Tre clienti ‘rubati’ alla propria azienda, e destinati all’azienda dei familiari: licenziata

Confermata la legittimità del drastico provvedimento adottato nei confronti di una lavoratrice impegnata, quale tecnico della riabilitazione, nel delicato settore dell’assistenza ai bambini. Fatale l’aver indirizzato tre ragazzi verso un centro concorrente all’azienda per cui lavora, centro gestito da suoi familiari. Evidente la scorrettezza del comportamento, fondato il timore che l’episodio possa ripetersi anche in futuro.

Precedente fatale per la lavoratrice, resasi responsabile di un’azione dannosa verso la propria azienda ella, difatti, ha favorito il trasferimento di tre clienti verso un’altra azienda. Probabilmente la ferita economica non è clamorosa, però è ampiamente sufficiente per ritenere violato, in maniera insanabile, il vincolo fiduciario datore di lavoro-dipendente. E poi, è anche logico riconoscere all’azienda la possibilità di prevenire future ulteriori beffe. Ecco perché è assolutamente legittimo il provvedimento di licenziamento nei confronti della lavoratrice Cass., sent. n. 4723/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Concorrenza. A finire sotto accusa è la dipendente – con qualifica di tecnico della riabilitazione – di un centro di assistenza per bambini su di lei, difatti, la pesante ombra di avere indirizzato la clientela verso un altro centro, gestito, peraltro, da alcuni suoi familiari. Ciò basta, secondo l’azienda, per scegliere il provvedimento più drastico, il licenziamento per giusta causa . E questa visione viene ritenuta legittima dai giudici, sia in primo che in secondo grado, proprio alla luce dei comportamenti della donna, la quale era stata anche presente e operativa nella struttura gestita dai familiari. Evidenti, in sostanza, le premesse per uno sviamento della clientela , oltre ai tre casi già acclarati. A casa. E anche nell’ultimo grado di giudizio, in Cassazione, nonostante le obiezioni mosse dalla donna, il licenziamento sancito dall’azienda è considerato assolutamente legittimo. Decisive, nuovamente, le condotte addebitate alla lavoratrice, impegnata in attività , nella struttura dei familiari, avente ad oggetto i trattamenti di riabilitazione estensiva di logopedia , e, soprattutto capace di allontanare ben tre clienti dalla propria azienda. E altrettanto rilevante è la considerazione non solo del danno provocato, ma anche, anzi soprattutto, del timore , dell’azienda, che lo sviamento della clientela possa essere ulteriormente ripetuto, con ripercussioni, anche economiche, negative. Quadro chiarissimo, quindi, da cui emergono comportamenti tali da integrare gravi violazioni dei doveri fondamentali . Per questo, la scelta, seppur drastica, dell’azienda è da ritenere pienamente corretta.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 gennaio – 27 febbraio 2014, n. 4723 Presidente Vidiri – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo La signora A.E., dipendente dal 2.6.1985 dell'Associazione dei servizi psico-pedagogici di Reggio Calabria, ente gestore del centro Villa Betania , da ultimo con la qualifica di tecnico della riabilitazione di VI livello, veniva licenziata in data 20.12.1996 per giusta causa integrata da comportamenti di sviamento della clientela consistiti nel favorire altro centro, situato in Gallico presso l'asilo Heidi. Con la sentenza n. 636 del 2007 la Corte d'Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto l'impugnativa proposta dalla lavoratrice. A motivo della decisione la Corte riferiva che il centro Villa Betania erogava trattamenti di tipo logopedistico-ortofonico, socio-cognitivo, fisioterapico, psicomotorio e attività occupazionale. Dall'accertamento compiuto dal Tribunale - il quale aveva valorizzato in particolare la deposizione testimoniale della teste C., diretta testimone di fatti addebitati, che era risultata circostanziata, resa con dovizia di particolari, precisa nella descrizione dei fatti ed ampiamente riscontrata dagli altri testimoni ed informatori - era risultato che la E. aveva sviato la clientela, con riferimento in particolare a tre minori, favorendo il centro presso l'asilo Heidi. Tale struttura ad avviso della Corte era effettivamente in concorrenza con il centro presso Villa Betania in quanto operava