Misure cautelari reali: limiti di operatività del principio del ne bis in idem

In tema di applicazione di misure cautelari opera sicuramente il principio del « ne bis in idem ». Per la natura tipica del «giudicato cautelare» ai fini di verificare se il principio sia o meno violato occorre considerare se sia intervenuta una modifica del quadro processuale.

Detta modifica può essere dovuta a fatti sopravvenuti od alla deduzione di elementi nuovi, dovendosi intendere quali tali sia quelli preesistenti, ma non esaminati, sia quelli strictu senso sopravvenuti. La modificazione parziale è un elemento nuovo. La modificazione, anche parziale, dell’imputazione formulata nei confronti degli imputati deve considerarsi quale elemento nuovo. In quanto tale esso è capace di paralizzare gli effetti del principio del « ne bis in idem » anche in relazione alla richiesta di sequestro formulata in relazione ad un immobile già assoggettato a cautela reale. Il ricorso per cassazione nei confronti delle misure cautelari ha natura tipica con esso possono essere dedotti solo vizi relativi a violazione di legge. Non operano in tema di misure cautelari ne il vizio previsto dall’articolo 606 lett e c.p.p. né il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Non è applicabile in tema di misure cautelari reali il disposto dell’articolo 273 del c.p.p Il reato di lottizzazione abusiva ha natura permanente. Ad esso è inapplicabile il condono edilizio. Il caso. Con ordinanza del 20.01.2011 il Tribunale di Roma rigettava richiesta di riesame avverso il provvedimento emesso dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Velletri, con cui era stato disposto il sequestro di un complesso immobiliare. Il Tribunale rigettava l’istanza dando atto che sul medesimo immobile era già stato emesso precedente provvedimento di natura cautelare reale, ma, a seguito della mutata qualificazione dei fatti reato intervenuta in sede di udienza preliminare, su richiesta del Pubblico Ministero, aveva ritenuto accoglibile la nuova richiesta di cautela da parte del Pubblico Ministero e, conseguentemente, l’aveva accordata. Il Tribunale del riesame si pronunciava ritenendo non esistente alcun dubbio circa l’autonomia del nuovo provvedimento di sequestro rispetto a quello precedentemente emesso nei riguardi del medesimo immobile, posto che seppur i due provvedimenti fossero stati emessi sulla scorta dei medesimi presupposti, il secondo era relativo ad imputazioni parzialmente diverse. Tale autonomia, ricavata dalla parziale diversità delle imputazioni legittimava la concessione del provvedimento ed anche la richiesta di riesame. Avverso la pronuncia del Tribunale del riesame, che aveva riconosciuto quali ricorrenti i presupposti per la concessione della misura cautelare e per la sua permanenza, frapponevano ricorso per cassazione i difensori del proprietario dell’immobile, deducendo come il provvedimento cautelare emesso violasse il principio del ne bis in idem . La Cassazione ha rigettato il ricorso. Il principio del ne bis in idem i limiti. La Corte di Cassazione riafferma il noto principio a sensi del quale in tema di misure cautelari reali il principio del ne bis in idem sia operativo ed ostativo alla reiterazione della misura cautelare medesima allorché il Giudice «sia chiamato a riesaminare nel merito gli stessi elementi già ritenuti insufficienti od insussistenti». Altrettanto pacifico è, sempre ai sensi del costante insegnamento della Suprema Corte, come la revoca della misura applicata sia resa possibile, successivamente alla pronuncia del riesame od alla prestata acquiescenza per mancata frapposizione di gravame da parte del soggetto interessato a proporlo, solo ed esclusivamente in relazione ad un mutato quadro processuale dovuto a fatti «sopravvenuti» o dalla deduzione di elementi nuovi, siano essi preesistenti, ma non esaminati, siano essi sopravvenuti. Il tutto in ossequio al principio, più volte espresso dalla Corte, ai sensi del quale il giudicato cautelare copre soltanto il dedotto non anche il deducibile e «non riguarda le questioni che pur dedotte non sono state decise». Il principio richiamato è del resto ben noto ed anche pacifico se solo si ponga mente che, in tema di misure cautelari personali, sin dal 1994 sentenza Buffa 198213 i limiti del giudicato cautelare sono stati enucleati ed indicati quali più «modesti» rispetto a quelli previsti per la