Nelle richieste risarcitorie del lavoratore sono da intendersi ricomprese anche quelle da mancato preavviso

La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice - e senza violazione del principio generale di cui all'articolo 112 c.p.c. - di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo fermo restando il principio dell'immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto , attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest'ultimo tipo di licenziamento. Da questo principio consegue che nelle più ampie pretese economiche, collegate dal lavoratore all'annullamento del licenziamento, asserito come ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità, derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, prevedeva il diritto del lavoratore al preavviso.

Così affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza numero 3320, pubblicata il 19 febbraio 2015. Il caso impugnazione di licenziamento intimato per giusta causa riqualificato dal Tribunale per giustificato motivo soggettivo. Un dirigente di Azienda autonoma termale veniva licenziato per giusta causa, tenuto conto dei comportamenti contrari alle regole di organizzazione interna e di conflittualità con il legale rappresentante dell’azienda. Impugnato il licenziamento, il Tribunale rigettava l’impugnazione, riqualificando il licenziamento non più per giusta causa, ma per giustificato motivo soggettivo. Proponeva appello il lavoratore che veniva rigettato. Ricorreva in Cassazione, che, accogliendo parzialmente il ricorso, cassava la sentenza d’appello rinviando ad altra Corte di merito, al fine di valutare l’applicabilità nel caso specifico della procedura di cui all’articolo 7, Legge numero 300/1970, previa determinazione della natura, dirigenziale o meno, del rapporto di lavoro. Il Giudice del rinvio nuovamente rigettava l’appello. Proponeva infine altro ricorso in Cassazione il lavoratore. L’applicabilità dell’articolo 7 L. 300/1970. Un primo motivo di ricorso si fonda sull’applicabilità al caso specifico della procedura disciplinare prevista dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori. In particolare, osserva il ricorrente, alla luce del principio affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite, sentenza numero 7880/2007, in cui veniva mutato l’orientamento precedente della Corte, le garanzie procedimentali dell’articolo 7 citato devono trovare applicazione anche all’ipotesi di licenziamento disciplinare del dirigente. Il motivo viene disatteso dalla Suprema Corte, la quale osserva che la sentenza d’appello impugnata è stata resa all’esito di giudizio di rinvio giudizio in cui non è più consentito né alle parti ampliare il thema decidendum né al giudice rilevare d’ufficio questioni non rilevate dalla Corte di Cassazione nel precedente grado. Nello specifico l’accertamento demandato alla Corte di merito dalla sentenza rescindente pubblicata nell’anno 2006 era la valutazione o meno del carattere di apicalità del rapporto di lavoro in esame dando così per presupposto intangibile secondo il precedente orientamento l’inapplicabilità dell’articolo 7 L. 300 ai dirigenti apicali. La domanda di riconoscimento dell’indennità da mancato preavviso. Altro motivo di censura riguarda il mancato riconoscimento dell’indennità di mancato preavviso, tenuto conto della riqualificazione del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo. La Corte d’Appello, nel secondo grado di giudizio, non aveva accolto la domanda, affermando trattarsi di domanda nuova, introdotta soltanto in appello. E analogamente anche la Corte di merito del rinvio non aveva riconosciuto il diritto. In questo caso la Suprema Corte ritiene fondato il motivo proposto. Si afferma infatti che è sempre ammissibile, anche in sede d'impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso. Ne consegue che il giudice, senza incorrere in violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., può valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora, fermo restando il principio dell'immutabilità della contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto, attribuisca al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest'ultimo tipo di licenziamento. In base a detto principio il Tribunale aveva riqualificato il licenziamento intimato in giustificato motivo soggettivo, con diritto dunque al preavviso. Tenuto conto della riqualificazione da parte del giudice, non