E’ onere dell’assicuratore che voglia valersi del limite allegarlo e provarlo, nel rispetto delle preclusioni assertive ed istruttorie stabilite dagli articoli 167 e 183 c.p.c
Così la Sesta Sezione Civile della Cassazione nell’ordinanza numero 26813/19, depositata il 21 ottobre 2019. Il caso. Il danneggiato nel corso di un sinistro stradale, in cui aveva riportato una frattura vertebrale amielica, veniva ricoverato presso il Pronto Soccorso, da cui veniva dimesso senza che i sanitari si accorgessero della presenza della frattura, diagnosticata solo successivamente. Tale ritardo diagnostico aveva provocato la trasformazione della lesione vertebrale da amielica a mielica, e, dunque, il consolidarsi di postumi permanenti più gravi di quelli che sarebbero stati riportati ove la diagnosi fosse stata tempestiva. Pertanto, unitamente ai prossimi congiunti, aveva promosso l’azione civile di risarcimento nei confronti all’azienda ospedaliera, la quale nel giudizio aveva chiamato in garanzia la propria compagnia assicurativa. Il Tribunale aveva accolto la domanda principale, così come la domanda di garanzia. Nel corso del successivo giudizio d’appello, l’assicurazione aveva versato l’indennizzo contrattualmente dovuto ai danneggiati, esaurendo così il massimale di polizza ed eccependo poi, in comparsa conclusionale, l’esaurimento dello stesso. La Corte d’Appello aveva rigettato l’appello, ritenendo inoltre tardiva l’eccezione di superamento del massimale effettuata in conclusionale e in quanto tale dichiarandola inammissibile. L’assicurazione ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il limite del massimale costituirebbe una mera allegazione difensiva, anziché una eccezione come qualificata dalla Corte Territoriale, non soggetta pertanto ad alcuna decadenza. Ha rilevato, inoltre, come l’esaurimento del massimale si era verificato solo nel grado di appello, e pertanto la relativa deduzione non avrebbe potuto essere svolta prima. Sconfessato ancora una volta l’orientamento minoritario. La Sesta Sezione ha rigettato il ricorso, ribadendo il principio già sancito nella sentenza Cass. Civ. numero 3173/2016 e numero 17459/2006, secondo cui «in tema di assicurazione per responsabilità civile, il massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione, che può essere validamene stipulato senza la relativa pattuizione, e neppure costituisce fatto generatore del credito assicurato, configurandosi piuttosto come elemento limitativo dell’obbligo dell’assicuratore, sicché grava su quest’ultimo l’onere di provare l’esistenza e la misura del massimale, dovendosi altrimenti accogliere la domanda di garanzia proposta dall’assicurato a prescindere da qualsiasi limite di massimale». Così facendo, ancora una volta, ha consapevolmente preso le distanze dal diverso orientamento adottato, sempre dalla Suprema Corte, nella sentenza numero 10811/2011 in tale decisione era stata ritenuto, la misura del massimale, un elemento essenziale del contratto, e in quanto tale un “fatto costitutivo” della pretesa dell’assicurato, che pertanto aveva l’onere di provarlo. In realtà, appunto, la Sesta Sezione ha ribadito come la pattuizione di un massimale di polizza non sia affatto elemento essenziale di un contratto di assicurazione di responsabilità civile, potendo anzi essere pure del tutto assente. Ciò costituisce una differenza ontologica tra assicurazioni di cose e assicurazioni di responsabilità. Mentre nelle prime il valore della cosa assicurata è elemento essenziale e conseguentemente da un lato vige il divieto di soprassicurazione, previsto dall’articolo 1908 c.c., e dall’altro si può parlare di sottoassicurazione, con conseguente riduzione dell’indennizzo , nelle assicurazioni di responsabilità non si può proprio parlare di sopra/sotto-assicurazione, e l’esistenza del massimale e della sua misura costituiscono solo fatti limitativi del debito dell’assicuratore, che in quanto tali devono essere da quest’ultimo allegati e provati secondo le ordinarie regole processuali. A nulla rileva, ha continuato la Cassazione, che l’esaurimento del massimale sia sopravvenuta in corso di causa ai fini del contenimento dell’obbligazione risarcitoria gravante in capo all’assicuratore, ciò che rileva non è il momento dell’esaurimento, bensì la previsione contrattuale di esso. Ne consegue che l’assicuratore avrebbe dovuto allegare e provare l’esistenza e la misura del massimale, a nulla rilevando che in quel momento il massimale non fosse esaurito.