La Provincia può legittimamente revocare l’incarico dirigenziale una volta riorganizzato il suo apparato amministrativo e soppresso i servizi la cui direzione è affidata a un determinato soggetto. Ma la revoca deve essere formale e non di fatto.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 7101 del 26 marzo 2014. Il fatto. Un dirigente provinciale ricorreva al Tribunale di Gorizia esponendo che, a seguito di una ristrutturazione organizzativa che riduceva i servizi operativi offerti dalla Provincia e, conseguentemente, il numero dei dirigenti preposti, non veniva riconfermato nel suo incarico e veniva preposto allo studio della fattibilità dell’istituzione di un museo del patriarcato e dell’arcidiocesi di Gorizia. Lamentava, perciò, di essere stato discriminato e di aver subito un ridimensionamento, chiedendo il risarcimento del danno. La Corte d’Appello della città friulana condannava la Provincia al risarcimento dei danni professionale, biologico e non patrimoniale. Ne consegue il ricorso per cassazione, con cui viene contestato il ritenuto demansionamento. L’apparato provinciale può essere riorganizzato discrezionalmente. La Corte di Cassazione non esita ad ammettere che la Provincia può, con assoluta discrezionalità, organizzare il suo apparato amministrativo al fine di meglio svolgere le sue funzioni, indipendentemente dal fatto che l’incarico dirigenziale conferito all’attore fosse o meno a tempo indeterminato. Si comprende, infatti, che esso è condizionato, nella sua durata, alla effettiva sussistenza delle strutture operative e che, accorpando funzioni e missioni e creando diversi e nuovi servizi, la revoca è giustificata. Manca una revoca formale. Il punto centrale della questione è, però, costituito dal fatto che tale revoca è mancata, cosicché – dicono gli Ermellini - l’affidamento del nuovo incarico risulta vago e riduttivo rispetto a quello precedente, revocato implicitamente e solo di fatto. Proprio questo non rende il ricorso accoglibile e ne giustifica il rigetto.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 dicembre 2013 – 26 marzo 2014, numero 7101 Presidente Vidiri – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Con ricorso al tribunale di Gorizia E.G. , dirigente di quest'ultima, esponeva che con delibera della giunta provinciale numero 29 del 29 marzo 2000 veniva approvata una ristrutturazione organizzativa che riduceva a quattro servizi operativi quelli che inizialmente erano sei, accorpando vari compiti e funzioni. Conseguentemente veniva ridotto anche il numero di dirigenti preposti a tali servizi direttivi operativi, dirigenti che quindi erano ridotti al numero di quattro uno per ogni servizio . A seguito dei successivi atti di organizzazione numero 7 e numero 10 del 19 maggio 2000 venivano assegnati i nuovi incarichi dirigenziali che però escludevano il ricorrente E. . Con il medesimo atto di organizzazione numero 10 veniva conferito all'E. l'incarico di studiare la fattibilità dell'istituzione di un museo del patriarcato e dell'arcidiocesi di Gorizia e proposte di rinnovamento istituzionale degli enti locali nell'ottica del federalismo. L'E. lamentava di essere stato così discriminato e di aver subito un ridimensionamento. Chiedeva pertanto il risarcimento del danno. La provincia di Gorizia si costituiva contestando il fondamento della domanda. Il tribunale di Gorizia accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria con due sentenze numero 95 del 2005 e numero 18 del 2006 escludendo solo il periodo 26 gennaio 2002 - 4 dicembre 2002. 2. Con ricorso depositato il 18.4.2006 la Provincia di Gorizia proponeva appello contro la sentenza numero 95/2005 del Tribunale di Gorizia esponendo innanzitutto che la decisione era censurabile per il fatto di aver ritenuto sussistente, peraltro solo sotto il profilo delle modalità di espletamento dell'incarico di studio, la lesione dell'articolo 2103 c.c. lamentata dal Dott. E. che tale lesione in realtà non si era verificata, essendo lo stato di inattività del Dott. E. riconducibile solo al suo atteggiamento di resistenza passiva e di ostruzionismo che il Giudice di primo grado aveva altresì errato nel ricondurre i danni lamentati dal Dott. E. sia quello biologico che quello esistenziale, all'immagine e altro alle modalità di esecuzione dell'incarico mentre lo stesso Dott. E. li aveva ricollegati all'incarico in sé ed anzi al semplice annuncio, nel 1999, di una futura riforma organizzativa che avrebbe potuto essere realizzata a suo danno che il Tribunale di Gorizia. dopo aver correttamente escluso l'illiceità della riduzione dei servizi da 6 a 4 e del loro affidamento ad altri dirigenti e non al Dott. E. aveva poi, in modo contraddittorio, riconosciuto il risarcimento