Odontoiatra abusivo, corresponsabile il titolare dello studio: non poteva non sapere

È la ricetta di un antibiotico a far saltare la mosca al naso di una paziente. Alla luce della segnalazione vengono fuori gli interventi non legittimi compiuti da un odontotecnico. A pagarne le conseguenze è anche il dentista responsabile dello studio lui ha provveduto alla ricetta, sopperendo alle carenze del collaboratore, e quindi era cosciente dell’abuso.

Studio professionale riconosciuto, e legittimo, con un ospite, però, abusivo ossia un odontotecnico che si improvvisa odontoiatra. Logica la condanna penale, conseguente – come da Cassazione, sentenza numero 18154, sesta sezione penale, depositata il 14 maggio – il coinvolgimento del responsabile dello studio, il quale non poteva «non sapere» Colpa di un antibiotico. A far scoppiare il bubbone è, paradossalmente, un antibiotico. Per quale ragione? Perché a prescriverlo è il titolare dello studio dentistico, a cui è stata chiesta questa operazione burocratica dal professionista – presunto – che ha lavorato sui denti di una paziente. E a quest’ultima lo strano «giro» non piace per nulla Difatti, la giustizia raccoglie la segnalazione della donna l’uomo che l’ha operata è un odontotecnico, non un odontoiatra. Conseguente la condanna, per esercizio abusivo della professione, sia in primo che in secondo grado. Ma a rimetterci le penne è anche il titolare dello studio, odontoiatra a tutti gli effetti Corresponsabile. Difatti, a quello che risulta essere titolare dello studio viene addebitata una «responsabilità di tipo concorsuale», soprattutto alla luce dell’episodio denunciato dalla paziente e che ha dato il la alla vicenda giudiziaria. Ma sono comunque entrambi i professionisti, finiti sotto accusa, a contestare la pronuncia di condanna emessa a loro carico in secondo grado. Due i cardini – nell’ambito del ricorso in Cassazione – la valutazione dell’attendibilità del racconto fatto dalla paziente il peso attribuito alla corresponsabilità del titolare dello studio. Per i giudici della Cassazione, però, nessun appiglio è possibile per una rivisitazione della vicenda. Innanzitutto, perché le dichiarazioni rese dalla paziente sono assolutamente attendibili, al di là di alcune incongruenze, e hanno portato alla identificazione precisa dell’odontotecnico «travestitosi» da odontoiatra. E poi, acclarata è da considerare anche la responsabilità del titolare dello studio, perché, proprio alla luce del racconto fatto dalla paziente, è evidente la «conoscenza dell’attività abusiva svolta dal suo collaboratore».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 febbraio – 14 maggio 2012, numero 18154 Presidente Milo – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza dell’11 giugno 2008 il Tribunale di Trieste, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato L.M. e R.A. alla pena di due mesi e venti giorni di reclusione ciascuno, in ordine al reato di cui agli articolo 110 e 348 c.p., pena interamente condonata. Sulle impugnazioni degli imputati la Corte d’appello di Trieste ha accolto la richiesta, formulata dal solo M., di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Secondo l’imputazione M., di professione odontotecnico, avrebbe esercitato abusivamente la professione di odontoiatra nello studio dentistico di A., regolarmente abilitato all’esercizio odontoiatrico, con il quale lavorava. La vicenda processuale trae origine dalla denuncia di M.B., la quale ha riferito di avere subito una serie di estrazioni dentarie da parte di M. e di essersi resa conto che questi non avrebbe potuto svolgere tale attività quando, di fronte alla necessità di prescriverle una cura antibiotica e seguito di un’infezione manifestatasi dopo l’intervento, si era rivolto a A. per farsi redigere la ricetta. I giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilità di M., indicato dalla B. come la persona che ha effettuato l’estrazione dentaria mentre per A. hanno sostenuto trattarsi di una responsabilità di tipo concorsuale. 