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 maggio – 21 ottobre 2019, numero 26813 Presidente Frasca – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2008 C.C. , Ca.Ma. , C.R. , C.M. e. J.T. convennero dinanzi al Tribunale di Pisa l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa d’ora innanzi, per brevità, l’Azienda , esponendo che - C.R. , del quale gli altri attori erano prossimi congiunti, dopo essere rimasto vittima di un sinistro stradale che gli aveva provocato una frattura vertebrale amielica, venne ricoverato al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pisa, gestito dall’Azienda convenuta - ivi i sanitari lo dimisero senza avvedersi della presenza della suddetta frattura - il ritardo diagnostico aveva provocato la trasformazione della lesione vertebrale da amielica a mielica, determinando così il consolidarsi dei postumi permanenti ben più gravi di quelli che si sarebbero verificati in caso di corretta diagnosi e tempestive cure. Chiesero perciò la condanna dell’azienda convenuta al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti. 2. L’azienda si costituì e, oltre a contrastare la domanda attorea, chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la società Carige s.p.a. che in seguito muterà ragione sociale in Amissima Assicurazioni s.p.a. d’ora innanzi, sempre e comunque, la Amissima , alla quale chiese di essere tenuta indenne in caso di accoglimento della domanda attorea. 3. Con sentenza 17 aprile 2013 numero 425 il Tribunale di Pisa accolse sia la domanda principale che quella di garanzia. 4. La sentenza di primo grado venne appellata dalla Amissima, la quale chiese alla Corte d’appello in via principale il rigetto della domanda proposta dagli attori in subordine chiese che la Corte d’appello liquidasse il danno in misura meno cospicua rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale. 5. Nel corso del giudizio di appello la i/ missima versò l’indennizzo contrattualmente dovuto direttamente nelle mani dei terzi danneggiati, esaurendo il massimale. Di conseguenza in comparsa conclusionale eccepì il suddetto esaurimento del massimale. 6. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 12 aprile 2017 numero 842 ritenne tardiva la suddetta difesa di esaurimento del massimale, e non la esaminò. Nel merito, rigettò il gravame proposto dalla Amissima. 7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Amissima, con ricorso fondato su un solo motivo. 8. Hanno resistito con separati controricorsi R. per ma se gli altri attori da un lato, e l’Azienda dall’altro. Ragioni della decisione 1. Il motivo unico di ricorso. 1.1. Con l’unico motivo di ricorso la Amissima formula due diverse censure avverso la sentenza impugnata. Da un lato invoca la nullità della sentenza, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 4, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di accertamento del sopravvenuto esaurimento del massimale. Lamenta, altresì, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3, la violazione da parte della Corte d’appello degli articolo 1917 c.c., nonché articolo 100, 112, 342, 345, 347 e 352 c.p.c Al di là di tali riferimenti formali, non tutti pertinenti, il cuore della censura proposta dalla società ricorrente consiste nel sostenere che il limite del massimale costituisce una mera allegazione difensiva, non una eccezione, con la conseguenza che essa può essere introdotta anche in grado di appello che può essere rilevata anche d’ufficio che sfugge alle preclusioni assertive ed istruttorie. Soggiunge che, essendosi verificato l’esaurimento del massimale soltanto nel grado di appello, la relativa deduzione non poteva essere svolta in primo grado che avendo affermato il contrario, la sentenza d’appello dovrebbe ritenersi nulla che in ogni caso la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla suddetta eccezione. 1.2. Nella parte in cui lamenta la nullità della sentenza il motivo è manifestamente infondato. Una sentenza può dirsi nulla, oltre che per il vizio di costituzione del giudice o la mancanza di sottoscrizione, quando la sua motivazione sia totalmente mancante, totalmente inintelligibile, o totalmente contraddittoria. E nessuno di queste tre vizi ricorre nel caso di specie, chiara essendo la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello e cioè che l’eccezione di esaurimento del massimale non poteva essere esaminata perché tardiva. 1.3. Nella parte in cui lamenta il vizio di omessa pronuncia, ex articolo 112 c.p.c., il ricorso è manifestamente infondato. Omessa pronuncia, infatti, si ha quando il giudice trascuri di prendere in esame una domanda od una eccezione perché se ne dimentichi, ma non quando reputi quella domanda o quell’eccezione inammissibile, improcedibile od irricevibile. Nel caso di specie, per l’appunto, la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile perché tardiva l’eccezione di esaurimento del massimale, e coerentemente non l’ha esaminata. 1.4. Nella parte restante il motivo è manifestamente infondato. Questa Corte, infatti, ha già affermato che in tema di assicurazione per responsabilità civile, il massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione, che può essere validamente stipulato senza la relativa pattuizione, e neppure costituisce fatto generatore del credito assicurato, configurandosi piuttosto come elemento limitativo dell’obbligo dell’assicuratore, sicché grava su quest’ultimo l’onere di provare l’esistenza e la misura del massimale, dovendosi altrimenti accogliere la domanda di garanzia proposta dall’assicurato a prescindere da qualsiasi limite di massimale Sez. 3, Sentenza numero 3173 del 18/02/2016, Rv. 639075 01 Sez. 3, Sentenza numero 17459 del 31/07/2006, Rv. 592071 01 . 