Imbocca una strada secondaria chiusa al traffico: c’è l’obbligo di fermarsi prima di immettersi sulla via principale, anche senza Stop

Le norme che disciplinano la precedenza sono ispirate a una inderogabile esigenza di sicurezza della circolazione stradale, sicché, anche nel caso in cui sussistano situazioni ambientali che ostacolino l’avvistamento dei veicoli convergenti all’incrocio, il conducente di quello che versi in una tale situazione, tanto più se gravato dall’obbligo di dare la precedenza, deve innanzitutto fermarsi, e procedere, poi, nel caso in cui non riesca ad avere la completa visibilità alla sua sinistra, con la massima dovuta cautela.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28805, depositata il 5 luglio 2013. Il caso. Il ricorso in Cassazione è stato innescato dopo la condanna per omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina stradale, dell’imputato. Quest’ultimo, percorrendo a velocità sostenuta, e comunque non prudenziale, una strada secondaria non ancora aperta al traffico, giunto all’incrocio con la strada principale – per negligenza, imperizia e imprudenza – aveva omesso di dare precedenza ai veicoli provenienti dalla sua sinistra, cagionando così un violento impatto con un moto furgone Ape. In seguito a tale urto, guidatore e passeggero avevano riportato lesioni personali e, il guidatore, sottoposto a un doppio intervento chirurgico, era deceduto. È da precisare che, a carico dei medici che avevano eseguito l’intervento chirurgico, era stato iniziato un separato procedimento penale, in quanto l’elaborazione peritale aveva individuato un errore tecnico chirurgico nel secondo intervento, ritenuto poi ininfluente sul decesso della vittima. La Corte territoriale aveva affermato che non vi è esclusione di colpa nelle ipotesi di cause concorrenti, a meno che non si tratti di cause sopravvenute che siano in rapporto di causalità esclusivo con il determinarsi dell’evento, da escludersi, nel caso di specie, con riferimento all’operato dei medici che avevano tenuto in cura la persona offesa. Dunque, i giudici di secondo grado avevano ritenuto riconducibile la morte alla accertata condotta colposa dell’imputato, al quale, quindi, non poteva ascriversi, riduttivamente, il delitto di lesioni colpose, come richiesto con il gravame. Obbligo di fermata non segnalato. Avverso questa decisione l’imputato ha presentato ricorso, denunciando vizio di motivazione, in quanto, i giudici di merito, avrebbero, a suo dire, individuato quale profilo di colpa significativo nella condotta dell’imputato, il non essersi fermato, non tenendo conto che il segnale di Stop, come dichiarato dal CTU, non era apposto sulla strada secondaria percorsa dal ricorrente e perciò non sussisteva alcun obbligo di arrestare la marcia del veicolo. Inoltre, ha aggiunto che ancorché dovesse addebitarsi a lui la colpa del sinistro, egli dovrebbe rispondere solo di lesioni personali colpose, non di omicidio, in quanto le devastanti conseguenze post-operatorie, per il ricorrente, sono da considerare assolutamente imprevedibili e soprattutto ascrivibili alla sola imperizia dei medici. La Suprema Corte ha ritenuto i motivi manifestamente infondati, ribadendo che è nozione di comune esperienza che chi si immette da una via secondaria non ancora aperta al traffico, ancorché in assenza di segnale di Stop, su di una principale è tenuto a fermarsi sul ciglio e non procedere verso la sede stradale tale obbligo è previsto specificamente dall’art. 145 C.d.S. Dunque, per gli Ermellini, correttamente, da parte dei giudici di merito, è stata tenuta in conto tale norma comportamentale di guida, quindi, il guidatore dell’auto doveva essere avveduto nel controllare il sopraggiungere dell’altro veicolo se non si è reso conto di ciò è da imputare alla sua negligenza. Interruzione del nesso causale. Circa l’interruzione del nesso causale tra l’incidente stradale e l’evento mortale successivamente verificatosi in relazione al comportamento professionale dei medici curanti, per Piazza Cavour, la risposta negativa del giudice di merito si sottrae alle censure mosse, avendo in modo congruo e logico ritenuto che la colpa dei medici non può ritenersi causa autonoma e indipendente del decesso. Incidenza dell’errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di incidente stradale. Infatti, i giudici di legittimità, hanno richiamato la costante giurisprudenza secondo cui l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma e indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 marzo - 5 luglio 2013, n. 28805 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto 1. M.S. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d'appello di Napoli che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere l'11.12.2009 in ordine al delitto di cui all'art. 589, 2 comma cod.pen. aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina stradale, riduceva la pena inflitta in primo grado. In sintesi il fatto per una migliore comprensione dei motivi del ricorso. Il M. , alla guida dell'autovettura FIAT multipla, il 5.07.2004 percorreva a velocità sostenuta e, comunque, non prudenziale una strada secondaria non ancora aperta al traffico giunto all'incrocio con la strada principale, via OMISSIS , per negligenza, imperizia ed imprudenza, ed in violazione degli artt. 140, 141 e 154 del C.d.S., ometteva di dare precedenza ai veicoli provenienti dalla sua sinistra cagionando un violento impatto con il moto furgone Ape, alla cui guida si trovava V.S. e, come passeggero, A.M. , i quali, a seguito dell'urto riportavano lesioni personali. Il V. , ricoverato in ospedale e sottoposto ad un doppio intervento chirurgico, decedeva il successivo OMISSIS . È' da precisare che si iniziava anche altro separato procedimento penale a carico dei medici che avevano eseguito l'intervento chirurgico in quanto l'elaborazione peritale individuava un errore tecnico chirurgico nel secondo intervento, ma ritenuto non influente sul decesso del V. , e, quindi i sanitari venivano assolti. La corte territoriale faceva proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado ritenendo infondati i motivi del gravame, compreso quello riguardante il nesso causale, laddove si evidenziava, secondo un principio giurisprudenziale richiamato nella sentenza di primo grado, che non vi è esclusione di colpa nelle ipotesi di cause concorrenti, a meno che non si tratti di cause sopravvenute che siano in rapporto di causalità esclusivo con il determinarsi dell'evento, da escludersi nel caso di specie con riferimento all'operato dei medici che avevano tenuto in cura la persona offesa. Dunque, la corte territoriale riteneva riconducibile la morte del V. alla accertata condotta colposa del ricorrente, al quale non poteva ascriversi, riduttivamente, il delitto di lesioni colpose, come richiesto con il gravame. 1.2 Con un unico motivo si denuncia vizio di motivazione. Quanto alla ricostruzione del sinistro si espone che la Corte partenopea ha individuato, quale profilo di colpa significativo nella condotta dell'impuntato, il non essersi fermato non tenendo in conto che il segnale di STOP, come dichiarato dal CTU, non era apposto sulla strada secondaria percorsa dal M. , e, quindi, non sussisteva alcun obbligo di arrestare la marcia del veicolo ma solo di rallentare, così come aveva fatto l'imputato. Per altro, lo stesso punto di impatto denota come il M. avesse per prima impegnato l'incrocio di guisa che aveva assunto una precedenza di fatto. Comunque, ancorché dovesse addebitarsi all'imputato la colpa del sinistro, egli dovrebbe rispondere solo di lesioni personali colpose e non già di omicidio colposo. Infatti, si argomenta, i medici che prestarono per prima soccorso al V. giudicarono guaribili le lesioni dallo stesso riportate in 30 giorni. Si precisa che tutti i periti che si sono occupati della vicenda hanno individuato quale causa della morte del V. lo shock settico evoluto in MOFS conseguente alla lesione esofagea prodottasi per il pinzettamento dell'esofago nel corso del secondo intervento. Le devastanti conseguenze post-operatorie per il ricorrente si mostrano come assolutamente imprevedibili a soprattutto ascrivibili alla sola imperizia dei medici. Ritenuto in diritto 2. I motivi esposti sono manifestamente infondati sicché il ricorso va dichiarato inammissibile. 2.1 Alcun vizio motivazionale si evidenzia circa la ricostruzione del fatto operato, dai giudici del merito ed alla corretta applicazione della norma del codice della strada con riferimento alla contestata colpa specifica. Erra, infatti, il ricorrente nell'affermare che, per l'assenza di segnale di STOP, egli non era obbligato a fermarsi prima di immettersi, dalla strada secondaria, su quella principale. Innanzitutto, è nozione di comune esperienza che chi si immette da una via secondaria non ancora aperta al traffico, ancorché in assenza di segnale di STOP, su di una principale è tenuto a fermarsi sul ciglio e non procedere verso la sede stradale, tale obbligo è previsto specificamente dall'art. 145, comma n. 6 del C.d.S. Negli sbocchi su strada da luoghi non soggetti a pubblico passaggio i conducenti hanno l'obbligo di arrestarsi e dare precedenza a chi circola sulla strada . Solo fermandosi e guardando prima a sinistra, il