res giudicata , posto che essa è limitata allo «stato degli atti» e perché non finalizzata a coprire, funzionalmente, strutturalmente, per così dire ontologicamente, le questioni deducibili ma solo quelle dedotte. Anzi, espressamente dedotte. I limiti di efficacia delle pronunce cautelari. Ai sensi dell’insegnamento delle Sezioni Unite sentenza Buffa le pronunce cautelari possono esplicare la propria efficacia preclusiva esclusivamente sulle questioni, di fatto o di diritto, che abbiano formato specifico oggetto d’analisi da parte del Giudice, ovvero su quelle che sono state concretamente dedotte dalle parti a sostegno delle proprie richieste. Al di fuori di dette questioni non si forma alcun giudicato. Pertanto, ove le richieste di concessione di misura o di revoca della stessa, dovessero fondarsi su di una mera rilettura, delle stesse questioni, l’attività del Giudice sverrebbe ad essere inibita e preclusa dal dispiegarsi degli effetti tipici connessi e connaturati al principio del « ne bis in idem ». Principio che, in tema di cautele, deve ritenersi applicabile a prescindere dalle ragioni e dall’origine della formazione del giudicato cautelare. Ovvero perché possa dirsi formato il giudicato cautelare è del tutto irrilevante l’attività, o l’inattività, delle parti rispetto od in relazione alla pronuncia di concessione, o di diniego, della misura stessa. La ratio del principio dell’effetto preclusivo. La Corte definisce evidente la ratio del principio da rinvenirsi nella necessità di impedire che «immutate le condizioni sotto il profilo del fumus o delle esigenze cautelari di applicabilità o non applicabilità della misura cautelare, vi sia una mera rivalutazione degli stessi elementi». Proprio sulla scorta del principio enunciato, la Corte ritiene che nel caso non sia possibile parlare di violazione di violazione del giudicato cautelare. La formulata richiesta di sequestro, fondata sulla modifica parziale delle imputazioni formulate, non può equipararsi, a parere della Corte, alla richiesta di rivalutazione di un provvedimento già emesso ma, semmai, a sostituire il provvedimento precedentemente richiesto sulla base di titoli di reato diversi da quelli inizialmente ipotizzati. Ovvero, il mutamento dei titoli di reato contestati interviene, quale elemento di novità, nel procedimento cautelare innestato, capace di consentire un nuovo esame della richiesta. Il titolo cautelare, al verificarsi della condizione inerente la mutazione dell’imputazione, anche parziale, diviene assoggettabile ad una vera e propria «novazione» all’un tempo giustificate e finalizzata a rispondere alle esigenze della nuova contestazione formulata. Il nuovo vincolo, sostituisce così il primo che, a fronte della mutata contestazione, non poteva essere ulteriormente mantenuto sulla scorta di reati ritenuti non più configurabili. Ovvero, la diversa configurazione giuridica dei fatti reato ipotizzati ed originariamente contestati, rende legittima la richiesta di provvedimento cautelare in relazione ad una situazione che, in relazione agli altri elementi tipici era già stata oggetto di valutazione da parte del giudice. Principio innovativo od applicazione di principio noto? La Corte chiarisce come l’interpretazione dei limiti di operatività del principio del « ne bis idem » in sede d’applicazione delle misure cautelari reali, non debba intendersi quale interpretazioni innovativa di regole procedural penalistiche esistenti. Facendo riferimento alle pronunce, prima fra tutti alla più volte citata sentenza Buffa, rese in tema di misure cautelari personali e segnatamente al disposto dell’articolo 297 comma 3 del c.p.p. che disciplina la possibilità d’emissione di più misure cautelari personali per lo stesso fatto benché «diversamente circostanziato o qualificato», ponendo quale unico limite quello della durata della custodia cautelare medesima che, come noto, debbono decorrere dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza cautelare e sono commisurati all’imputazione più grave. È innegabile che il mutamento dell’imputazione, anche se parziale, esplichi diretta ed immediata influenza sul requisito del « fumus » che, invero, da essa è direttamente dipendente ed influenzato. I vizi deducibili . La Corte nel dichiarare inammissibile il ricorso formulato effettua, in relazione al terzo motivo di lagnanza proposto, una interessante disamina dei vizi deducibili