La Corte di Cassazione, nel ribadire che non è possibile nel processo penale per la parte privata avvalersi della posta elettronica certificata - per il deposito degli atti o per la trasmissione degli atti alle altre parti -e che l’istanza di rimessione deve essere necessariamente notificata alle altre parti entro sette giorni dal suo deposito, ha avuto modo di considerare i presupposti per la rimessione del processo ex articolo 45 c.p.p
Sul tema la prima sezione penale con la sentenza numero 41990/18 depositata il giorno 26 settembre. Interpretazione. L’interpretazione di tale norma, che certamente costituisce una deroga alla disposizione generale, determinante la competenza territoriale, è sempre stata di difficile interpretazione. Se, da un lato, non è ammissibile, in ossequio a basilari canoni ermeneutici, applicare analogicamente la disposizione in questione, è però altrettanto vero che i suoi riferimenti sono piuttosto generici e che la stessa trova difficile applicazione, com’è normale che sia. Non vi è dubbio, del resto, che la notizia della commissione di un reato efferato o comunque che commuove la comunità non può non avere un risvolto ed una eco sociale. Inoltre, il processo penale, in genere, è pubblico non solo perché gestito da organi pubblici, ma perché permette la partecipazione del pubblico e dunque una sua manifestazione pubblica ed un suo giudizio pubblico. Se non che la storia - non solo giudiziaria - dimostra che in talune circostanze la pressione “sociale” o comunque locale è tale che chi è chiamato a partecipare al processo ed in modo particolare chi deve svolgere la funzione giurisdizionale può esserne influenzato in senso pregiudizievole specialmente per l’imputato. La giurisprudenza ritiene – e non capziosamente – che il giudice debba essere inteso non tanto il singolo giudice chiamato a giudicare quanto l’intero ufficio giudicante su base territoriale. Ciò spiega perché i casi in questione sono oggettivamente difficilissimi da aversi e soprattutto da provarsi se non in situazioni eclatanti e palesi. Requisiti. Se non che, al di là della prova, è indispensabile che l’allegazione abbia almeno due requisiti essenziali uno è l’attualità del pericolo lamentato il secondo che tale pericolo sia concreto, effettivo e non opinabile. Mancando uno dei due elementi in questioni, l’istanza di rimessione è e non può che essere totalmente infondata. Ciò detto, però, la Corte ha voluto evidenziare un aspetto piuttosto interessante non può ritenersi che una forte mobilitazione protesa a chiedere giustizia o l’eventuale turbativa di una o più udienze possano giustificare di per sé un legittimo sospetto. Ciò in quanto tali evenienze, a ben vedere, sono del tutto fisiologiche ad ogni processo particolarmente sentito a livello locale, come sopra evidenziato, e lo stesso principio, che individua il giudice naturale nel giudice del locus commisi delicti, testimonia l’assunto. Insomma, non ci si può limitare a dedurre la risonanza mediatica e sociale di un processo, per poter richiedere un suo spostamento in un luogo lontano dopo tutto, se così non fosse, di regola non potrebbe che celebrarsi un processo segreto e questo sì costituirebbe un serio pericolo per la giustizia.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 11 giugno – 26 settembre 2018, numero 41990 Presidente Sarno – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Nell’interesse di C.M. , P.P. e F.M. , imputati, in concorso tra loro e con C.F. , dell’omicidio volontario aggravato di M.E. , veniva presentata, in sede di udienza preliminare davanti al G.U.P. del Tribunale di Frosinone, istanza di rimessione del processo ai sensi dell’articolo 45 cod. proc. penumero . Adducevano gli istanti che la vicenda, se a livello dei mass media nazionali aveva occupato uno spazio del tutto compatibile con l’ordinario diritto di cronaca, nel contesto locale aveva avuto ben altra rilevanza, costituendo oggetto di una vera e propria campagna di giustizialismo sfociata in diverse manifestazioni collettive, oltre che nell’ambito dei più comuni social network. In particolare, non erano mancate minacce di morte dirette agli imputati e ai loro familiari, pressioni e minacce nei confronti di alcuni soggetti escussi a s.i.t. fra i quali PE.El. , come dimostrato dalle