di pretesi danni che proprio a questa fase erano ipoteticamente riconducibili. Si costituiva il Dott. E. resistendo all'impugnazione e proponendo appello incidentale sia per ottenere la disapplicazione degli atti che avevano fatto cessare il suo incarico di dirigente di struttura, sia per conseguire il danno ulteriore in ragione del conferimento di un incarico di studio che per il suo contenuto rappresentava un demansionamento. Con separato ricorso la Provincia di Gorizia proponeva appello anche contro la sentenza del Tribunale di Gorizia numero 18/2006, esponendo che tale pronuncia si poneva in rapporto di continuità con la precedente, avendo l'una esaminato e deciso, nell'ambito dell'unitaria vicenda iniziata nel marzo 2000 con la modifica della pianta organica e terminata nel dicembre 2002 con la cessazione del rapporto di lavoro, il periodo dal marzo 2000 al luglio 2001 e l'altra il successivo periodo dall'agosto 2001 al dicembre 2002 che il Tribunale aveva ritenuto che. nel sub periodo 11 luglio 2001 - 25 gennaio 2002. nulla fosse rimproverabile all'Ente, avendo esso fornito al Dott. E. informazioni e direttive sufficienti per espletare l'incarico già ricevuto riguardo al museo dell'Arcidiocesi e quello nuovo attinente alla tutela delle lingue minori che dalle decisioni del Tribunale emergeva un demansionamento a periodi e sprazzi del tutto incomprensibile che il Giudice di primo grado, avendo condotto un'indagine eccessivamente analitica, non aveva compreso che in realtà non vi era stata alcuna privazione di mansioni a danno del Dott. E. , ma si erano verificati solo degli scompensi a causa delle tensioni esistenti fra le parti e del comportamento oppositivo tenuto dal dipendente, il quale aveva rifiutato di adeguarsi alla posizione di studio e consulenza a lui attribuita, arrivando fino ad una vera e propria resistenza passiva che infatti il Dott. E. aveva sempre atteso, anche per mesi, disposizioni scritte su specifici aspetti del suo incarico, invece di prendere lui stesso l'iniziativa che riguardo a tutti gli incarichi era stato necessario sollecitarlo con diffide, messe in mora e specifiche disposizioni, come se si fosse trattato di un impiegato esecutivo di basso livello e non di un dirigente che si era quindi creata una situazione di oggettiva difficoltà di comunicazione fra le parti, a causa prima di tutto del difetto di collaborazione debitoria da parte del lavoratore, il quale aveva perciò quantomeno concorso a provocare il danno. Costituendosi in giudizio il Dott. E. contestava la fondatezza anche del secondo appello e ne chiedeva il rigetto. In via di appello incidentale il Dott. E. censurava invece la sentenza del Tribunale di Gorizia per il fatto di aver limitato il risarcimento del danno al solo periodo dall'11 luglio al 10 agosto 2001. Quindi chiedeva il risarcimento del danno anche per il periodo escluso dal tribunale. Le due cause, preventivamente riunite, venivano decise all'udienza del 27.11.2008. La Corte d'appello di Gorizia con sentenza del 27 novembre 2008 - 17 luglio 2009 ha rigettato gli appelli principale della Provincia ed ha parzialmente accolto quelli dell'E. condannando la Provincia al pagamento della somma di Euro 13.400,00 a titolo di ulteriore danno professionale in riferimento al periodo considerato dalla prima sentenza del tribunale e della somma di Euro 26.360,00 di cui Euro 6.760,00 per danno professionale ed Euro 16.900,00 per danno biologico e non patrimoniale con la rivalutazione monetaria in riferimento al periodo considerato dalla seconda sentenza del tribunale . 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la provincia di Gorizia con sei motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in sei motivi. Con il primo motivo la provincia ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 112 c.p.c. per vizio di ultra petizione in relazione alla causa petendi. La corte d'appello, senza che ciò fosse chiesto in primo grado dall'originario ricorrente, ha ritenuto che la delibera numero 29 del 2000 di organizzazione che riduceva da quattro a sei i servizi, non avesse comportato il venir meno dell'incarico dirigenziale conferito in precedenza all'E. . In realtà quest'ultimo non aveva mai sostenuto che il suo incarico dirigenziale era ancora sussistente dopo la delibera suddetta. Con il secondo motivo la provincia ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 51 della legge numero 142 del 1990, dell'articolo 19 e 21 del d.lgs. numero 29 del 1993, nonché dell'articolo 2103 c.c Sostiene che gli incarichi di direzione di struttura conferiti a tempo indeterminato avevano la durata minima di due anni prevista dall'articolo 19 citato e, trascorso tale periodo, erano revocabili dall'amministrazione