avanti a se, indicando, in tema di misure cautelari, quali ammissibili solo quelli fondati sulla violazione di legge. Ciò afferma sulla scorta del disposto dell’articolo 325 del codice di rito. Il principio non è, né sarà, privo di conseguenze. Applicandolo, come la Corte fa nella pronuncia in commento, si ottiene la preclusione di ogni possibile valutazione da parte del Supremo Collegio dei vizi di motivazione previsti e tipizzati nell’articolo 606 lettera e c.p.p. ed anche, ovviamente, di quello relativo al travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Una interpretazione restrittiva, certamente fondata su di un dato normativo per così dire positivo, in grado di «falcidiare» sotto il profilo dell’inammissibilità molti ricorsi. Certo nei vizi di legge «debbono comprendersi si gli errores in iudicando che in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza o ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice», ma si tratta pur sempre di eliminare tutta la ben nota congerie di vizi che, rientrando nella categoria prevista dall’articolo 606 lettera e consentivano agli ermellini una disamina circa la fondatezza delle ragioni ”di fatto” poste a sostegno del provvedimento. Lottizzazione reato permanete indifferente al condono. Pur non addentrandosi nella disamina del terzo motivo di gravame, qualificato quale inammissibile poiché non fondato su violazione di legge ex articolo 325 c.p.p., la Corte non perde occasione per ribadire la natura di reato permanente del reato di lottizzazione abusiva e per chiarire come in ordine alla configurabilità del medesimo non svolga in concreto alcuna efficacia il rilascio di condono. Posto che il condono stesso non può trovare applicazione in relazione «al reato di lottizzazione abusiva in qualunque forma commessa, ovvero negoziale, materiale o mista». Irrilevante l’elemento psicologico per le misure cautelari reali. La sentenza in commento si colloca nell’alveo della giurisprudenza di legittimità prevalente che ritiene irrilevante l’elemento psicologico dell’agente in tema di applicazione di misure cautelari, posto che l’articolo 321 del codice di rito non reca alcuna menzione agli indizi di colpevolezza per le condizioni di applicabilità della misura cautelare reale. Neppure può dirsi, a parere della Corte, applicabile al caso di specie il disposto dell’articolo 273 del codice di procedura penale dettato esclusivamente in tema di misure cautelari personali, deducendo la sufficienza e necessità ai fini dell’applicazione della misura cautelare di un reato che risulti «sussistere in concreto» indipendentemente dall’accertamento della «sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza» o della esistenza in capo all’agente del necessario elemento psicologico. Una interpretazione restrittiva che, francamente, non pare in linea con i criteri di responsabilità penale personale conosciuti ed affermati dal Legislatore Costituzionale, che pure, presiedendo a tutta la materia «penale» dovrebbero ben, e necessariamente, trovare applicazione anche nel caso di specie.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 febbraio – 21 marzo 2012, numero 10972 Presidente Petti – Relatore Amoresano Osserva 1 Con ordinanza in data 20.1.2011 il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di Center Office Trade Pomezia srl, in persona del legale rappresentante, avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Velletri del 4.11.2010, con cui era stato disposto il sequestro preventivo del complesso immobiliare omissis . Premetteva il Tribunale che tale complesso era stato già oggetto di un precedente sequestro nell'ambito dello stesso procedimento penale a carico del committente delle opere e dei componenti l'ufficio urbanistico del Comune di Pomezia per i reati di cui agli articolo 110,483 e 323 c.p. capi a e b , 44 lett. c DPR 380/01 capo c . Essendo stati, in sede di udienza preliminare, diversamente qualificati i reati di cui ai capi a e b nel delitto previsto dagli articolo 61 numero 2, 81 cpv, 112 numero 1 e 480 c.p., il GIP, su richiesta del P.M., aveva emesso fa nuova misura cautelare. Tanto premesso, riteneva il Tribunale che non potessero esservi dubbi sull'autonomia del nuovo provvedimento di sequestro rispetto al precedente, in quanto, pur adottato sulla base dei medesimi presupposti, riguardava imputazioni parzialmente diverse e coincidenti solo in relazione