intercettazioni in atti. In previsione dell’udienza preliminare, inoltre, comitati dalla denominazione omissis , attraverso l’affissione di manifesti e striscioni, dislocati in vari punti delle città di Frosinone ed Alatri, avevano indetto una manifestazione davanti al Tribunale di Frosinone, rappresentando un sentimento popolare di giustizia che poneva indubbie problematiche in relazione alla serenità e imparzialità dell’organo giudicante, non solo in relazione alla fase dell’udienza preliminare, ma anche e soprattutto don riguardo alla eventuale celebrazione della fase dibattimentale del processo dinanzi alla Corte di Assise, coinvolgente una giuria popolare suscettibile di essere condizionata dalla persistenza di tali manifestazioni. Il medesimo timore poteva essere espresso per tutti coloro che sarebbero stati chiamati a prendere parte al processo in qualsiasi veste diversa da quella giudicante. 2. Il Giudice adito disponeva l’immediata trasmissione della richiesta di rimessione a questa Corte di Cassazione, sospendendo il processo. 3. L’istanza, in esito all’esame preliminare condotto dal Magistrato addetto all’Ufficio Spoglio di questa Prima sezione penale, veniva assegnata alla Settima sezione penale, con successiva fissazione dell’udienza per la data del 19.4.2018. 4. Nelle more, perveniva una memoria del difensore delle parti civili costituite depositata il 7.3.2018 presso la cancelleria della Settima sezione . Con essa si chiedeva, sul piano formale, di dichiararsi l’inammissibilità dell’istanza di rimessione in quanto illegittimamente trasmessa a mezzo PEC alle parti e alla cancelleria del G.U.P., mentre l’originale dell’istanza era stato depositato il giorno successivo davanti al Giudice e allegato al verbale dell’udienza preliminare. Nel merito, si assumeva l’infondatezza dei presupposti della rimessione, non costituendo le locali campagne di stampa, tra l’altro limitate nel caso di specie, e le manifestazioni di piazza di per sé elementi di turbativa dello svolgimento del processo idonei a giustificarne lo spostamento in altra sede. L’asserita campagna di giustizialismo , cui si alludeva nell’istanza di rimessione, altro non era che anelito di giustizia invocato da familiari ed amici di E. , legittima espressione del diritto di manifestazione del pensiero. Le manifestazioni collettive, oltre che non attuali, erano state organizzate da istituzioni cittadine e religiose all’indomani dell’omicidio e nella ricorrenza del semestre dalla morte del M. , per riaffermare la distanza che separa la società civile da simili condotte violente. Ad eventuali minacce, al momento solo paventate, si sarebbe posto rimedio con gli ordinari mezzi di tutela apprestati dalle Forze dell’Ordine. Pochi manifesti e qualche striscione, peraltro localizzati nella zona dove il M. era nato e cresciuto, con i quali si invocavano giustizia e pene esemplari per i colpevoli, non potevano ritenersi sufficienti a creare quel grave turbamento per l’ordine pubblico cui la norma subordina l’accoglimento dell’istanza di rimessione, sia perché limitati a pochi soggetti, sia perché palesemente inidonei a condizionare seriamente chiunque, essendo generici ed esprimendo delle petizioni di principio. 5. In data 23.3.2018 venivano depositate, con allegati, note difensive nell’interesse di C.M. e P.P. con richiesta di assegnazione del procedimento ad altra Sezione. Richiamate le considerazioni già svolte nell’istanza e aggiunto il riferimento alla manifestazione tenutasi in Frosinone nel giorno dell’udienza preliminare, nonché all’aggressione subita, poco dopo il delitto, da alcuni avvocati del Foro di Frosinone che avevano inizialmente assunto l’incarico e che poi erano stati costretti, a causa dell’aggressione e delle minacce, a rinunciare al mandato, i difensori dei due imputati censuravano l’affermazione di manifesta infondatezza della richiesta e la conseguente assegnazione della stessa alla Settima sezione, reputando che essa fosse il frutto di una lettura superficiale del quadro prospettato che non aveva tenuto adeguatamente conto del contesto ambientale in cui avrebbe dovuto essere celebrato il processo a carico degli imputati. Nella specie, infatti, la grave situazione locale appariva pienamente configurata, riscontrandosi tanto il carattere dell’attualità quanto della concretezza del pregiudizio dunque, un quadro non solo potenzialmente idoneo a creare turbative nel processo di accertamento dei fatti, ma concretamente capace di incidere sul regolare svolgimento della fase dibattimentale. 