nel medesimo territorio, era dedito all'assistenza ai bambini ed ivi venivano svolti anche trattamenti da una logopedista che era anch'ella dipendente di Villa Betania. La presenza della E. nel centro, inoltre, era stata connotata dalla partecipazione all'attività del centro, di proprietà della sorella, concretatasi in accompagnamento dei bambini e partecipazione ai corsi. Tali fatti erano idonei ad avviso della Corte a giustificare il licenziamento, in quanto ponevano le premesse per uno sviamento della clientela, ulteriore ai tre casi già verificatisi, considerato anche che la posizione della lavoratrice, a contatto con la clientela, nonché la contemporanea operatività dell'altra struttura, potevano far presumere la protrazione della condotta. Per la cassazione di tale sentenza A.E. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito l'Associazione dei Servizi psico-pedagogici di Reggio Calabria. Motivi della decisione 1. Come primo motivo viene denunciata omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5, violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2105 c.c., sotto il profilo di non avere la Corte territoriale valutato una serie di elementi probatori essenziali che rendono illegittimo il licenziamento perché non spezzano il vincolo fiduciario necessario nel rapporto di lavoro, in particolare circostanze riferite dagli informatori nella fase del procedimento cautelare e poi confermate nella fase di merito, con alcune aggiunte e integrazioni . Parte ricorrente fa riferimento ad una pluralità di fatti che la Corte avrebbe trascurato ed in particolare a che presso la scuola Heidi viene svolta attività di volontariato di sostegno dei bambini e dei familiari dei detenuti da soggetti con professionalità diverse da quelle della E. b la non avvenuta diminuzione dell'affluenza di bambini a Villa Betania c il fatto che la scuola Heidi è una scuola materna d il fatto che la scuola Heidi non svolge attività in concorrenza con quella di villa Betania e il fatto che la E. non vi ha mai svolto alcuna prestazione di lavoro che possa essere ricondotta alle mansioni svolte presso il centro Villa Betania, né sottrazione di cliente f l'ininfluenza della circostanza che la Scuola Heidi era di proprietà di familiari della E. per concludere che avrebbe valutato solo le circostanze a sostegno della legittimità del licenziamento, peraltro genericamente indicate, senza motivare sulla loro apprezzabilità o rilevanza. Formula quindi il seguente quesito di diritto Dica il giudice di legittimità se nella valutazione delle risultanze della prova per testi, nel giudizio di attendibilità degli stessi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri - come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione - la Corte abbia posto a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, senza indicare le ragioni del proprio convincimento . 2. In relazione a tale motivo, occorre prendere le mosse dal principio ormai acquisito secondo il quale la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Sez. L, sentenza n. 21412 del 05/10/2006, conf. Sez. L, sentenza n. 4391 del 26/02/2007, Sez. L, sentenza n. 16346 del 24/07/2007 . Nel caso, nessuna censura può muoversi al giudice d'appello per avere trascurato la valenza del primo, terzo e quarto fatto tra quelli sopra indicati, in quanto essi non costituiscono fatti decisivi ai fini della decisione, né le ragioni di tale decisività sono adombrate nel ricorso. E difatti, gli aspetti valorizzati ai fini della decisione - come emersi dall'istruttoria - attengono all' attività svolta presso la scuola Heidi diversa da quella tipica di una scuola materna, avente ad oggetto i trattamenti di riabilitazione estensiva di logopedia. Il secondo fatto relativo alla diminuzione dell'affluenza di bambini è stato ampiamente valutato dalla Corte d'Appello, che ha rilevato pg. 8 che lo sviamento di clientela del quale si erano poste le premesse si è verificato in tre casi. Il quinto fatto la condotta della E. è stato ampiamente valutato dalla Corte, nella parte in cui ha descritto le attività svolte dalla lavoratrice per il centro presso la scuola Heidi non si illustra peraltro nel ricorso né risulta come possa essere decisiva al fine della decisione la circostanza che le mansioni non coincidessero appieno con quelle svolte presso villa Betania, quando comunque esse erano finalizzate a supportare un'attività di assistenza logopedistica ed occupazionale all'infanzia in concorrenza con quella fornita dal datore di lavoro. Il sesto fatto la proprietà della scuola Heidi in capo a familiari della E. è stato tenuto ampiamente in considerazione e valutato come presupposto della condotta, ma risulta privo, anch'esso, di significativo valore ai fini di causa. 