provinciale sulla base di una diversa valutazione dell'organizzazione degli uffici. Con il terzo motivo la provincia denuncia ancora violazione falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c. e dell'articolo 19 del d.lgs. numero 29 del 1993, nonché vizio di motivazione. Censura le sentenze di merito sia quella della corte d'appello che. in questa parte, quella del tribunale per avere ritenuto che un incarico di studio da effettuarsi a seguito di specifici input provenienti dai vertici dell'ente presidente, vicepresidente segretario generale fosse di per sé dequalificante, mentre era invece compatibile con la qualifica dirigenziale. Con il quarto motivo la provincia ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2103, 2118, 2104, 2105, 1206, 1463 e 1464 c.c. con riferimento al periodo 26 gennaio 2002 - 4 dicembre 2002. Contesta il demansionamento ritenuto, in riferimento a questo periodo solo dalla corte d'appello in riforma della sentenza di primo grado che invece aveva escluso. Con il quinto motivo la provincia ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2103, 1223 e 2697 c.c. in ordine alla verificazione di un danno professionale risarcibile deduce anche vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato il danno professionale lamentato dall'originario ricorrente. Con il sesto e ultimo motivo la ricorrente denuncia violazione falsa applicazione degli articolo 2103, 1318, 1223, 2059 e 2697 c.c. in relazione ai danni non patrimoniali lamentati dall'originario ricorrente. La provincia censura la sentenza della corte d'appello di Trieste nella parte in cui ha ritenuto provato il danno non patrimoniale lamentato dalla ricorrente. 2. Il ricorso - i cui sei motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato. 2.1. Innanzi tutto l'allegato vizio di ultrapetizione primo motivo è denunciato in termini inammissibili perché generici e meramente assertivi limitandosi la ricorrente ad affermare che l’E. . nell'originario ricorso introduttivo della lite, non aveva sostenuto la perdurante efficacia degli incarichi dirigenziali assegnati in data 17 febbraio 1998 con atti organizzativi numero 3 del 1998 e numero 6 del 1980. Non senza considerare - può aggiungersi - che la sentenza impugnata non afferma affatto il diritto dell'E. alla reintegrazione negli incarichi dirigenziali di fatto revocati ma ripercorre la vicenda complessiva per ritenere, infine, sussistente il demansionamento lamentato dall'originario ricorrente, che costituisce la causa petendi del petitum risarcitorio. In questo contesto la revoca del doppio incarico dirigenziale di Dirigente sia del Servizio istruzione e sviluppo sociale, volontariato, pubblica istruzione, università che del Servizio beni e attività culturali e museali e l'affidamento del nuovo incarico di studiare la fattibilità dell'istituzione di un museo del patriarcato e dell'arcidiocesi di Gorizia appartenevano alla causa. 2.2. È invece condivisibile - seppur non determinante - 1 argomentazione svolta dalla difesa della ricorrente nel suo secondo motivo, relativo alla revoca dell'incarico dirigenziale. Essendo pacifico tra le parti che l'incarico dirigenziale di assumere la direzione dei due Servizi suddetti era stato conferito all'E. senza l'indicazione di alcun termine, ancorché l’articolo 51 legge numero 142 del 1990 prevedesse che gli incarichi dirigenziali conferiti dagli enti locali dovessero essere conferiti a tempo determinato oltre che con provvedimento motivato , può anche ipotizzarsi di mutuare per analogia il disposto dell'articolo 19 d.lgs. numero 29 del 1993. nella formulazione vigente al momento del conferimento dell'incarico dirigenziale, nella parte in cui prevedeva, per gli incarichi dirigenziali conferiti dalle Amministrazioni dello Stato, la durata massima di sette anni, come evidenzia la sentenza impugnata, e la durata minima di due anni, come ritiene la difesa della ricorrente. Ma in realtà non si fa questione di termini. La mancata previsione di un termine nel conferimento dell'incarico dirigenziale, in violazione dell'articolo 19 cit., comportava che l'Amministrazione provinciale avrebbe potuto revocare l'incarico innanzi tutto per inadempimento del dirigente alle funzioni affidategli ossia, per responsabilità dirigenziale ciò che non è neppure ipotizzato dall'Amministrazione provinciale. Ma - contrariamente a quanto ha affermato la Corte d'appello - la revoca, soprattutto nel periodo - come nella specie - compreso tra la durata minima di due anni e quella massima di sette anni quale all'epoca prevista dall'articolo 19 cit., sarebbe potuta intervenire a seguito di una nuova organizzazione interna che avesse soppresso i Servizi la cui direzione era stata affidata all'E. . La Provincia