6. In esito all’udienza camerale del 19.4.2018, il Collegio della Settima sezione penale, ritenuto che non sussistesse alcuna causa di inammissibilità del ricorso come rilevata in sede di esame preliminare del procedimento, ordinava rimettersi gli atti alla Prima sezione penale, competente secondo i criteri tabellari. Considerato in diritto 1. L’istanza va dichiarata inammissibile per le ragioni che seguono. 1.1. Occorre, in primo luogo, soffermarsi sul profilo d’inammissibilità discendente dalle modalità di trasmissione dell’istanza alle altre parti e alla cancelleria del Giudice procedente, nel concreto eseguita a mezzo di posta elettronica certificata. Va, al riguardo, subito ribadito il condivisibile principio, di recente affermato da questa Corte, in base al quale, nel processo penale, non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell’articolo 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, numero 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, numero 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex articolo 151 cod. proc. penumero e per le notificazioni ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria Sez. 4, numero 21056 del 23/1/2018, D’Angelo, Rv. 272741 . 1.1.1. Invero, in tema di utilizzo dalla parte privata del mezzo della posta elettronica certificata PEC per le comunicazioni endoprocedimentali, la giurisprudenza di legittimità appare, allo stato, orientata ad un riconoscimento limitato a ben definite ipotesi, tra le quali non si colloca quella che qui si affronta. Distinguendo i due ambiti del processo civile e del processo penale, si è, condivisibilmente, sostenuto che la previsione dell’articolo 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, numero 179 recante Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese , cd. Decreto Crescita 2.0 , convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, - a mente del quale Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria - non consenta di attribuire alla parte privata, nel processo penale, la facoltà di fare ricorso a tale mezzo informatico di trasmissione quale forma di comunicazione e/o di notificazione. La forma della notifica via PEC, per tale interpretazione, appare quale forma derogatoria dell’ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari Sez. 3, numero 7058 del 11/2/2014, Vacante, Rv. 258443 conformi Sez. 1, numero 18235 del 28/1/2015, Livisianu, Rv. 263189 Sez. 2, numero 31314 del 16/5/2017, P., Rv. 270702 . In altri termini, le disposizioni appena rammentate si indirizzerebbero alla sola A.g., disciplinando il ricorso alla PEC da parte di questa. Coerentemente a tale indicazione, anche con riferimento al deposito della lista testimoniale, Sez. 3, numero 6883 del 26/10/2016, dep. 14/02/2017, Manzi, Rv. 269197 ha ritenuto l’inammissibilità di esso ove eseguito mediante l’uso della posta elettronica certificata ciò in quanto, in assenza di una espressa norma derogatoria - prevista invece per il giudizio civile dall’articolo 16-bis D.L. 18 ottobre 2012, numero 179, convertito con modifiche in legge numero 221 del 2012 - il deposito della lista testimoniale non può essere effettuato con modalità diverse da quelle prescritte dall’articolo 468, comma primo, cod. proc. penumero a pena di inammissibilità. Anche per la presentazione di memorie nel giudizio di cassazione è stato affermato che essa non è ammissibile ove eseguita mediante l’uso della posta elettronica certificata, in quanto non può ritenersi estesa a tale giudizio la facoltà di deposito telematico di atti, in assenza del decreto previsto dall’articolo 16-bis, comma sesto, D.L. 18 ottobre 2012, numero 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, numero 221, ed in considerazione dell’espressa limitazione ai procedimenti innanzi al tribunale ed alla corte di appello prevista dal comma 1-bis della medesima norma Sez. 2, numero 31336 del 16/05/2017 - dep. 22/06/2017, P.M. in proc. Silvestri, Rv. 270858, sulla medesima linea espressa da Sez. 3, numero 48584 del 20/9/2016, Cacciatore, Rv. 268192 . Giova precisare che il menzionato comma 1-bis limita, comunque, l’ambito di applicazione della propria disposizione ai procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione. Manca, dunque, nel processo penale, a differenza di quanto previsto per il procedimento civile, una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte. Invero, il prima menzionato D.L. numero 179/2012 ha introdotto e disciplinato l’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo ma non ha disciplinato il deposito degli atti di parte. Del resto, mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è sostanzialmente ormai concluso, in quello penale esso non è stato neppure avviato, sicché, coerentemente, alla parte privata non è consentito l’uso del mezzo informatico in argomento per la trasmissione dei propri atti ad altre parti nè per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex articolo 151 cod. proc. penumero e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, giudice o pubblico ministero che sia. Ulteriore argomento a sostegno della tesi maggioritaria condivisa dal Collegio è, poi, rinvenibile nella inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti Sez. 4, numero 21056/2018, cit. . Infine, va sottolineato che l’articolo 2, comma 6, D.P.R. 11 febbraio 2005, numero 68 cd. Codice digitale lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongano operante il processo telematico sicché, ove questo non sia instaurato, appare erroneo ipotizzare l’applicazione di talune delle norme che nella volontà del legislatore si inscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali. Deve, pertanto, ribadirsi che, in assenza di norma specifica che consenta nel sistema processuale penale alle parti il deposito di atti in via telematica, è inammissibile la trasmissione dell’istanza di rimessione del processo a mezzo di Posta Elettronica Certificata, trattandosi di modalità allo stato non consentita dalla legge. 1.2. Un secondo profilo d’inammissibilità discende dal mancato rispetto delle formalità mediante le quali, dopo il primo irrituale invio a mezzo PEC del 15.2.2018, è stata effettuata la notifica dell’istanza di rimessione alle altre parti. Secondo il costante orientamento espresso da questa Corte, che il Collegio condivide appieno, la notifica alle altre parti della richiesta di rimessione del processo, entro sette giorni dal deposito articolo 46, comma primo, cod. proc. penumero , costituisce una condizione indefettibile di ammissibilità della stessa, che non consente equipollenti, sicché, in mancanza di essa, l’istanza deve dichiararsi inammissibile. Il relativo onere non viene meno allorché il Giudice, presso la cui cancelleria è stata presentata l’istanza, l’abbia trasmessa in visione al Pubblico ministero, ovvero allorché la stessa sia stata soltanto depositata all’udienza, e non successivamente notificata alle altre parti Sez. U, numero 6925 del 12/5/1995, Romanelli, Rv. 201300 Sez. 1, numero 56 del 9/1/1996, Farassino, Rv. 203888 Sez. 1, numero 2174 del 3/4/1996, Ridolfo, Rv. 204895 Sez. 2, numero 45333 del 28/10/2015, Di Napoli, Rv. 264960 . Nel caso di specie, gli interessati, dopo aver irritualmente inviato l’istanza a mezzo PEC alle altre parti in data 15.2.2018, il giorno successivo, all’inizio dell’udienza preliminare davanti al Giudice del Tribunale di Frosinone, si sono limitati a depositare l’originale dell’istanza di rimessione, dando atto dell’invio telematico effettuato il giorno prima, non risultando dal verbale di udienza in atti che, dopo il deposito davanti al G.U.P., l’istanza sia stata notificata in copia, come previsto dal codice di rito, alle altre parti. Tale omissione determina, come detto, l’inammissibilità dell’istanza. 1.3. L’ultima ragione di inammissibilità si rinviene nella mancanza dei presupposti della rimessione del processo nel caso di specie. 