può considerarsi domanda nuova la richiesta proposta in grado d’appello di condanna del datore di lavoro all’indennità di mancato preavviso. Osservano i giudici di legittimità che nelle più ampie pretese economiche, collegate dal lavoratore all'annullamento del licenziamento, asserito come ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità, derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, prevedeva il diritto del lavoratore al preavviso. La sentenza impugnata è stata così cassata in accoglimento di questo motivo, con nuovo rinvio alla Corte d’Appello per la valutazione della fondatezza della domanda avente ad oggetto l’indennità di mancato preavviso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 dicembre 2014 – 19 febbraio 2015, numero 3320 Presidente Macioce – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo M.d.S.L.A. veniva licenziata per giusta causa con delibera commissariale dell'8 febbraio 2001 dall'Azienda autonoma delle terme di , presso la quale ricopriva il ruolo di direttore amministrativo. Con sentenza del 1 febbraio 2003 il Tribunale di Catania rigettava la domanda proposta dalla lavoratrice per ottenere la declaratoria di legittimità o in subordine di inefficacia del licenziamento e la conseguente condanna dell'Azienda autonoma delle terme di alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra, od in subordine al pagamento dell'indennità supplementare pari a 18 mensilità, oltre TFR e risarcimento del danno all'immagine. La Corte d'appello di Catania con sentenza del 7/5/2004 rigettava il gravame. Questa Corte di cassazione, con la sentenza numero 16836 del 2006, accoglieva la censura di insufficiente motivazione proposta dalla M.d.S.L. ritenendo, in particolare, che la Corte territoriale al fine dell'applicabilità della procedura disciplinare prevista dall'articolo 7 della L.numero 300 del 1970 non avesse dato adeguato rilievo ad alcuni elementi addotti dall'appellante al fine di comprovare la natura meramente convenzionale e non apicale della qualifica dirigenziale rivestita cassava la sentenza impugnata rinviando anche per le spese alla Corte d'appello di Messina. Il giudice del rinvio con la sentenza numero 2025 del 2008 rigettava nuovamente l'appello, compensando tra le parti le spese del giudizio. Argomentava che la natura intrinsecamente dirigenziale delle mansioni svolte dalla lavoratrice risultava dalla relativa descrizione contenuta nell'articolo 13 del D.lgs P.Reg 20/12/1954 e dal fatto che il direttore amministrativo è considerato uno degli organi dell'azienda, i cui poteri appaiono corrispondenti a quelli assegnati ai dirigenti della pubblica amministrazione. Né contrastava tale conclusione ad avviso della Corte l'esame delle circostanze valorizzate nella sentenza rescindente, considerato che la configurabilità di limiti di spesa in capo al dirigente, che poteva procedere senza autorizzazione del Consiglio di amministrazione solo sino all'importo di 10 milioni, era compatibile con le esigenze di bilancio dei soggetti pubblici e con la regola del tetto di spesa il ricorso al Commissario ad acta per il compimento di singoli atti non determinava poi una limitazione dei poteri gestionali, essendo stato introdotto per le carenze riscontrate nell'operato della dirigente. Quanto all'assoggettamento al controllo dell'orario di lavoro, esso era compatibile con la figura dirigenziale, costituendo il mezzo per il riconoscimento di compensi per lavoro straordinario anche in capo alle figure apicali. Né, al fine di ritenere l'applicabilità delle garanzie di cui all'articolo 7 della L. numero 300/1970, poteva valere il fatto che esse fossero state adottate in altro procedimento disciplinare, considerato che non ne ricorrevano, nella specie, i presupposti. All'inesistenza dell'obbligo di procedimentalizzazione dell'esercizio del potere disciplinare nei confronti della dirigente, corrispondeva peraltro - nella valutazione della Corte d'appello - la giustificatezza del recesso adottato dall'azienda, alla luce di specifici comportamenti, attestanti la violazione delle regole di organizzazione interna, unitamente alla conclamata situazione di attrito e conflittualità assunta nei confronti del legale rappresentante dell'azienda, certamente idonei a determinare la rottura del rapporto fiduciario. Inoltre, non erano applicabili nel caso i principi dettati in tema di procedimento disciplinare per il pubblico