2. - Contro la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati. 2.1. - Nel suo ricorso M. ha dedotto i seguenti motivi - violazione dell’articolo 192 c.p., e vizio di motivazione, in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese da M.B., ritenute credibili nonostante la evidente inattendibilità della testimonianza resa, in cui afferma, tra l’altro, di non avere mai prestato il consenso all’estrazione e di non essersi resa conto di avere subito l’estrazione di tredici denti nel corso delle due sedute cui è stata sottoposta - violazione dell’articolo 603 c.p.p. e mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria - violazione degli articolo 62 numero 6 c.p. e 587 c.p.p., in quanto i giudici gli hanno erroneamente negato l’estensione degli effetti della circostanza attenuante collegata all’avvenuto risarcimento del danno alla persona offesa da parte del coimputato A. 2.2. - Nel ricorso presentato dal difensore di A. vengono dedotti i seguenti motivi - violazione degli articolo 110 e 152 c.p.p. e conseguente vizio di motivazione, in quanto si sostiene, da un lato, che la sentenza impugnata non abbia indicato in che modo l’imputato avrebbe concorso, anche solo moralmente, nel reato commesso da M., dall’altro, che i giudici hanno fondato il loro giudizio sulle dichiarazioni inattendibili di M.B. - violazione dell’articolo 603 c.p.p. e mancanza di motivazione, in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e all’omesso esame delle dichiarazioni assunte ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p., riguardanti nuove prove emerse successivamente al giudizio di primo grado - violazione dell’articolo 62 numero 6 c.p. e vizio di motivazione, per non avere la Corte esteso ex articolo 587 c.p.p. ad A. la doglianza relativa alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’avvenuto risarcimento in favore della persona offesa. Considerato in diritto 3. - I ricorso sano entrambi infondati. 3.1. - Riguardo alla posizione di M. la sentenza ha considerato attendibile le dichiarazioni rese dalla B. i giudici hanno sottolineato che la teste ha riconosciuto nell’imputato l’autore delle estrazioni dentarie e hanno ritenuto irrilevanti le censure difensive dirette ad evidenziare alcune incongruenze nelle sue dichiarazioni, inidonee ad intaccare il contenuto fondante delle accuse. Del resto il ricorrente, con il primo motivo, non fa altro che riproporre le stesse deduzioni già sollevate in appello, senza prendere neppure in considerazione le motivazioni offerte dalla sentenza d’appello in ordine alla attendibilità della testimone. Inammissibile è il secondo motivo, in quanto del tutto generico e aspecifico nel lamentare la mancanza di motivazione in relazione al diniego di rinnovazione istruttoria, omettendo finanche di indicare quali sarebbero state le nuove prove sopravvenute dopo il giudizio di primo grado. Infondato è il terzo motivo, sebbene per ragioni diverse da quelle affermate dalla Corte territoriale, che si è riferita ad un indirizzo giurisprudenziale che considera l’attenuante in oggetto di natura soggettiva. Questo Collegio ritiene, sulla base di una recente decisione delle Sezioni unite, che in tema di concorso di persone nel reato, ove un solo concorrente abbia provveduto all’integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno Sez. unumero , 22 gennaio 2009, numero 5941, Pagani , circostanza quest’ultima che non si rinviene nella presente fattispecie, in cui l’imputato non ha neppure rappresentato la semplice intenzione di riparare il danno cagionato. 3.2. - Quanto alla posizione di A. la sentenza ha correttamente motivato la sua responsabilità a titolo di concorso nel reato posto in essere dal coimputato. Infatti, risponde, a titolo di concorso, del delitto di esercizio abusivo di una professione, chiunque consenta o agevoli lo svolgimento da parte di persona non autorizzata di un’attività professionale, per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato Sez. VI, 9 aprile 2009, numero 17894, Zuccarelli nella specie è evidente che A. fosse stato a conoscenza dell’attività abusiva svolta dal suo collaboratore, come dimostra la vicenda, riferita dalla B., della prescrizione dell’antibiotico dopo l’intervento eseguito dal M. Per quanto riguarda le censure sulla pretesa inattendibilità della testimone valgono le considerazioni svolte in precedenza. Infondato è anche il secondo motivo, in quanto correttamente la Corte d’appello non ha preso in considerazione le dichiarazioni acquisite ai sensi dell’articolo 391-ter c.p.p., prodotte nel corso dell’udienza, in mancanza di richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Inammissibile è l’ultimo motivo proposto dal momento che il ricorrente lamenta la mancata estensione dell’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno, nonostante gli sia stata riconosciuta. 4. - All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.