1.3.1. Non è superfluo ricordare che l’istituto della rimessione, nella cornice delle regole sulla competenza dettate dal legislatore tenendo conto, in via prioritaria, dei principi costituzionali in tema di naturalità, precostituzione legale e imparzialità del giudice articolo 25, comma 1, e 111 Cost. , è un istituto volto a correggere o ad eliminare situazioni processuali patologiche gravi motivi di ordine pubblico e, soprattutto, legittimo sospetto che riguardano non già il singolo giudice persona fisica, ma l’ufficio giudiziario nel suo complesso e impongono, proprio a tutela dell’imparzialità del giudice, uno spostamento del processo allorquando si delineino peculiari situazioni perturbative del fisiologico rapporto tra l’ufficio medesimo e l’ambiente circostante. Il trasferimento del processo dalla sua sede naturale, sia pure come extrema ratio, deve essere disposto quando il clima esterno è idoneo ad incidere sul sereno svolgimento del processo, ponendo a rischio la correttezza della decisione. Nella rimessione vengono, quindi, in gioco due principi quello d’imparzialità del giudice e quello del giudice naturale. L’imparzialità, garantita attraverso la soggezione del giudice soltanto alla legge, è un principio informatore del sistema, una qualifica connaturata all’essere giudice. La legge costituzionale 23 novembre 1999, numero 2, nel novellare l’articolo 111 Cost., ha riaffermato il valore irrinunciabile della terzietà e imparzialità del giudice - intesa come neutralità rispetto al risultato - quale precondizione di un giusto processo, in assenza della quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato Corte Cost., sentenza 1 ottobre 1997, numero 306 . Nella rimessione, tra il principio d’imparzialità e quello di naturalità del giudice prevale il primo, pur essendo incontestabile che il principio del giudice naturale impone la tassatività e la determinatezza delle ipotesi di rimessione per evitare ogni manipolazione - attraverso il mutamento del giudice - sull’esito del processo. Si può, quindi, affermare che l’istituto della rimessione implica una deroga alla competenza territoriale, imposta dalla necessità di garantire un sereno svolgimento del processo, costituente, a sua volta, la precondizione per assicurare, almeno in astratto, l’affidabilità del suo esito. 1.3.2. Così inquadrato, l’istituto della rimessione ha natura eccezionale, attesa la sua natura derogatoria rispetto al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, a sua volta finalizzato ad assicurare non solo la prevedibilità del giudice, ma anche la non manipolabilità a posteriori della competenza Sez. 1, numero 1952 del 10/3/1997 Sez. 1, numero 4462 del 20/9/1995 Sez. 1, numero 740 del 7/2/1995 . L’eccezionalità si coglie tenendo conto del fatto che, in tanto con la rimessione si deroga alla competenza territoriale e, quindi, al principio del giudice naturale precostituito per legge, in quanto vi siano motivi gravi motivi di ordine pubblico, o gravi situazioni locali per sospettare il giudice di non essere imparziale. La natura eccezionale dell’istituto della rimessione è stata messa in luce anche nella vigenza del codice di rito abrogato, dalla giurisprudenza e dalla dottrina sotto un altro profilo, laddove è stato evidenziato che il giudice non imparziale o sospetto di non esserlo non è il giudice o non è soltanto il giudice del processo, ma è, per definizione, l’organo giudicante nel suo complesso e che i fattori inquinanti l’imparzialità debbono riverberarsi sull’intero ufficio giudiziario astrattamente considerato, non su singoli magistrati o su un singolo organo in cui si articoli l’ufficio giudiziario stesso Sez. 1, numero 1125 del 23/2/1998 Sez. 1, numero 5682 del 13/10/1997 Sez. 1, numero 1952 del 10/3/1997 Sez. 1, numero 848 del 25/2/1993 . 1.3.2.1. Dal carattere eccezionale dell’istituto discende, come indefettibile corollario, l’interpretazione restrittiva delle norme che lo disciplinano e ciò proprio perché le stesse incidono in maniera significativa sulle regole attributive della competenza inerenti alla precostituzione del giudice naturale articolo 25 Cost. . L’evidente portata derogatoria assunta dall’istituto della rimessione di fronte al principio enunciato nell’articolo 25, comma 1, Cost., postula, quindi, un approccio esegetico rigoroso, che impone di considerare tassative - e, dunque, soggette ad un criterio di stretta interpretazione le fattispecie legittimanti il trasferimento del processo. 