M. poteva rendersi conto dell'arrivo o meno di altri veicoli per altro, la Corte ha fornito congrua motivazione anche in riferimento all'altro profilo di colpa a lui addebitato riguardante la velocità, non adeguata, da lui tenuta nel momento in cui si è immesso sulla strada principale. Dunque, correttamente da parte dei giudici è stata tenuto in conto tale norma comportamentale di guida, e, parimenti non condivisibile, con riferimento all'occupazione della carreggiata, è la tesi difensiva secondo cui la condotta di guida dell'imputato non era censurabile per avere egli esercitato il c.d. diritto di precedenza acquisito o precedenza di fatto . Assodato, dunque, che il M. aveva l'obbligo di dare la precedenza al veicolo antagonista, si rammenta che le norme che disciplinano la precedenza sono ispirate ad una inderogabile esigenza di sicurezza della circolazione stradale, sicché, anche nel caso in cui sussistano situazioni ambientali che ostacolino l'avvistamento dei veicoli convergenti all'incrocio, il conducente di quello che versi in una tale situazione, tanto più se gravato dall'obbligo di dare la precedenza, deve innanzitutto fermarsi, e procedere, poi, nel caso in cui non riesca ad avere la completa visibilità alla sua sinistra, con la massima dovuta cautela, anche avanzando a piccoli tratti o adottando altri espedienti idonei a scongiurare intralci e pericoli al conducente di altro veicolo avente il diritto di precedenza Cass., Sez. IV, 28 febbraio 1989, n. 6556 . È di tutta evidenza che il guidatore della FIAT multipla, doveva essere avveduto nel controllare il sopraggiungere dell'altro veicolo, che se di tanto, poi, non si sia reso conto imputet evidentemente sibi , a sua conclamata negligenza. Ed in tale contesto, non è dato certo evocare alcun apprezzamento di una deducibile precedenza di fatto la precedenza cronologica o di fatto può, infatti, ritenersi legittima e idonea ad escludere quella di diritto solo quando il conducente sfavorito sia in grado di effettuare l'attraversamento della sede stradale con assoluta sicurezza, senza porre in essere alcuna situazione di rischio e di pericolo per la circolazione stradale Cass., Sez. IV, 16 ottobre 1990, n. 16405 id., 23 novembre 1993, n. 1528 id., 30 settembre 1988, n. 10589 id., 17 dicembre 1987, n. 5331 . Né infine, ad escludere il nesso causale con l'evento prodottosi - nella specie ritenuto dai giudici del merito - può valere la considerazione della affidabilità circa il comportamento del conducente antagonista, nel senso che questi possa essere in grado di parare le conseguenze dell'altrui illecita condotta in tema di rapporto di causalità, invero, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo in tal caso, difatti, l'omessa attivazione dell'altro o la mancata attuazione di idonei comportamenti di quest'ultimo non si configurano affatto come fatto eccezionale ed imprevedibile, sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento. 2.3 Le censure relative alla seconda parte dell'unico motivo attengono al problema dell'interruzione del nesso causale tra l'incidente stradale occorso e l'evento mortale successivamente verificatosi in relazione al comportamento professionale dei medici curanti durante il ricovero ospedaliere della persona offesa. In proposito, la risposta negativa del giudice di merito si sottrae alle censure mosse, avendo in modo congruo e logico ritenuto che la colpa dei medici non può ritenersi causa autonoma e indipendente, ex art. 41 c.p., comma 2, rispetto al comportamento del M. , che rese necessario l'intervento dei sanitari avendo egli provocato il fatto lesivo. La Corte di appello ha richiamato le risultanze del separato giudizio avviato a carico dei medici all'esito del quale non era stata raggiunta la prova certa di una condotta colposa ascrivibile ai medici che ebbero in cura il V.S. . Sul punto è stata, puntualmente, richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte tra le tante V. Sez. 4, Sentenza n. 41293 del 04/10/2007 Rv. 237838 secondo cui l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito. A maggior ragione nel caso di specie, non può sostenersi l'interruzione del nesso causale tra la condotta di guida colposa dell'imputato e l'evento, atteso che non è rimasta accertata la responsabilità dei medici nell'esecuzione dell'intervento chirurgico cui dovette essere sottoposto il V. a causa delle lesioni riportate nell'incidente stradale di cui trattasi. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente ai pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 4300,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della cassa delle ammende.