Confermati i 24 mesi di reclusione, decisi in Appello, nei confronti di un uomo denunciato da due donne a causa di ripetuti palpeggiamenti. Assolutamente impensabile proporre la tesi ‘buonista’ della molestia è corretto inquadrare il gesto, volontario, come violenza sessuale.
Limiti precisi, ben definiti, e, soprattutto, assolutamente invalicabili, per tutelare, giustamente, il totem di riferimento la dignità della donna. Per questo, anche il semplice palpeggiamento – noto anche come ‘mano morta’ –, se volontario e a chiare tinte ‘erotiche’ è da considerare come violenza sessuale piena. Cassazione, sent. numero 40973/2013, Terza Sezione Penale, depositata oggi Fatti, non parole. Linea dura, per la verità, già nei primi due gradi di giudizio sia in Tribunale che in Corte d’Appello difatti l’uomo, accusato di «violenza sessuale», viene condannato alla «pena di 2 anni di reclusione». Fatali i «palpeggiamenti» di «glutei e cosce» nei confronti di due donne, destinatarie delle «attenzioni sessuali», secondo i giudici, dell’uomo. Anche se, per quest’ultimo, l’ottica adottata è troppo rigida sarebbe stato più corretto, evidenzia dinanzi ai giudici della Cassazione, parlare di «molestia». Ma questa visione ‘buonista’ viene respinta prontamente dai giudici del ‘Palazzaccio’. Perché la condotta addebitata all’uomo, ossia il «toccamento non casuale dei glutei, o di altre parti anatomiche ‘sensibili’», è da catalogare, senza dubbio, come «violenza sessuale». Assolutamente irrilevante il richiamo, fatto dall’uomo, a una «situazione di rozzezza culturale». Per questo, è da confermare la condanna così come fissata in Corte d’Appello. Per chiarezza, poi, i giudici sottolineano che si sarebbe potuto parlare di «molestia» se ci si fosse trovati di fronte ad «espressioni verbali a sfondo sessuale» o ad «atti di corteggiamento invasivo»
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 aprile – 4 ottobre 2013, numero 40973 Presidente Mannino – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1. Con sentenza dei 12 novembre 2012 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Latina del 20 gennaio 2012 con la quale D.A. era stato ritenuto colpevole del reato di violenza sessuale articolo 609 bis cod. penumero e condannato alla pena di anni due di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge. 1.2. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo due motivi con il primo, lamenta mancanza di motivazione e manifesta illogicità per avere la Corte territoriale, con argomentazione apparente, confermato la volontà querelatoria da parte della persona offesa ed, ancora, per avere ritenuto sussistente il reato di violenza sessuale, pur non ricorrendone gli elementi costitutivi, al più sintomatici per la configurabilità del reato di molestia. Con il secondo motivo la difesa lamenta analogo vizio motivazionale sotto il profilo della insufficienza e genericità in ordine alla mancata concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato, oltre ad essere caratterizzato da quello stesso vizio di genericità che la difesa intende imputare alla sentenza impugnata. 2. Osserva, infatti il Collegio che i due motivi di ricorso ricalcano le doglianze formulate con l'atto di appello alle quali la Corte territoriale ha dato una risposta corretta e completa, pur nella sua estrema sinteticità. Vero è che la Corte territoriale ha impropriamente fatto cenno ad una ipotetica volontà da parte della persona offesa di rimettere la querela circostanza a detta della Corte esclusa dal Tribunale , laddove poteva parlarsi solo di una possibile ed astratta possibilità di incertezza da parte della vittima circa la sua volontà querelatoria così il Tribunale a pag. 3 della sentenza di primo grado . Si tratta, in ogni caso, di una motivazione ridondante, ricordandosi che in tema di reati sessuali - ed in particolare di quello previsto dall'articolo 609 bis cod. penumero - la querela, una volta proposta, è irrevocabile articolo 609 septies comma 2° . Il motivo, comunque, ripropone negli stessi termini una censura che ha trovato risposta nella sentenza impugnata, risposta che, in relazione omogeneità delle due decisioni, può senz'altro definirsi adeguata, ricordandosi il principio secondo il quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado così giustificando da parte dei giudice di secondo grado una motivazione per relationem. Cass, Sez. 2, 10.1.2007 numero 5606, Conversa e altri Rv. 236181 Cass. Sez. 1, 26.6.2000 numero 8868, Sangiorgi, Rv. 216906 Cass. Sez. Unumero 4.2.1992 numero 6682, Pm., p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229 . 3. Altrettanto correttamente la Corte ha ribadito la sussistenza del reato di violenza sessuale - seppure nella forma attenuata ex articolo 609 bis u.c. cod. penumero come già statuito dal Tribunale - sottolineando come, ai fini della configurabilità di tale fattispecie, non sia necessario né il contatto epidermico con la zona erogena, né il compimento di atti prolungati di palpeggiamento al più, incidenti in ordine alle modalità del fatto ed all'elemento soggettivo del reato in termini Sez. 3^ 21.9.2011 numero 39710, R. Rv. 251318 Sez. 3^ 15.4.2010 numero 21336, M., Rv. 247282 Sez. 4^ 3.10.2007 numero 3447, P. Rv. 238739 . 3.1. Ed altrettanto correttamente la Corte ha escluso che la condotta contestata integrasse la fattispecie contravvenzionale di cui all'articolo 660 cod. penumero nella forma della cd. molestia sessuale , richiamando le condotte ripetute di palpeggiamenti nei glutei e delle cosce delle due donne oggetto di attenzioni sessuali. Valgono, ancora una volta, i criteri interpretativi enunciati in materia da questa Sezione, tenuti presenti dalla sentenza impugnata Sez. 3^ 12.5.2010 numero 27042, S. J., Rv. 248064 Idem 6.6.2008 numero 2772, B., Rv. 240829 , secondo i quali il reato di violenza sessuale si configura laddove si verifichi una condotta consistente in un toccamento non casuale la involontarietà toglierebbe valenza criminale al gesto dei glutei o di altre parti anatomiche sensibili anche al fuori di un contatto diretto con l'epidermide, mentre si versa nella ipotesi contravvenzionale della molestia sessuale solo in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall'abuso sessuale. v. anche Sez. 3^ 25.1.2006 numero 7369, P.M. in proc, Castana Rv. 234070 . 4. Quanto al secondo motivo - riguardante il diniego delle circostanze attenuanti generiche - la censura, oltre ad essere generica, in quanto ripetitiva di quanto già sottoposto all'esame del giudice di appello che ha fornito adeguata riposta sul punto, è anche platealmente infondata per quelle stesse condivisibili ragioni già espresse dalla Corte territoriale in merito alla irrilevanza di una situazione di rozzezza culturale quale giustificazione per l'ottenimento di dette attenuanti. Ed anzi la Corte distrettuale, nel valutare l'adeguatezza della pena, ne ha sottolineato la mitezza in funzione dell’avvenuto riconoscimento della circostanza diminuente di cui all'ultimo comma dell'articolo 609 bis cod. penumero 5. Alla pronuncia di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento - trovandosi egli in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - della somma di € 1.000,00 che si ritiene congrua in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1,000,00 in favore della Cassa delle Ammende.