1.3.3. Nell’attuale versione normativa, la gravità della situazione locale rappresenta l’imprescindibile requisito condizionante l’intero meccanismo derogatorio ai criteri di competenza territoriale che acquisisce valore prioritario, lasciando fuori ciò che è avvenuto nell’ambito del processo. Per grave situazione locale che può determinare la rimessione deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale e riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge, connotato da tale abnormità e consistenza da dover essere ritenuto idoneo ad incidere in modo oggettivo e rilevante sulla serenità funzionale del giudice e destinato a costituire un concreto pericolo Sez. U., numero 13687 del 28/1/2003, Berlusconi e altri, Rv. 223643 tra le più recenti, v. Sez. 2, numero 55328 del 23/12/2016, Mancuso e altri, Rv. 268531 Sez. 6, numero 17170 dell’1/3/2016, Colucci, Rv. 267170 Sez. 3, numero 23962 del 12/5/2015, Bacci ed altri, Rv. 263952 per la imparzialità del giudice - inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito - e fonte di possibile pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo, sicché il turbamento non possa essere altrimenti eliminabile che tramite un provvedimento radicale, quale il trasferimento del processo. In tal senso, i comportamenti del giudice ed i provvedimenti da questo assunti rilevano solo in quanto dipendano dalla situazione esterna ed assumano valore sintomatico di una mancanza di imparzialità dell’intero ufficio giudiziario. 1.3.3.1. L’articolo 45 cod. proc. penumero , così come modificato dalla L. 7 novembre 2002, numero 248, articolo 1, attribuisce rilievo alle situazioni locali sotto tre profili alternativi pregiudizio per la libera determinazione delle persone che partecipano al processo pregiudizio per la sicurezza o l’incolumità pubblica motivi di legittimo sospetto. Il pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo consiste nel condizionamento che queste persone subiscono, in quanto soggetti passivi di vera e propria coartazione fisica o psichica che incide sulla loro libertà morale, imponendo una determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità, precludendone altre di segno contrario. Il legittimo sospetto è, invece, costituito dal ragionevole dubbio che la gravità di un’obiettiva situazione locale giustifichi la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice - inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito - e possa portare quest’ultimo a non essere, comunque, imparziale o sereno, dovendosi intendere come già in precedenza chiarito per imparzialità la neutralità del giudice rispetto all’esito del processo. Va, ulteriormente, precisato che connotato del sospetto deve essere la legittimità , così da ancorarne la ricorrenza solo in presenza di dati obiettivi e concreti che consentano di asserire il venir meno della imparzialità del giudice che, con la sua naturalità, assicura il giudice giusto i motivi di legittimo sospetto sono, pertanto, configurabili quando si è in presenza di una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito. Da tanto discende che la nozione di legittimo sospetto è più ampia rispetto alla formula libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo , in quanto pone l’accento sull’effetto, cioè sul pericolo concreto che possano essere pregiudicate la imparzialità o la serenità, e non richiede che quell’effetto sia conseguenza della impossibilità per il giudice di essere imparziale per essere stato coartato fisicamente o psichicamente. Oggetto di tutela non è un’imparzialità imposta da un prestigio meramente formale riferito alla magistratura, occorrendo, al contrario, assicurare un’imparzialità sostanziale che può essere messa in pericolo quando la pressione dell’ambiente sui giudici appare, ad un osservatore esterno, idonea a comprometterne la serenità della decisione. Mere patologie interne al processo, ove non iscritte in un quadro ambientale connotato dalla presenza di una grave situazione locale autonomamente accertata, non possono legittimare l’eccezionale rimedio della rimessione del processo. 1.3.4. Valutata alla stregua dei principi e dei criteri di rigorosa interpretazione esegetica sinora illustrati, la richiesta di rimessione deve ritenersi manifestamente infondata. 