al reato di lottizzazione abusiva di cui al capo e . Tale autonomia legittimava pienamente la proposta richiesta di riesame. Irrilevante e priva di effetti concreti nel procedimento cautelare instaurato doveva ritenersi la mancata revoca del precedente provvedimento di sequestro. Sussisteva poi, secondo il Tribunale, il fumus dei reati ipotizzati. Anche a prescindere dalle dichiarazioni inutilizzabili dell'indagato Rossi, dalla documentazione acquisita presso il Comune, dal rilievo aereo fotogrammetrico del luglio 2003, dalla consulenza tecnica disposta dal P.M. emergeva che i provvedimenti concessori in sanatoria rilasciati erano illeciti e, comunque, illegittimi in relazione non solo alla data di ultimazione delle opere, ma anche all'entità delle opere realizzate in difformità rispetto all'originario titolo abilitativo. La lottizzazione attraverso la realizzazione di opere edilizie era stata trasformata la destinazione del complesso da residence in 170 appartamenti non si era cerio perfezionata alla data del frazionamento catastale del 2002, in quanto, come evidenziato dal consulente, a quella data nessuno degli appartamenti era dotato di autonomia funzionale giuridica. Peraltro, per costante giurisprudenza della Suprema Corte, il reato di lottizzazione abusiva non è condonabile. Il periculum in mora era stato, poi, bene evidenziato nel provvedimento impugnato e non era stato oggetto di specifiche censure. 2 Ricorrono per cassazione i difensori del Center Office Trade Pomezia srl amministratore unico B.B. . Dopo un riepilogo della vicenda e dopo aver ricordato che la nuova richiesta di sequestro preventivo era stata accolta dal GIP sul presupposto dichiarato che vi fossero gravi indizi di reato di recente commissione costituiti dagli accertamenti sul posto da parte della polizia giudiziaria , denunciano, con il primo motivo, la violazione dell'articolo 321 c.p.p. per essere stata la nuova misura disposta in mancanza di elementi sopravvenuti idonei a superare il giudicato cautelare. Contrariamente a quanto ritenuto dal GIP negli atti non vi è traccia di nuovi accertamenti di p.g. e la consulenza del P.M. è la stessa posta a base del decreto di sequestro del 24.1.2008. Avendo la difesa posta la questione del novum , il Tribunale aveva rinviato ad altra udienza mandando al GIP per la integrazione degli atti furono trasmessi altri atti ma non i presunti recenti accertamenti di p.g. . Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato senza rinvio perché disposto in violazione del giudicato cautelare. Con il secondo motivo denunciano la violazione dell'articolo 321 c.p.p. per avere il Tribunale ritenuto che sussistessero i presupposti identificati nel mutamento della qualificazione giuridica per l'emissione del nuovo provvedimenti di sequestro. Tale nuovo provvedimento é stato disposto per lo stesso fatto anche se qualificato diversamente, senza che fossero sopravvenute altre ed ulteriori esigenze. Ma la diversa qualificazione giuridica non costituisce una novità tale da superare il divieto di sequestro di una cosa già sequestrata. Persistendo il vecchio sequestro, non poteva essere emessa nuova misura cautelare. Né si giustifica la novazione del provvedimento originario come ritiene il P.M. in quanto la novazione dal punto di vista giuridico richiede oggetto o titolo diverso . A prescindere dalle sorti dell'originario sequestro, che risulta comunque ancora operativo, è certamente illegittimo il nuovo provvedimento di sequestro che va pertanto annullato senza rinvio. Con il terzo motivo denunciano la mancanza di motivazione su specifiche, decisive censure avanzate dalla difesa. Il sequestro trova il suo fondamento nel reato di lottizzazione abusiva per la ritenuta illegittimità del provvedimento di condono. Con la memoria del 28.12.2010 e poi del 20.1.2011 era stato evidenziato, in modo preciso ed argomentato, che ai fini dell'ammissibilità della richiesta di condono assumeva decisiva rilevanza il frazionamento abusivo effettuato nel 2002 e quindi in epoca anteriore al marzo 2003. Il provvedimento di condono fu rilasciato non già con riferimento allo stato dei lavori alla data del 31.3.2003, ma al frazionamento del novembre 2002, per cui è palesemente insussistente il dolo del reato di falso. Conseguentemente non sussiste il fumus del reato di lottizzazione abusiva. 3 Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. 