impiego, considerata la natura dell'azienda, di impresa gestita da ente pubblico territoriale non economico con rapporto di lavoro dei dipendenti di natura privatistica. Riteneva quindi assorbita la domanda proposta per ottenere una penale risarcitoria ai sensi dell'articolo 19 del C.C.N.L. 23.5.2000 per i dirigenti d'azienda, che poteva conseguire soltanto ad un licenziamento ingiustificato, così come di risarcimento del danno all'immagine, né riconosceva l'indennità di mancato preavviso, in mancanza di tempestiva domanda. Per la cassazione della sentenza M.d.S.L.A. ha proposto ricorso, affidato a sette motivi, illustrati anche con memoria ex articolo 378 c.p.c., cui ha resistito con controricorso l'Azienda autonoma delle terme di Acireale. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della L.numero 300 del 1970, e lamenta che erroneamente la Corte d'appello di Messina abbia ritenuto che la sentenza rescindente della Corte di cassazione avesse imposto di aderire al principio di diritto secondo cui la qualifica dirigenziale non impone l'applicazione delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori per l'irrogazione di una sanzione disciplinare. Fa presente che la Corte di cassazione aveva accolto il ricorso per manifesta infondatezza, limitandosi a riportare le argomentazioni relative al primo motivo di ricorso, giudicato assorbente, senza tuttavia affermare alcun principio di diritto interpretativo della normativa richiamata. Ribadisce che questa Corte a Sezioni unite con la sentenza numero 7880 del 2007 ha affermato che le garanzie procedimentali richiamate devono trovare applicazione anche nell'ipotesi di licenziamento del dirigente, a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, nel caso in cui il recesso si fondi su un suo comportamento negligente o, in senso lato, colpevole. 1.1. Il motivo non è fondato. Costituisce principio condiviso e consolidato di questa Corte quello secondo il quale nel giudizio di rinvio, che è un procedimento chiuso, tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, formulando nuove domande e nuove eccezioni, ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili d'ufficio, non rilevate dalla Suprema corte, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché il riesame tenderebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di Cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità Cass. numero 10046 del 2002, numero 1437 del 2000, numero 20474 del 2014 . Nel giudizio di rinvio quindi non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti a seguito della sentenza rescindente, estendendosi tale preclusione anche alle questioni di diritto, ancorché rilevabili d'ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla o a limitare gli effetti intangibili della sentenza di Cassazione, che individua l'ambito di cognizione demandato al giudice del rinvio agli effetti della decisione finale della causa Cass. numero 6126 del 1998, Cass. numero 538 del 2000 . 1.2. Tale principio comporta che nel caso in esame resti preclusa l'applicazione dell'insegnamento impartito dalle Sezioni unite con la sentenza numero 7880 del 2007 seguita tra le altre da Cass. numero 897 del 2011 e numero 22536 del 2014 che, com'è noto, mutando il precedente orientamento, ha statuito che le garanzie procedimentali dettate dall'articolo 7, commi 2^ e 3^, legge numero 300/70 devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento disciplinare del dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa il presupposto logico dell'accertamento demandato alla Corte di merito dalla sentenza rescindente, ovvero la valutazione del carattere apicale o meno dell'attività di dirigente svolta dalla ricorrente, era infatti che tale accertamento potesse sortire un qualche effetto ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento, e quindi dell'applicabilità della procedura disciplinare dettata dall'articolo 7 della L. numero 300 del 1970, dandosi quindi come presupposto - reso così intangibile - che essa non riguardi i dirigenti apicali. 