3. Come secondo motivo parte ricorrente denuncia Violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 4 Cost., art. 131 disp. att. c.p.c., art. 277 c.p.c,, art. 2106 c.c., art. 12 delle preleggi R.D. 16 marzo 1942 n. 262, dell'art. 3 della L. 604 del 1966 con riferimento al disposto dell'art. 2104 II comma c.c. e dell'art. 2105 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 in quanto la Corte di merito avrebbe omesso di pronunziarsi sulla rilevata sproporzione tra il licenziamento irrogato e l'inadempienza imputata e trascurato che in ogni caso proprio sulla base dei fatti emersi non era possibile ritenere non legittima la condotta della E. . Sostiene che il giudice di merito non avrebbe correttamente applicato il criterio di proporzionalità che deve sussistere tra addebito e sanzione, valorizzando il dovere di fedeltà senza adeguatamente motivarne le ripercussioni sul vincolo fiduciario ed applicando i principi giurisprudenziali di irrilevanza del danno coniati con riferimento al settore bancario, nel quale il vaglio deve essere compiuto con particolare rigore. Inoltre, il licenziamento sarebbe stato adottato a distanza di tempo dalla cognizione del fatto, il che escluderebbe in radice l'impossibilità di prosecuzione del rapporto, ed inoltre la contestazione sarebbe generica in quanto non vi sarebbe alcuna indicazione di luogo e di tempo. Formula quindi il seguente quesito di diritto dica il giudice di legittimità se la Corte di merito non ha correttamente utilizzato il principio di proporzionalità tra infrazione effettivamente commessa dal lavoratore e sanzione disciplinare legittimante . 4. Come terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 2105 c., 1175 e 1375 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3, perché è necessaria la prova del sistematico sviamento di clientela, non essendo sufficiente la prova di un comportamento infedele per far venir meno il vincolo fiduciario che sottende al rapporto di lavoro non era interdetto contrattualmente alla lavoratrice E. di prestare fuori orario attività lavorativa presso terzi . Si sostiene che le condotte realizzate dalla E. sarebbero prive del requisito dell'incidenza sulla violazione dell'obbligo di fedeltà, trattandosi di condotte meramente preparatorie e tali da non pregiudicare l'esattezza degli adempimenti futuri. Il quesito di diritto è il seguente Dica il giudice di legittimità se costituisce violazione del divieto in esame cfr. obbligo di fedeltà anche il porre in essere attività solo potenzialmente dannose per il datore di lavoro . 5. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono entrambi alla valutazione compiuta dalla Corte di merito sulla gravità dell'addebito e sulla sua proporzionalità con la sanzione adottata. Essi sono inammissibili nella parte in cui tendono a sindacare in questa sede l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato Sez. L, sentenza n. 35 del 03/01/2011 . La motivazione peraltro è congrua in relazione a tutti gli aspetti che rilevano nella valutazione, avendo avuto riguardo alle concrete modalità dei fatti, allo sviamento di clientela in concreto arrecato, alla reiterazione e persistenza nel tempo dello stesso, alla natura delle mansioni ed al permanere della situazione di fatto che aveva determinato la condotta pregressa , che rendevano fondato il timore di reiterazione della stessa. Quanto all'assenza di danno, si tratta di un elemento che correttamente la Corte d'Appello ha ritenuto non essenziale per la valutazione della gravità della condotta, dal momento che questa Corte ha chiarito che In tema di licenziamento, è irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale a carico del datore di lavoro, mentre ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti Sez. L, sentenza n. 5434 del 07/04/2003 . La Corte peraltro ha aggiunto che in tre casi lo sviamento di clientela si è realizzato e che il danno sarebbe stato accresciuto nel caso di reiterazione della condotta. 