1.5. Nella prima di tali decisioni questa Corte ha già spiegato per quali ragioni non possa condividersi il contrastante orientamento adottato da Sentenza numero 10811 del 17/05/2011, Rv. 618218 invocata dalla ricorrente , e sia stato conseguentemente abbandonato. Quel diverso orientamento si fondava infatti sull’assunto che nell’assicurazione della responsabilità civile la misura del massimale sia elemento essenziale del contratto, e di conseguenza rappresenti un fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato, il cui onere ricade su quest’ultimo. Tale affermazione tuttavia è erronea per due ragioni. La prima ragione è che la pattuizione d’un massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione della responsabilità civile. Nell’assicurazione di responsabilità il massimale esprime il limite della dell’obbligazione indennitaria dell’assicuratore, ed assolve sotto questo aspetto la medesima funzione del valore della cosa assicurata nelle assicurazioni di cose. Tuttavia, mentre nell’assicurazione di cose il valore della cosa assicurata è elemento essenziale del contratto, non altrettanto può dirsi delle assicurazioni di responsabilità. Nelle assicurazioni di cose, infatti, è vietata la soprassicurazione articolo 1908 c.c. , divieto che a sua volta è espressione del principio indennitario, coessenziale all’assicurazione contro i danni. La mancanza della pattuizione sul valore, pertanto, snaturerebbe la causa del contratto, nella misura in cui consentirebbe la percezione da parte dell’assicurato di indennizzi superiori al valore della cosa assicurata. Nelle assicurazioni di responsabilità, invece, non è nemmeno concepibile la nozione di sopra o sottoassicurazione, e la misura del massimale garantito è lasciata alla libera pattuizione delle parti. Il contratto potrebbe essere dunque stipulato per un qualsiasi massimale, senza che ciò incida sulla natura o sulla causa del contratto, così come potrebbe essere stipulato per un massimale illimitato, ipotesi non sconosciuta alla prassi commerciale. Da ciò consegue che il massimale nell’assicurazione della responsabilità civile non costituisce un elemento essenziale del contratto, ben potendo quest’ultimo essere validamente stipulato senza la pattuizione di esso. La seconda ragione per la quale non può essere condiviso il decisum di Cass. 10811/11, cit., è che il fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato ad essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile è l’avverarsi d’un sinistro che abbia le caratteristiche descritte nel contratto. L’esistenza del massimale e la sua misura costituiscono dunque non già i fatti generatori del credito dell’assicurato, ma piuttosto i fatti limitativi del debito dell’assicuratore. In quanto tali, essi debbono essere allegati e provati da quest’ultimo, secondo la regola di cui all’articolo 2697 c.c 1.6. Resta qui da aggiungere come nulla rilevi la circostanza che l’esaurimento del massimale sia sopravvenuta in corso di causa. Ai fini del contenimento dell’obbligazione indennitaria gravante sull’assicuratore, infatti, quel che rileva in iure non è l’esaurimento del massimale, ma la pattuizione di esso come s’è detto, infatti, nell’assicurazione della responsabilità civile la fissazione d’un massimale potrebbe anche mancare, senza che ciò incida sulla validità del contratto . Pertanto l’assicuratore che intendesse far valere in giudizio i limiti quantitativi contrattualmente fissati alla propria obbligazione, ha l’onere di allegare prima, e provare poi, l’esistenza del patto di massimale e la misura di questo, a nulla rilevando che al momento dell’introduzione del giudizio quel massimale non fosse esaurito. Allegazione e prova che, ovviamente, riguardando un’eccezione in senso stretto, debbono avvenire nel rispetto delle preclusioni assertive ed istruttorie stabilite dagli articolo 167 e 183 c.p.c 3. Le spese. 3.1. Nei confronti dell’Azienda le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo. 3.2. Nei confronti di C.R. e dei suoi congiunti le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate, in considerazione dal fatto che il ricorso per cassazione non investiva il credito risarcitorio riconosciuto agli originari attori, sì che questi ultimi non avevano interesse a contrastarlo. Nè i controricorrenti, sui quali incombeva il relativo onere, hanno mai dedotto la sussistenza d’un loro interesse anche indiretto al rigetto del ricorso, ad esempio allegando l’impossibilità per l’Azienda di far fronte alle proprie obbligazioni risarcitone, se venisse meno o si riducesse la copertura assicurativa. 3.3. 11 rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 . P.Q.M. - rigetta il ricorso - condanna Amissima Assicurazioni s.p.a. alla rifusione in favore di Azienda ospedaliero-universitaria Pisana delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 7.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, numero 55, ex articolo 2, comma 2 - compensa integralmente tra la Amissima da un lato, e C.C. , Ca.Ma. , R.C. , C.M. e J.T. dall’altro, le spese del presente giudizio di legittimità - dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Amissima Assicurazioni s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.