3.1 In relazione ai primi due motivi di ricorso, non c'è dubbio che in tema di applicazione di misure cautelari reali il principio del ne bis in idem sia ostativo alla reiterazione della misura medesima quando il giudice sia chiamato a riesaminare nel merito gli stessi elementi già ritenuti insufficienti o insussistenti ovviamente non sussiste alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro quando il precedente sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 37706 del 22.9.2006 . È indiscutibile, altresì, che una volta esaurita la fase del riesame ivi compreso l'eventuale ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale o anche in pendenza della stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame, con implicito riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura cautelare reale disposta e della sua conformità alle risultanze procedimentali o processuali, è possibile richiedere la revoca di detta misura, solo ove sia modificato il quadro processuale per fatti sopravvenuti cfr. Cass. sez. 3, 21.6.1994 numero 1512 conf. Cass. penumero sez. 3 numero 1708 del 13.11.2002 o vengano comunque dedotti elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli preesistenti, ma non esaminati, sia quelli sopravvenuti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, il giudicato cautelare copre soltanto il dedotto e non anche il deducibile e non riguarda le questioni che, pur dedotte, non siano state decise cfr. ex multis Cass. penumero sez. 2 numero 35482 del 12.7.2007 conf. Cass. sez.4 numero 4273 del 28.11.2008 Cass. penumero sez.4 numero 32929 del 4.6.2009 Cass. penumero sez. 6 numero 43213 del 27.10.2010 v. anche Cass. sez. unumero numero 18339 del 31.3.2004 . Il riepilogo degli approdi giurisprudenziali in tema di ne bis in idem risulta effettuato, in modo completo ed efficace, nella sentenza della sez. V numero 43068 del 13.10.2009. Dopo il richiamo del principio espresso dalle Sezioni unite nella sentenza Buffa del 1994 Rv. 198213 in tema di misure personali e cioè quello per cui - una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, si evidenzia che - esso ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte. Ne consegue, aggiungono le Sezioni unite, che te pronunzie in esame - se non impugnabili o, a loro volta, non impugnate - spiegano un'efficacia preclusiva sulle suindicate questioni e che, pertanto, come non è consentita l'adozione di una nuova ordinanza cautelare sulla base degli stessi elementi ritenuti insussistenti o irrilevanti in sede di gravame, allo stesso modo le questioni in discorso restano precluse in sede di adozione di ogni successivo provvedimento relativo alla stessa misura e allo stesso soggetto conf. Rv. 207652 Rv. 209794 Rv. 216933 Rv. 213302 . Sulla base di tali principi si è quindi formato l'ulteriore orientamento giurisprudenziale che esclude il formarsi di preclusione quanto all'accertamento della carenza originaria e preesistente di indizi o di esigenze cautelari, per effetto della mancata tempestiva impugnazione dell'ordinanza cautelare con la richiesta di riesame o il ricorso diretto per cassazione vedi Rv. 206500 , sebbene la giurisprudenza non abbia mancato di individuare limitazioni al potere della parte di rinnovare al Gip sempre la medesima richiesta con la medesima questione Rv. 208420 anche a prescindere dalla attivazione dell'incidente cautelare. Tali rilievi non hanno tuttavia impedito alla giurisprudenza di enucleare una ulteriore sottofattispecie in riferimento alla quale hanno prospettato una soluzione ancora più specifica. Si tratta della ipotesi nella quale il Pubblico Ministero non abbia impugnato un'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare in tal caso si forma un giudicato cautelare per cui sussiste una preclusione alla reiterazione, negli stessi termini, della istanza respinta e ciò in quanto il provvedimento del GIP è una pronuncia su quanto dedotto, allegato e richiesto. Non vi è preclusione, invece, nell'ipotesi in cui la nuova richiesta contenga una diversità di allegazioni e deduzioni rv 223654 . Coni, rv 187178. Fatte tali premesse e rilevato che nel caso di rigetto di richiesta di misura cautelare è opponibile il giudicato cautelare anche sulla base del solo provvedimento del primo giudice non impugnato, deve poi osservarsi che la condizione ulteriore è quella che non siano riproposte questioni esplicitamente o implicitamente già dedotte , posto che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame. Sez. U, Sentenza numero 14535 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235908 . 