conservava la piena discrezionalità di organizzare il suo apparato amministrativo al fine di meglio svolgere le sue funzioni, discrezionalità che non era limitata dalla circostanza che l'incarico dirigenziale all'E. era formalmente a tempo indeterminato. La prescrizione normativa che l'incarico dirigenziale dovesse essere a tempo determinato articolo 51 cit. implicava comunque che esso - in quanto consistente nella direzione di due strutture operative Servizi - era quanto meno condizionato, nella sua durata, alla effettiva sussistenza delle stesse. La soppressione di tali Servizi, a seguito di una riorganizzazione dell'apparato amministrativo dell'ente che accorpava funzioni e missioni creando diversi e nuovi Servizi, comportava e giustificava la revoca dell'incarico. Effettivamente quindi - come sostiene la difesa della ricorrente - l'incarico dirigenziale suddetto, tanto più che era stato superata la durata minima di due anni prevista dall'articolo 19 cit., era revocabile dalla Provincia sulla base di una diversa valutazione dell'organizzazione dell'ente, insita nella delibera che aveva ridotto i Servizi da sei a quattro. Però - seppur corretto in tali termini il presupposto da cui ha preso le mosse l'argomentare della sentenza impugnata - rimane la considerazione che quest'ultima, in punto di fatto, non manca di fare in concreto l'incarico dirigenziale non fu mai oggetto di un provvedimento di revoca. Ossia il pur giusto rilievo della difesa della ricorrente secondo cui la ristrutturazione organizzativa dell'ente aveva fatto venir meno il presupposto di fatto dell'incarico dirigenziale dell'E. e ne avrebbe legittimato la revoca non comporta l'accoglimento del ricorso per la cassazione avverso la sentenza impugnata, ma solo la correzione della sua motivazione atteso che la domanda dell'originario ricorrente è stata accolta quanto al suo contenuto risarcitorio e non già al ripristino dell'incarico dirigenziale non richiesto, come del resto deduce anche la ricorrente con il suo primo motivo di ricorso e si fonda comunque sul ritenuto demansionamento sicché il suo fondamento non viene meno se si ritiene - come deve ritenersi - che la Provincia poteva legittimamente revocare l'incarico dirigenziale una volta riorganizzato il suo apparato amministrativo e soppresso i Servizi la cui direzione era stata affidata all'E. . La mancanza di una formale revoca dell'incarico dirigenziale di direzione dei due Servizi suddetti in realtà viene in rilievo perché colora, per così dire, l'intera vicenda e segnatamente l'affidamento di un nuovo incarico dirigenziale quello di studiare la fattibilità dell'istituzione di un museo del patriarcato e dell'arcidiocesi di Gorizia di contenuto vago e marcatamente riduttivo rispetto a quello precedente, solo implicitamente e di fatto revocato, con sostanziale emarginazione del dirigente postosi vistosamente in contrasto con l'Amministrazione, come mostrano le denunce penali alle quali si fa cenno nella sentenza impugnata. Ma il venir meno del vincolo fiduciario con l'Amministrazione, che connota il rapporto dirigenziale nell'impiego pubblico contrattualizzato, avrebbe semmai giustificato il recesso dell'Amministrazione, ma non la privazione al dirigente di mansioni riferibili alla qualifica dirigenziale rivestita dall'E. . La valutazione in punto di fatto dello svuotamento di mansioni subito dall'E. è stata fatta dalla Corte territoriale con motivazione ampiamente sufficiente la sentenza impugnata si segnala proprio per la meticolosa e diffusa ricostruzione degli elementi di fatto rilevanti nella specie e nient'affatto contraddittoria. La difesa della ricorrente, pur denunciando il vizio di motivazione, non deduce in realtà affermazioni della sentenza impugnata che siano in contraddizione tra loro, nel senso che vera l'una non può essere vera l'altra, ma si colloca essenzialmente sul piano del mero dissenso valutativo delle risultanze di causa. 2.3. Sono quindi da rigettare gli altri motivi di ricorso che attengono appunto alla ricognizione in concreto di una fattispecie di ridimensionamento delle mansioni per essere quelle assegnate all'E. non più riconducibili alla qualifica dirigenziale con conseguente riconoscimento del danno risarcibile sia patrimoniale che non patrimoniale per il demansionamento subito da quest'ultimo. Si tratta, in breve, di una valutazione di merito della Corte d'appello sufficientemente e non contraddittoriamente motivata e pertanto non censurabile in sede di legittimità. 3. Il ricorso, nel suo complesso, va quindi rigettato. Sussistono giustificati motivi in considerazione della correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini sopra indicati per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.