2. Come secondo motivo la ricorrente deduce la violazione di plurime disposizioni di legge articolo 2095 c.c., 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 della L. numero 604 del 1966, 7 e 18 della L. numero 300 del 1970 , nonché difetto di motivazione. Censura la sentenza di rinvio nella parte in cui ha ritenuto che la ricorrente rientri nel novero dei dirigenti di vertice, limitandosi ad analizzare le attività che sono espressione della preposizione gerarchica ed ignorando i documenti allegati al ricorso che manifestavano come ella avesse bisogno di richiedere la nomina di un Commissario ad acta anche per il semplice pagamento delle bollette come risulterebbe dalla richiesta urgente di nomina commissario ad acta del 4/5/2000 e del provvedimento dell'Assessore della Regione Sicilia del 29/5/2000 . Inoltre, i poteri previsti dalla legge istitutiva dell'ente e dal regolamento di gestione non varrebbero a integrare la natura dirigenziale del rapporto facente capo al dirigente amministrativo, dal momento che si richiede la ratifica del consiglio e l'autonomia e la discrezionalità sono limitati. 2.1. Il motivo è inammissibile perché, pur essendo formalmente volto a censurare la sentenza per violazione di norme di diritto, mira, in realtà, ad una revisione dell'accertamento di fatto operato dalla Corte d'appello in merito alla natura apicale del ruolo dirigenziale rivestito dall'odierna ricorrente. Né gli aspetti asseritamente decisivi che vengono individuati al fine di scalfire la motivazione della Corte sono idonei allo scopo che la ricorrente si è proposta, considerato che il giudice del rinvio ha già valutato l'incidenza sull'autonomia decisionale e sul potere organizzativo dell'obbligo di chiedere la nomina di un commissario ad acta e degli imposti limiti di spesa. 3. Come terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte d'appello nell'ignorare che il rapporto di lavoro de quo avrebbe dovuto essere assistito dalle garanzie del pubblico impiego, tra cui la stabilità prevista dal T.U. numero 3 del 1957 articolo 21 comma 2, o comunque del D.lgs. numero 29 del 1923, art, 21, secondo comma, nel testo anteriore alle modifiche apportare dal D.lgs. numero 165 del 2001, con limitazione, in conseguenza delle contestazioni, alla rimozione dall'incarico dirigenziale, senza cessazione del rapporto di lavoro. Argomenti in tal senso si trarrebbero dalla sentenza numero 13311 del 2000 di questa Corte, che si è pronunciata sulla richiesta della ricorrente di applicazione della c.d. promozione automatica prevista dall'articolo 2103 c.c., che è stata esclusa proprio in virtù della rilevanza pubblica delle norme destinate a garantire procedure selettive e concorsuali di assunzione del personale. 3.1. Il motivo non è fondato. Questa Corte ha ribadito in più occasioni Cass. numero 9005 del 1991, S.U. numero 496 del 2000, S.U. numero 5749 del 2001 che il rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Azienda autonoma delle terme di Acireale ha natura privatistica nella sentenza numero 13311 del 06/10/2000 resa tra le stesse parti non ha peraltro affermato la generale applicabilità al rapporto in esame della disciplina del lavoro pubblico, ma solo la sopravvivenza delle disposizioni dell'articolo 12 del d. leg.vo. P. Reg. 20 dicembre 1954, numero 12, che prevedono l'accesso alla qualifica che era stata rivendicata dalla M.d.S.L. mediante concorso per titoli. In relazione alla presente fattispecie occorre invece rilevare, come chiarisce la parte intimata a p. 7 del controricorso, che il Regolamento di gestione dell'azienda all'articolo 3 u.c. statuisce che al direttore amministrativo si applicano le norme ed il trattamento previsto dal contratto per i dirigenti industriali. 4. Come quarto motivo, per la subordinata ipotesi di applicazione al rapporto della disciplina privatistica dei dirigenti d'azienda, lamenta la violazione degli articoli 19, 22, e 23 del C.C.N.L. per i Dirigenti aziende industriali del 23/5/2000 e sostiene la spettanza dell'indennità supplementare ivi prevista. 4.1. Il motivo è infondato in quanto, come già rilevato dalla Corte d'appello e come si ricava dalla lettura dell'articolo 19 del C.C.N.L. invocato, l’indennità supplementare viene riconosciuta soltanto nel caso di licenziamento ingiustificato, situazione che secondo la lettura dei fatti assunta nella sentenza gravata non ricorre nel caso in esame. 5. Come quinto motivo lamenta il vizio di motivazione e la violazione di legge articolo 2118 c.c. e del C.C.N.L. per i dirigenti di aziende industriali del 23/5/2000, laddove la Corte non avrebbe rilevato che i fatti addotti dalla controparte non erano sufficienti a giustificare il licenziamento. 