Anche in questo caso i giudici affermano la necessità di prendere atto della società moderna e della nuova visione della famiglia, sempre più ampia. Così il termine familiare, utilizzato dalla legge, va inteso in un’ottica molto più larga. Ecco perché è legittimo conteggiare anche il reddito della madre, convivente con la coppia, della compagna dell’uomo che aveva presentato domanda di ammissione al gratuito patrocinio.
Cambia la società, cambiano i costumi, cambia anche il concetto di famiglia, o, meglio, si allarga E a risentirne è inevitabilmente l’applicazione della legge, che non può più attenersi a una visione old style del mondo. Conseguenze? Esemplare il caso affrontato dai giudici della Cassazione – con sentenza numero 44121/2012, Quarta Sezione Penale, depositata oggi –, e chiuso con la conferma della negazione del gratuito patrocinio, legittimata dal superamento della soglia reddituale massima – fissata per legge – a causa del calcolo anche dei redditi della madre della convivente del richiedente, co-inquilina della coppia ‘di fatto’. Troppo ricco. Accolta sì, ma solo in prima battuta. Perché, a posteriori, la richiesta di ammissione alla ‘ciambella di salvataggio’ del gratuito patrocinio viene rigettata. Come si motiva tale cambio di rotta? Col superamento della soglia reddituale, fissata dalla legge. Decisivi gli elementi emersi dalle indagini effettuate presso i competenti uffici finanziari. Più precisamente, chiariscono i giudici, il reddito dell’uomo deve essere considerato più ampio, perché comprensivo anche del reddito «percepito dalla madre della compagna convivente» dell’uomo e «anch’essa convivente». Famiglia ‘larga’. Durissima la contestazione mossa dall’uomo, che propone ricorso per cassazione mettendo in discussione la linea seguita dai giudici. A finire nel mirino è l’inclusione dei redditi della madre della compagna dell’uomo, il quale afferma che ella «sebbene coabiti con la figlia ed il suo compagno, non può ritenersi ‘familiare’» così come previsto dalla legge. È, quella proposta dall’uomo, una osservazione attenta, che spinge i giudici ad approfondire la questione, partendo da una premessa «il termine usato dalla legge», parlando di redditi da conteggiare per la valutazione della richiesta di gratuito patrocinio, è «quello di ‘familiare’ o di ‘componente della famiglia’». Ma, ecco il nodo gordiano, tali termini fanno riferimento «ai soli familiari, componenti del nucleo familiare, uniti da vincoli di parentela o affinità» o anche «a quei componenti che, convivendo e contribuendo, ognuno di essi, sia dal punto di vista economico che collaborativo, alla vita in comunione, costituiscono il nucleo familiare»? Per i giudici non vi è dubbio bisogna tener conto, nella materia del gratuito patrocinio, della «capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, concorrono a formare il reddito familiare». Di conseguenza è legittima l’interpretazione ‘ampia’ del termine ‘familiare’ – quella che ha spinto a negare, in questo caso, il gratuito patrocinio –, termine da riferire «non solo a coloro che sono legati da vincoli di consanguineità, o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono e contribuiscono al menage familiare». Tutto ciò perché, dovendo confrontarsi con la società moderna, bisogna considerare la «famiglia ‘di fatto’ quale realtà sociale, che, pur essendo al di fuori dello schema legale, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 settembre – 13 novembre 2012, numero 44121 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto e diritto I.D. propone ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza, in epigrafe indicata, con cui il Tribunale di Brindisi ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento di revoca di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso il 28.04.2004 dal Tribunale dello stesso capoluogo sezione distaccata di Fasano -. Si premette che a seguito di due diverse istanze, relative rispettivamente a procedimenti nn R.G. numero R. 209/99, R.G. Trib. 300/02 e R.G.R.numero 5598/99, R.G. Trib. 321/03, il ricorrente era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Successivamente i due procedimenti penali venivano riuniti ed, in riferimento all’attività svolta, il difensore di fiducia, avv. F.L., chiedeva la liquidazione degli onorari. Con decreto depositato in data 3.05.2004 il G.O.T. revocava ex officio i decreti di ammissione dell’I. al patrocinio a spese dello Stato e rigettava l’istanza di liquidazione delle competenze. Proposta rituale opposizione ai sensi dell’articolo 99 d.P.R. 115/2002 veniva emessa l’ordinanza impugnata. Con un primo motivo si denuncia violazione di legge nella specie degli articolo 97, 99 e 112 del d.p.R. 115/2002 in relazione all’articolo 360, commi 3° e 5° c.p.c Si eccepisce che la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato può essere pronunciata solo per le ipotesi previste dall’articolo 112 del citato d.P.R., così come, per altro affermato dalla S.C. a SS.UU. con sentenza numero 36168 del 10.09.2004. Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge ed in particolare degli articolo 72 e 92 del d.P.R. 115/2002 in relazione all’articolo 360, commi 3° e 5° c.p.c Si argomenta che erroneamente il G.O.T., con il provvedimento di revoca, ha ritenuto di dover cumulare il reddito dell’istante con quello di R.V., madre della sua convivente, la quale, sebbene coabiti con la figlia ed il suo compagno, non può ritenersi “familiare” ai sensi del 2° comma dell’articolo 76 ed articolo 92 del d.P.R. 115/2002. I motivi esposti sono infondati sicché il ricorso va rigettato. Destituita di fondamento è la censura posta a base del primo motivo atteso che essa è in evidente contrasto con la stessa formulazione della norma ritenuta violata atteso che l’articolo 112, 1° comma lett. d del d.P.R. 115/2002, consente al giudice di revocare, anche d’ufficio, il decreto di ammissione al gratuito patrocinio nel caso in cui “risulta provata la mancanza originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articolo 76 e 92” dello stesso d.P.R. per altro la massima giurisprudenziale di questa Corte a SS.UU. di cui alla sentenza numero 36168 del 19.09.2004, riportata in ricorso, è quanto mai chiara nell’affermare che il giudice può revocare l’ammissione al gratuito patrocinio solo per i casi previsti dal citato articolo 112 . Nel caso di specie il decreto di ammissione è stato revocato proprio per la mancanza di una delle condizioni per accedere al beneficio in parola, vale a dire un reddito imponibile superiore al tetto previsto dall’articolo 76 sulla base di quanto emerso dalle indagini effettuate presso i competenti uffici finanziari dovendosi cumulare al reddito dell’istante anche quello percepito dalla madre della compagna convivente dell’istante, anch’essa convivente. Quanto al secondo motivo, ovviamente strettamente collegato al primo, la questione se è legittimo computare, ai fini della determinazione del reddito complessivo dell’istante ai sensi dell’articolo 76 d.P.R. 115/2000, anche quello di una persona con lui convivente che non sia legato allo stesso la vincoli di parentela, non può che avere una risposta affermativa sulla base della elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in materia. Per vero questa Corte si è pronunciata V. per tutte Sez. 4, Sentenza numero 109 del 26/10/2005 Cc. Rv. 232787 più volte affermativamente con riferimento al reddito del convivente “more uxorio” dell’istante, ma il principio di diritto ricavabile da tali pronunce va esteso anche al caso sottoposto al caso di specie. La norma di cui all’articolo 76 d.P.R. 115/2000 stabilisce che “ .se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia”, quest’ultimo termine è stato poi utilizzato dal legislatore nel successivo articolo 92, ai fini dell’elevazione dei limiti del reddito per l’ammissione. Dunque, il termine usato dalla legge è quello di “familiare” o di “componente della famiglia”. Il problema che si pone, sollevato dal ricorrente, è quello di verificare se il legislatore, con l’adozione di tali accezioni, abbia voluto far riferimento ai soli familiari, componenti del nucleo familiare, uniti all’istante da vincoli di parentela o affinità o se, invece, anche a quei componenti che, convivendo e contribuendo ognuno di essi, sia dal punto di vista economico che collaborativo, alla vita in comune, costituiscono il nucleo familiare. Nell’ambito di una interpretazione sistematica della legge sottoposta al nostro esame è da considerare che il legislatore, ogniqualvolta ha voluto dare rilevanza, vuoi per aggravare o per favorire la posizione dell’imputato, ai rapporti derivanti da un legame per così dire naturale o di acquisizione, ha sempre utilizzato, oltre ai termini inequivocabili di ascendente, discendente, coniuge, fratelli e sorelle V ad es. articolo 649 cod. penumero , caratterizzanti un vicolo familiare derivanti da rapporti di consanguineità, anche le parole “congiunti”, “prossimi congiunti” anch’esse, comunque, riferibili ad un legame di natura giuridica, tant’è che, quando ha esteso i diritti a questi prossimi congiunti spettanti ad altre persone, pur conviventi, ma non legati all’imputato da vincoli di sangue o giuridici, ha previsto una specifica eccezione V ad es. 3° comma lett. a articolo 199 c.p.p. , laddove si riconosce al e/o alla convivente “more uxorio” dell’imputato e/o imputata, la facoltà di non rendere interrogatorio nel procedimento a carico di quest’ultimo. Di conseguenza l’uso del termine “familiare” nell’articolo 76 d.P.R. 309/90 nella materia di cui trattasi ha una sua specifica pregnanza avendo il legislatore, al fine di riconoscere il beneficio di cui trattasi a colui che non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, voluto tener conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il reddito familiare. Di tal che sarebbe non conforme ai principi costituzionali di solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale, il fatto che dovrebbe gravare sui contribuenti il costo della difesa di un cittadino che può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il “nucleo familiare”, ancorché il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio. Dunque, appare orientata costituzionalmente l’interpretazione che va data al termine “familiare”, riferibile non solo a coloro che sono legati all’istante da vincoli di consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e contribuiscono al “menage” familiare. Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che via via si sono affermate nella società moderna, la giurisprudenza, ha dato atto che il legislatore, in materia di rapporti interpersonali, ha considerato la famiglia “di fatto” quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia “stricto sensu” intesa. In definitiva questa corte ritiene condivisibile la motivazione sul punto dell’impugnata ordinanza. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.