omesso di riferire che il pomeriggio dell’omicidio - come era stato accertato dagli investigatori - aveva avuto vari contatti e poi aveva incontrato a Busto Arsizio il tunisino B.B. con il quale, secondo alcuni testimoni amici del predetto, la donna aveva una frequentazione per ragioni di droga e di sesso, e che un connazionale aveva visto la sera dei fatto con una ferita ad un dito. Esclusivamente sospetti sulla congiunta sono emersi, come affermato dal tribunale, dal contenuto della conversazione telefonica intercettata la figlia dell’indagata, A., e la sorella, Lina, così come da quella tra A. e G.A. Nessun indizio dei coinvolgimento della donna nell’aggressione violenta del F. è stato tratto dalle tracce biologiche rinvenute in casa, anche sulla base di legno dell’oggetto a forma di elefante usato per colpire la vittima, perché risultate estranee all’indagata ed appartenenti a soggetto maschile né da quelle trovate nell’auto usata dall’A. per recarsi dalla figlia che il tribunale ha considerato dato provvisorio , essendo in corso accertamenti. Ininfluente, altresì, è stato ritenuto l’accertamento non ancora definitivo sulla lesione che ha causato la morte della vittima. Certamente qualunque elemento probatorio può essere idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, ma la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di prova idoneo ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare e non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, sia pure a prescindere dagli effetti, non ancora apprezzabili, eventualmente connessi alla dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale Sez. U., n. 36267 dei 30/05/2006, rv. 234598 . Occorre, allora, ribadire, quanto affermato da questa Corte rimarcando che, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., è indispensabile che la custodia cautelare sia assistita, comunque, da una ragionevole probabilità di condanna e che si impone, quindi, che gli indizi sui quali deve fondarsi la misura cautelare personale abbiano i requisiti indispensabili ad assicurare la loro tenuta nel giudizio sul merito dell’accusa , non soltanto alla luce delle modifiche della citata norma a seguito della legge sul giusto processo, ma anche sulla base dei principi desumibili dagli artt. 13 e 27 Cost. in ordine alla natura servente della carcerazione preventiva”, e la regola di valutazione che direttamente discende dall’art. 314 cod. proc. pen. secondo cui sarà comunque ingiusta la privazione della libertà personale cui segua una sentenza di proscioglimento. Il giudizio prognostico in tal senso - ovviamente esteso alle regole per le ipotesi di incertezza e contraddittorietà considerate dal codice di rito all’art. 530, comma 2 e all’art. 533, comma 1, prima parte - è, dunque, indispensabile, pur dovendo essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di responsabilità già raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio. I gravi indizi null’altro sono, d’altro canto, che una prova allo stato degli atti”, valutata dal giudice allorché la formazione del materiale probatorio è di norma ancora in itinere. È così soltanto l’aspetto di una possibile evoluzione dinamica”, non la differente intrinseca capacità dimostrativa, a contraddistinguere la valutazione della prova in sede cautelare rispetto alla valutazione nel giudizio di cognizione Sez. 1, n. 19759, 17/05/2011, Misseri . Per quanto si è detto non può ritenersi che nell’ordinanza impugnata sia stata fatta corretta applicazione dei richiamati principi si impone, conseguentemente, l’annullamento con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della ricorrente. Restano assorbiti i rilievi in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelare ed alla scelta della misura cautelare. La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen