Come può il lavoratore rinunciare alla CIG?

Tra i diritti indisponibili debbono ricomprendersi quelli di natura retributiva, anche accessoria, purché non si tratti di emolumenti derivanti da una pattuizione individuale del lavoratore, pertanto la presunta rinuncia alla CIG può avere efficacia legale solo se formalizzata nelle sedi conciliative previste ex lege.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 12934/2018, depositata il 24.5.2018. Quando le e-mail sono poco chiare Un lavoratore conveniva in giudizio d’urgenza il datore di lavoro che non gli aveva consentito di usufruire della Cassa Integrazione Guadagni con conseguente beneficio connesso agli ammortizzatori sociali in deroga. La società datrice di lavoro giustificava l’esclusione del lavoratore sostenendo che quest’ultimo avesse manifestato il proprio disinteresse alla proroga della Cassa, in quanto pienamente consapevole dell’impossibilità di rientrare al lavoro. La manifestazione della volontà avrebbe avuto luogo via e-mail secondo l’azienda, il lavoratore aveva comunicato via e-mail la sua intenzione di non usufruire della Cassa e l’azienda – “cogliendo la palla al balzo” - l’aveva prontamente escluso. Invero, la comunicazione e-mail non era così chiaral lavoratore infatti non era in assoluto contrario alla Cassa, anzi, si dimostrava propenso ad usufruire degli ammortizzatori sociali. La questione sottoposta ai Giudici sia di merito che di legittimità non riguarda l’interpretazione della volontà del lavoratore, quanto piuttosto l’idoneità di una mera comunicazione e-mail a porre in essere una rinuncia ad un diritto indisponibile retribuzione in CIG . I Giudici di merito hanno quindi valutato se la descritta comunicazione e-mail, travisata e , quindi, successivamente “impugnata” con ricorso ex articolo 700 c.p.c. potesse essere idonea a realizzare la rinuncia oppure no, propendendo per la soluzione positiva con l’e-mail il lavoratore aveva manifestato di pieno diritto la sua rinuncia alla proroga della Cassa Integrazione Guadagni. La questione, su impulso del lavoratore, giunge quindi agli Ermellini che, con la sentenza in commento, dichiarano il ricorso inammissibile in quanto carente di specifiche censure, ma non si esimono dal dare indicazioni nomofilattiche sull’articolo 2113 c.c. e sul diritto a rinunciare ai trattamenti retributivi. Si può rinunciare alla Cassa Integrazione Guadagni? E come? Per rispondere a questi interrogativi la Corte di Cassazione parte da un punto fermo, ossia da un principio di diritto talmente consolidato e noto da non poter essere messo in discussione tra i diritti indisponibili rientrano tutti i diritti di natura retributiva, anche accessoria, salvo si tratti di emolumenti derivanti da una pattuizione speciale ed individuale del lavoratore. La Cassa Integrazione Guadagni è un ammortizzatore sociale che ha – indiscutibilmente – natura retributiva, pertanto la sua rinuncia può , sì, avere luogo, ma non liberamente! Si può rinunci alla Cassa are solo nelle sedi conciliative previste ex lege, ossia nelle sedi c.d. protette, ove il processo volitivo del lavoratore è accompagnato e , quindi, tutelato. Ne consegue che, la rinuncia alla Cassa espressa tramite comunicazione e-mail, peraltro sibillina, non può in alcun modo configurare una rinuncia di pieno diritto, tanto più che il CCNL applicabile prevede che il recesso dalla procedura di mobilità debba essere richiesto mediante lettera raccomandata a.r Secondo gli Ermellini, quindi, la Corte territoriale aveva errato nel conferire efficacia e valore legale ad una presunta dichiarazione di rinuncia avente ad oggetto un diritto indisponibile, esternata al di fuori delle sedi conciliative previste ex articolo 2113 c.c. e suscettibile come tale di annullamento giudiziale. Ma v’è di più, a chiosa del proprio ragionamento, la Corte di Cassazione ricorda che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in una conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell’applicazione dell’art 2113 cod. civ., con conseguente irrilevanza degli eventuali vizi formali del relativo procedimento, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art 2113 c.c Nel caso di specie, quindi, la comunicazione e-mail contenente la paventata rinuncia non aveva alcun valore legale e pertanto non avrebbe ex se legittimato l’esclusione del lavoratore dalla Cassa. La rinuncia alla Cassa Integrazione Guadagni, infatti, per essere valida, avrebbe dovuto avere luogo in sede protetta con la conseguenza che, successivamente, non avrebbe potuto essere impugnata per vizi, stante l’applicabilità dell’articolo 2113 c.c