5. Come quarto motivo parte ricorrente lamenta Violazione e falsa applicazione di norme di diritto L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 e art. 2797 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3, attesa la forza espansiva dell'art. 18 St.lav., e considerato che il recesso disciplinare intimato senza l'osservanza delle garanzie previste dall'art. 7 St.lav. a tutela del lavoratore irrogato in carenza di potere, non può che comportare l'illegittimità del recesso medesimo, stante il fatto che la Corte d'Appello ha erroneamente ritenuto che fosse stata raggiunta la prova circa l'effettiva affissione del codice disciplinare in locale accessibile a tutti i lavoratori . Censura la sentenza della Corte d'Appello nelle parti in cui ha ritenuto che le risultanze di causa deponevano nel senso dell'avvenuta affissione del codice disciplinare, che comunque il fatto che i comportamenti contestati, integrando gravi violazioni dei doveri fondamentali, potevano essere sanzionati indipendentemente da tale affissione, che le contestazioni poste alla base del licenziamento erano sufficientemente circostanziate, che la lavoratrice non si era doluta in primo grado di non essere stata sentita a sua discolpa, che la contestazione dell'addebito e l'irrogazione della sanzione non era tardiva. Formula il seguente quesito di diritto Dica il giudice di legittimità se costituisce violazione il non aver osservato nella fattispecie le garanzie previste dall'art. 7 commi secondo e terzo della L. n. 300 del 1970 . 6. Il motivo è inammissibile sotto più profili. Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 17931 del 24/07/2013 hanno condivisibilmente chiarito che 'l'onere della specificità ex art. 366 n. 4 c.p.c. non deve essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione dell' ipotesi, tra quelle elencate nell'art. 360 co. I c.p.c.,cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali,degli articoli codicistici o di altri testi normativi, comportando invece l'esigenza di una chiara esposizione, nell'ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell'impugnante e stabilire se la stessa,così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all'art. 360 citato . Tali precetti non sono stati rispettati. Con le argomentazioni formulate a sostegno del motivo si censura in modo formalmente indistinto la valutazione delle risultanze processuali operata dalla Corte di merito su tutte le questioni sopra elencate, contrapponendovi le proprie considerazioni di senso contrario e sollecitandone in sostanza una rilettura. Il riesame del merito delle valutazioni compiute dal giudice d'appello è tuttavia estraneo al giudizio di legittimità, che solo può sindacare la correttezza della motivazione posta a sostegno del decisum. Nel ricorso non vengono però evidenziate specifiche lacune motivazionali relative ad elementi decisivi al fine di determinare una diversa valutazione, ma si sollecita una rilettura complessiva dell'intera vicenda o la valorizzazione di circostanze che legittimamente non sono state ritenute decisive. L' intitolazione del motivo poi ha riguardo non alla motivazione, ma all'interpretazione della normativa che regola il procedimento disciplinare richiamandosi il vizio previsto dall'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., ma non sono formulati specifici e conferenti quesiti di diritto. L'unico riferimento concreto contenuto nell'intitolazione del motivo attiene peraltro ad una circostanza, l'affissione del codice disciplinare, che è stata oggetto di puntuale disamina nella motivazione della Corte d'Appello, che ha valorizzato il contenuto dell'interrogatorio reso dalla stessa lavoratrice in fase cautelare. 7. Il ricorso deve quindi essere respinto. Le spese processuali del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei criteri previsti dal DM 140 del 2012, che si applica, a mente del suo art. 41, alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore e quindi al 23.8.2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.500,00 per compensi professionali ed € 100,00 euro per esborsi, oltre IVA e CPA.