5.1. Il motivo è infondato. Occorre qui ribadire che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con disposizioni ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Diversamente, l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. numero 8367 del 2014, Cass. numero 5095 del 2011 . 5.2. Nel caso in esame, la Corte d'appello ha articolatamente motivato alle pagine 5 e 6 in ordine al comportamento della lavoratrice ed alle carenze della sua prestazione lavorativa che hanno determinato il licenziamento, mentre la ricorrente si limita a proporre una diversa lettura degli atti e dei documenti che sono già stati esaminati in tal modo, si chiede a questa Corte di riesaminare tutte le risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere rilevanti nel senso voluto patrocinato. Le deduzioni formulate, tentando di rivalutare le risultanze istruttorie in ordine ai fatti contestati per ridimensionarne la rilevanza sul piano disciplinare rispetto a quanto accertato dai giudici di merito, rimangono, dunque, confinate in una mera contrapposizione valutativa, inidonea, in quanto tale, a radicare un deducibile vizio di motivazione della sentenza impugnata, e tantomeno un vizio di violazione di legge. 6. Come sesto motivo deduce la violazione dell'articolo 2118 c.c. e lamenta che la sentenza impugnata abbia negato l'indennità di mancato preavviso pur a fronte della riqualificazione del recesso operata dal giudice. 6.1. Il motivo è fondato. La domanda avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso come si ricava dall'esposizione a pg. 37 del ricorso e dalla motivazione della Corte d'appello a pg. 3 e 6 è stata formulata da Angela M.d.S.L. solo con il ricorso in appello, a seguito della riqualificazione del licenziamento per giusta causa in licenziamento ad nutum operata dal Tribunale. Per questo motivo essa è stata disattesa dalla Corte, che l'ha ritenuta in contrasto con il divieto di ius novorum , previsto dall'articolo 437 comma 2 c.p.c 6.2. Tale soluzione non tiene conto del fatto che questa Corte ha in più occasioni affermato che rientra tra i poteri del giudice la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Si è affermato, infatti, cfr Cass. numero 12884 del 2014, Cass. numero 837 del 2008, Cass. numero 27104 del 2006 che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice - e senza violazione del principio generale di cui all'articolo 112 cod. proc. civ. - di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo fermo restando il principio dell'immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto , attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest'ultimo tipo di licenziamento. 6.3. A tale principio, la sopra richiamata sentenza numero 27104 del 2006 ha fatto conseguire l'altro, secondo il quale nelle più ampie pretese economiche, collegate dal lavoratore all'annullamento del licenziamento, asserito come ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità, derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, preveda il diritto del lavoratore al preavviso, per il principio secondo cui una pretesa più ampia contiene una pretesa di minore portata, allorché i fatti dedotti con la domanda giudiziale restino immutati. 6.4. Dovendosi dare continuità a tale orientamento e non avendo la Corte d'appello fatto applicazione di tali principi, il sesto motivo dev'essere accolto, rimettendosi al giudice del rinvio il compito di valutare la fondatezza della domanda avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso, formulata nel ricorso in appello e nel caso non preclusa dalla mancata proposizione nel ricorso introduttivo. 7. Come settimo motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda relativa al risarcimento del danno. 7.1. Il motivo non è fondato, considerato che la Corte d'Appello a p. 7 ha rigettato la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno all'immagine determinato dalla risonanza mediatica del licenziamento richiamando le motivazioni rese sul punto nella sentenza del tribunale. Non vi è stata pertanto l'omessa pronuncia di cui la ricorrente si duole. 8. Segue alle superiori considerazioni l’accoglimento del sesto motivo di ricorso, il rigetto degli gli altri, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa per nuovo esame alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione, anche per le spese. P.Q.M. La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per nuovo esame alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione, anche per le spese.