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 24 maggio 2018, numero 12934 Presidente Napoletano – Relatore Arienzo Fatti di causa 1. La Corte di appello di Lecce rigettava l’appello proposto da A.D. avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva respinto l’impugnativa di licenziamento intimato al predetto con lettera del 1.1.2010 per giustificato motivo oggettivo, individuato dalla società s.p.a. nella crisi economica e nella conseguente soppressione della posizione lavorativa di addetto all’area commerciale della Puglia. 2. La doglianza del lavoratore secondo cui l’azienda non gli aveva consentito di usufruire della proroga della Cassa Integrazione Guadagni con conseguente beneficio connesso agli ammortizzatori sociali in deroga, come avvenuto per altri dipendenti, era disattesa dalla Corte territoriale sul rilievo che l’appellante aveva a suo tempo manifestato il proprio disinteresse per la proposta di proroga della CIG proveniente dalla società, essendo lo stesso ben consapevole del fatto che non vi erano effettive possibilità di rientro al lavoro. 3. Veniva, in particolare, evidenziato dal giudice del gravame che la manifestazione di volontà in ordine alla proposta di proroga della CIG assumeva la portata di un atto di disposizione del rapporto che non ricadeva nella previsione dell’articolo 2113 c.c., dovendo considerarsi rinunce impugnabili ai sensi dell’indicato articolo quelle afferenti a diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo, laddove non atteneva a diritti indisponibili la scelta del lavoratore di non aderire alla proroga di CIG e di andare incontro alla reimmissione sul mercato del lavoro conseguente a quella stessa crisi che alla CIG aveva condotto. 4. Inoltre, quand’anche fosse stata ritenuta applicabile la disposizione di cui all’articolo 2113 c.c. e tempestiva l’impugnazione della rinunzia, implicitamente contenuta nel ricorso ex articolo 700 cpc, la manifestazione di volontà dell’A. era ritenuta esente da alcun vizio del consenso, così come la risoluzione del rapporto conseguita alla indisponibilità alla CIG era valutata come legittima, emergendo la insussistenza delle condizioni economiche aziendali necessarie per la conservazione del posto dal fatto che la , nel mese di giugno 2009, per la consistente perdita di clientela, aveva avuto accesso alla CIG per 5 dipendenti e nessuna utile indicazione avendo fornito l’appellante sulle effettive possibilità di repechage. 5. Di tale decisione domanda la cassazione l’A. , affidando l’impugnazione ad unico motivo - illustrato nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. - cui non ha opposto difese la società, rimasta intimata. Ragioni della decisione 1. Si denunzia violazione degli articolo 2113 e 1427 e ss. c.c., nonché erronea interpretazione della normativa speciale in materia di Cassa integrazione guadagni ed in particolare della L. 164 del 20.5.1975, sostituita dal d.lgs. 148/2015, nonché dell’articolo 19 D.L. 29.11.2008, conv. dalla L. 33/2009, nullità della sentenza per violazione dei principi di cui all’articolo 115 e ss. c.p.c. e dell’articolo 1427 c.c. nell’ambito del procedimento di valutazione delle prove, ritenendosi che la soluzione interpretativa fornita dalla Corte territoriale strida con il consolidato orientamento di legittimità in virtù del quale, tra i diritti indisponibili, debbono ricomprendersi quelli di natura retributiva anche accessoria, purché non si tratti di emolumenti derivanti da una pattuizione individuale del lavoratore. Si sostiene che, vertendosi nel campo dei diritti indisponibili, la presunta rinuncia alla CIG contenuta nella comunicazione via e-mail non poteva assumere alcun valore giuridico ed efficacia legale, perché non formalizzata nelle sedi conciliative ex lege previste e tempestivamente impugnata dal ricorrente. Peraltro, si assume che il tenore letterale della dichiarazione resa in detta comunicazione smentisca l’assunto della Corte territoriale e confermi che il ricorrente non era contrario, bensì propenso a poter continuare a fruire degli ammortizzatori sociali, tra i quali rientrava la procedura di mobilità con indennizzo ex lege 223/91, senza considerare che il CCNL di riferimento prevedeva che il recesso dovesse essere comunicato per iscritto con racc. a. r 2. Si ritiene, pertanto, che la Corte territoriale abbia errato laddove ha ritenuto di conferire valore ed efficacia legale ad una presunta dichiarazione di rinunzia avente ad oggetto un diritto indisponibile, quale quello alla retribuzione maturata nelle more della sospensione dell’attività produttiva, esternata al di fuori delle sedi conciliative previste dall’articolo 2113 c.c. e suscettibile come tale di annullamento giudiziale. 3. La sentenza è fondata su una doppia ratio decidendi, posto che nella stessa, anche con riferimento all’ipotesi, non condivisa, che si assumesse come applicabile la norma di cui al’articolo 2113 c.c., si era evidenziato come la risoluzione del rapporto conseguita alla indisponibilità alla C.I.G. non era illegittima, essendo stata desunta l’insussistenza delle condizioni economiche aziendali necessarie per la conservazione del posto di lavoro dell’appellante dal fatto che la spa, nel mese di giugno 2009, in ragione di una consistente perdita di clientela, aveva avuto accesso alla C.I.G. per cinque dipendenti aventi la stessa qualifica dell’A. ed essendo stato, altresì, rilevato che nessuna indicazione quest’ultimo aveva fornito sulle possibilità di repechage all’epoca del licenziamento. Quindi, in mancanza di impugnazione di tale ulteriore ratio decidendi, e non dolendosi nella presente sede il ricorrente neppure della violazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio in tema di repechage, deve pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Al riguardo deve, invero, richiamarsi quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza o un capo di questa che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato cfr., in tal senso, Cass. sez. lav., 18.5.2006 numero 11660 Cass. 8.8.2005 numero 16602 Cass. 8.2.2006 numero 2811 Cass. 22.2.2006 numero 3881 Cass. 20.4.2006 numero 9233 Cass. 8.5.2007 numero 10374 Cass. sez. I 14.6.2007 numero 13906, conf. a Cass., sez. unumero 16602/2005 . 5. Tale rilievo, assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, rende ultroneo sia il richiamo a Cass. 18.3.2014 numero 6265 ed a Cass. 19.10.2009 numero 22105 secondo cui le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in una conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2113 cod. civ., con conseguente irrilevanza degli eventuali vizi formali del relativo procedimento, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex articolo 2113 cod. civ. , sia la considerazione che la censura fondata sulla erronea interpretazione del contenuto della comunicazione del lavoratore in ogni caso avrebbe presupposto - secondo la regola consolidata enunciata da questa Corte - che venissero denunciati, in maniera specifica, i canoni ermeneutici nella cui violazione il giudice di merito fosse incorso, o eventuali vizi logici e di motivazione che costituiscono, come è noto, l’ambito nel quale possono essere denunciati in sede di legittimità gli errori di interpretazione di un atto bilaterale o unilaterale , laddove il ricorrente si è limitato a contrapporre a tale interpretazione la propria, ritenendola più coerente al contesto ed alle vicende in cui la controversia si iscrive. 6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. 7. L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’articolo 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17 cfr. Cass. 2.9.2014 numero 18253, Cass. 22.3.2017 numero 7368 . P.Q.M. La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi, in euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater del d.P.R. numero 115/2002, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.