1.3.4.1. Non sussiste, innanzitutto, nella specie, il necessario presupposto della grave situazione locale , che i richiedenti ancorano, in primo luogo, alla campagna di giustizialismo sfociata in diverse manifestazioni collettive, oltre che nell’ambito dei più comuni social network , accompagnata dalla pretesa di condanne esemplari da parte dei familiari delle vittime e di alcuni settori dell’opinione pubblica, capaci di ingenerare un clima di tensione e di prevenzione atto ad influire sull’animo dei giudici. I richiedenti, inoltre, per giustificare la rimessione, fanno riferimento a presunte minacce di morte dirette nei loro confronti e nei confronti dei familiari, nonché a pressioni e minacce rivolte ad alcuni soggetti escussi a s.i.t. come nel caso di PE.El. e ad avvocati difensori. 1.3.4.1.1. Giova osservare, quanto al primo profilo, che non appaiono pertinenti i richiami effettuati dagli interessati alle iniziative assunte dal Comitato omissis in previsione dell’udienza preliminare del 16.2.2018. Anche a voler prescindere dal rilievo che in alcun modo è stato dimostrato che quella fra l’altro, unica iniziativa abbia creato una qualche concreta turbativa all’ordinato svolgimento dell’udienza preliminare - né alcunché risulta dal già citato verbale di udienza non può di certo ritenersi che la libera espressione del pensiero e l’adozione delle iniziative consentite dall’ordinamento per esprimerle, al fine di sensibilizzare gli organi d’informazione e la coscienza critica dell’opinione pubblica su una vicenda di rilievo non solamente locale costituiscano, in quanto tali, altrettante forme di condizionamento oggettivo e rilevante dell’esercizio sereno ed imparziale della funzione giudiziaria, idonee a giustificare lo spostamento della celebrazione di un processo dalla sede naturale così opinando, significherebbe prospettare una lettura dell’articolo 45 cod. proc. penumero inconciliabile con il quadro di riferimento costituzionale articolo 21, 17 e 40 Cost. e alterare il fisiologico rapporto dialettico, insito in ogni democrazia evoluta, tra collettività, istituzioni e funzione giudiziaria in un contesto socio-culturale sempre più connotato da esigenze di conoscenza e dall’accresciuta consapevolezza dei diritti del cittadino sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si sviluppa la sua personalità. 1.3.4.1.2. Quanto al secondo profilo, va rimarcato che la situazione ambientale idonea a configurare la tipica fattispecie di rimessione ad altra sede ai sensi dell’articolo 45 cod. proc. penumero , deve essere, oltre che concreta, effettiva e non opinabile, anche di incontrovertibile attualità e tale da non essere superabile se non con il trasferimento del processo ad altro ufficio giudiziario Sez. 1, 7 ottobre 2014, numero 52976 . Nel caso in esame, gli accadimenti richiamati dai richiedenti a sostegno della loro domanda si riferiscono, da un lato, a presunte minacce subite dagli imputati, dai loro familiari e dai difensori, che non risultano minimamente circostanziate e dimostrate, dall’altro a supposte pressioni esercitate nei confronti di testimoni, del tutto genericamente dedotte in base a non esplicitate interpretazioni di materiale intercettativo, oltretutto risalente a un anno fa le conversazioni coinvolgenti la teste PE.El. , e delle s.i.t., di cui viene allegato un brano parziale, rese, sempre un anno fa, da M.M. , sorella della vittima. Sotto questo profilo, non può ritenersi fondato l’assunto dei richiedenti che ravvisano l’attualità della grave situazione locale nelle potenzialità lato sensu inibitorie o risolutrici del processo penale che sarebbe stato caricato dal tessuto sociale di aspettative repressive e, quindi, di un valore quasi simbolico. È evidente il vizio dell’argomentazione che, muovendo da indimostrate inferenze totalizzanti, valorizza una logica presuntiva e dubita dell’imparzialità di un intero ufficio giudiziario non sulla base di fatti obiettivamente dimostrati, ma di sostanziali congetture o interpretazioni personali che, per quanto detto sopra, non hanno trovano riscontro in circostanze obiettive. 2. Le richieste vanno, in conclusione, dichiarate inammissibili e ciascun richiedente va condannato, ai sensi dell’articolo 48, comma sesto, cod. proc. penumero , al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 duemila alla Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile l’istanza di rimessione e condanna gli imputati istanti al pagamento delle spese processuali e, inoltre, ciascuno di essi, al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.