3.1.1 Tanto premesso, è del tutto evidente che la ratio dell'effetto preclusivo è quella di impedire che, immutate le condizioni sotto il profilo del fumus o delle esigenze cautelari di applicabilità o non applicabilità della misura cautelare, vi sia una mera rivalutazione degli stessi elementi. Si vuole cioè evitare, in assenza di nuovi elementi sotto il profilo, in tema di misure cautelari reali, del fumus e delle esigenze cautelari , che venga imposto o eliminato il vincolo reale sul bene. Sicché, come non è consentito al P.M. di richiedere, attraverso una rivalutazione degli stessi elementi, il sequestro, così non è consentito all'indagato di ottenere la revoca del vincolo in precedenza imposto. Alla luce di tali rilievi, non può certamente parlarsi, nel caso di specie, di violazione del giudicato cautelare, dal momento che il vincolo reale sul bene era già esistente ed il nuovo provvedimento, richiesto ed adottato, mirava solo a confermarlo. La richiesta del P.M., cioè, non tendeva ad ottenere un sequestro che in precedenza era stato negato dal GIP o che era stato revocato in sede di giudizio cautelare, ma più semplicemente a sostituire il precedente provvedimento sulla base di titoli di reato diversi da quelli inizialmente ipotizzati. Tanto emerge chiaramente sia dalla richiesta del P.M. che dal provvedimento del GIP che, in accoglimento della richiesta medesima, emetteva il nuovo provvedimento di sequestro. Nella richiesta del 12.10.2010 il P.M., dopo aver premesso che all'udienza preliminare il GUP aveva riqualificato nel reato di cui agli articolo 110,112 numero 1, 61 numero 2, 81, 480 c.p. gli originari reati di cui agli articolo 483, 81 e 110 c.p. e 110, 81, 323 c.p. fermo restando il reato di cui all'articolo 44 lett. c DPR 380/01 , assumeva che nel febbraio 2008 era stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal GIP del Tribunale di Velletri in virtù dell'originaria formulazione dell'imputazione. Appariva pertanto opportuna la novazione del titolo cautelare alla luce della nuova contestazione”. Il GIP, nell'accogliere la richiesta del P.M., rilevava che andava modificata la qualificazione originaria del decreto di sequestro secondo quanto contestato dal Pubblico ministero nella richiesta allegata, ferma restando ogni altra osservazione in fatto e diritto contenuta nel provvedimento di sequestro già eseguito . Che il nuovo provvedimento di sequestro andasse a sostituire quello precedente emergeva ancor più chiaramente dalla parte dispositiva del provvedimento del 4.11.2010, laddove si afferma testualmente Dispone il sequestro preventivo, per i reati indicati nell'allegata richiesta del Pubblico ministero, dell'immobile denominato omissis già oggetto del decreto di sequestro preventivo del 14.2.2008 già notificato agli interessati e che si richiama . Tale provvedimento si limitava, quindi, a prendere atto della nuova contestazione o meglio della diversa qualificazione giuridica della precedente e, sulla base di essa, ad imporre il nuovo vincolo sullo stesso bene. Tale vincolo, del resto, non poteva ulteriormente essere mantenuto sulla base di titoli di reato, ritenuti, almeno in parte, non più configurabili. È assolutamente insostenibile, infatti, che il provvedimento di sequestro continuasse a trovare il suo fondamento in ipotesi di reato diverse da quelle per le quali il Giudice dell'Udienza preliminare aveva, con provvedimento del 7.10.2010, restituito gli atti al P.M. affinché procedesse ai sensi degli articolo 550 e ss, c.p.p Né, tanto meno, è sostenibile che la diversa qualificazione giuridica potesse determinare la caducazione automatica del precedente sequestro. Deve ritenersi, pertanto, che, in presenza di una sopravvenuta diversa qualificazione giuridica dei reati originariamente ipotizzati, possa essere emesso nuovo provvedimento di sequestro in sostituzione di quello precedente. A ben vedere argomenti a sostegno possono trarsi, indirettamente, da quanto statuito in tema di misure cautelari personali. L'articolo 297 comma 3 c.p.p. disciplina, invero, l'ipotesi della emissione di più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato . . E tale disciplina espressa si è resa necessaria perché a differenza delle misure cautelari reali occorreva precisare che la pur consentita emissione di nuova ordinanza di custodia cautelare per lo stesso fatto, anche se diversamente qualificato, incontrava i limiti della durata della custodia cautelare medesima i termini decorrono dai giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave . 3.2 In relazione al terzo motivo di ricorso va ricordato che, a norma dell'articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo le sezioni unite di questa Corte sentenza numero 2/2004. Terrazzi , nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’articolo 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'articolo 606 lett. c c.p.p., né tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza numero 25932 del 29.5.2008 - Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. 3.2.1 Il Tribunale, con motivazione non certo apparente e quindi non riconducibile alla previsione di cui all'articolo 325 c.p.p., ha ritenuto che sussistesse il fumus dei reati ipotizzati. In particolare, ha accertato che alla data del frazionamento catastale del 2002 il complesso edilizio era ancora allo stato iniziale, sicché le cinque concessioni in sanatoria erano state rilasciate illegittimamente perché riferite ad opere non ultimate entro il 31.3.2003, con destinazione d'uso non ancora effettivamente mutate e con una consistenza complessiva maggiore di quella ammissibile. La lottizzazione, quindi, non si era certo perfezionata al momento del frazionamento catastale del 2002, in quanto, a quella data, nessuno degli appartamenti aveva autonomia funzionale giuridica. Ed é assolutamente pacifico che il reato di lottizzazione abusiva ha natura permanente e si protrae nel tempo fino all'esaurimento dell'attività edificatoria nell'ambito dell'intera area oggetto dell'abusivo frazionamento. Invero, successivamente al frazionamento iniziale anche la condotta successiva, ovvero l'esecuzione di opere di urbanizzazione o la realizzazione di singole costruzioni, protrae l'evento criminoso, attraverso la lesione del monopolio pubblico della programmazione urbanistica cfr. Cass. penumero sez.3 numero 19732 del 26.4.2007 . Pur essendovi distinzione tra il reato di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio e quello di costruzione abusiva nell'area oggetto di lottizzazione, la permanenza del primo di detti reati viene a cessare qualora si sia dato luogo ad effettiva attività edificatoria, anche ad opera di soggetti diversi dal lottizzatore, solo con l'esaurimento della su indicata attività . Cass. sez. 3 numero 7640 del 25.5.1998 numero 7640 conf. Cass. sez. 3 numero 1996 del 5.12.2001 . Hanno, comunque, evidenziato i Giudici del riesame che, secondo giurisprudenza pacifica, il condono edilizio non trova applicazione in relazione al reato di lottizzazione abusiva in qualunque forma commessa negoziale, materiale o mista cfr. ex multis Cass. penumero sez.3 numero 9982 del 21.11.2007 conf. Cass. sez.3 18.6.2004 e cass. sez. 3 numero 24319 del 4.4.2003. 3.2.2 Quanto, infine, all'elemento psicologico dei reati ipotizzati, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte, non menzionando l'articolo 321 c.p.p. gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro e non potendosi ritenere applicabile l'articolo 273 stesso codice dettato per le misure cautelari personali e non richiamato per quelle reali , ai fini dell'adozione del sequestro é sufficiente la presenza del fumus boni iuris e cioè l'ipotizzabilità in astratto del reato cfr. ex multis Cass. penumero sez. 1 numero 2396 del 25.3.1997 . Sicché il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, e indipendentemente dall'accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'agente o della sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale cfr. ex multis Cass.penumero Sez. 6 numero 10618 del 23.2.2010 conf. sez. 1 numero 15298 del 4.4.2006 . Anche la parte minori tari a della giurisprudenza che valorizza l'elemento psicologico, esclude che esso possa essere preso in considerazione quando ci si trovi in presenza di provvedimenti macroscopicamente illegittimi. Si ritiene, invero, che nella valutazione del fumus commissi delicti possa rilevare l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, sempre che sia di immediata evidenza cfr. Cass. penumero sez. 2 numero 2808 del 2.10.2008 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.