La Corte di Cassazione ha piena cognizione nell’interpretare direttamente il giudicato esterno spetta, però, al ricorrente la produzione della sentenza del cui giudicato si discute nel giudizio di legittimità.
Lo ha ricordato la Terza sezione Civile della Cassazione con la sentenza numero 13658/12. Il caso. G. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dietro domanda di R., in forza del credito portato da effetti cambiari protestati. Il Tribunale adito accoglieva l’opposizione e revocava il decreto opposto dichiarando anche inefficaci i titoli nulla è dovuto a R. da parte di G. per via dell’illiceità del rapporto sottostante, accertata in sede penale. R. ricorre in Cassazione avverso quest’ultimo provvedimento. Giudicato esterno effetti e requisitiLa principale censura proposta dal ricorrente riguarda la valutazione dell’esistenza del giudicato esterno, che sarebbe stata effettuata dal Tribunale in violazione degli articolo 2697 c.c. e 651, 652, 654 c.p.p Sostiene il ricorrente che non vi fosse identità di petitum e causa petendi tra le due sentenze, dal momento che quella penale – con cui il reato di usura commesso da R. viene dichiarato prescritto – verte solo sui danni da risarcire alla parte civile e riguarda il procedimento monitorio in questione. senza dimenticare l’allegazione. La S.C. riconosce che, in effetti, è attribuito al giudice di legittimità il potere di interpretare il giudicato esterno con cognizione piena. Tuttavia, è onere del ricorrente fornire agli Ermellini lo strumento per poterlo fare, ossia il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato. Nel caso di specie il ricorrente si è limitato a fornire il dispositivo della sentenza penale, senza produrre neanche sinteticamente il giudicato che motiva il ricorso né gli opportuni rinvii allo stesso. Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso poiché, appunto, la Cassazione può interpretare il giudicato esterno «nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza» del mezzo di impugnazione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 giugno – 31 luglio 2012, numero 13658 Presidente Petti – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. G V. proponeva opposizione con atto di citazione del 1993 al decreto ingiuntivo ottenuto da T.R.L. , per la somma di oltre 28 milioni di lire, sulla base del credito portato da effetti cambiari protestati, rilasciati dal V. all'ordine di T. . Il Tribunale di Melfi, accogliendo l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e dichiarava inefficaci i titoli, ritenendo che nulla era dovuto dal V. al T. per via dell'illiceità, accertata in sede penale, del rapporto sottostante. La Corte di appello di Potenza rigettava l'impugnazione proposta dal T. , stante il giudicato in sede penale sentenza del 9 dicembre 2005 . 2. Avverso la suddetta sentenza, T. propone ricorso per cassazione con due motivi. V. resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. e degli articolo 651, 652 e 654 cod. proc. penumero . Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ritenendo accertata dalla sentenza penale Corte di appello di Salerno del 24 settembre 1998 passata in giudicato la illiceità della causa del rapporto sottostante - avendo tale sentenza dichiarato prescritto il reato di usura, anche in danno del V. , del quale il T. era imputato, e condannato il T. al risarcimento del danno conseguente, da liquidarsi in separata sede -, ometteva di accertarla in sede civile, non esaminando le prove documentali prodotte dal creditore e non ammettendo le prove testimoniali, articolate in primo grado e reiterate in appello, con conseguente violazione del diritto di difesa. In particolare, si sostiene che la Corte di merito ha errato nel ritenere l'esistenza del giudicato esterno, senza che vi fosse identità di petitum e di causa petendi, atteso che la condanna del T. passata in giudicato atteneva ai danni, conseguenti al reato di usura, a favore della costituita parte civile, mentre il giudizio civile in argomento atteneva al procedimento monitorio sulla base di titoli cambiari diversità che emergerebbe anche dalla mancata applicazione dell'articolo 75 cod. proc. penumero . 1.1. Questione essenziale per la decisione della controversia è la portata del giudicato esterno, atteso che si fa questione della non identità del petitum e della causa petendi tra accertamento dei fatti in sede penale e giudizio civile. Tuttavia, il ricorrente si limita a riferire il dispositivo della sentenza penale, che lo ha condannato al risarcimento dei danni a favore del V. , dopo aver dichiarato prescritto il reato di usura in danno dello stesso. Nel contesto del ricorso non si riproduce, neanche sinteticamente, la sentenza del cui giudicato si discute né si rinvia alla stessa, come rinvenibile negli atti processuali articolo 369, numero 4 cod. proc. civ., nella formulazione vigente prima della novella con il d.lgs. numero 40 del 2006 . La Corte, pertanto, non è posta in grado di procedere all'interpretazione del giudicato. 1.2. La giurisprudenza di legittimità, da tempo, ha messo in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l'interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria autosufficienza del ricorso. Ha, infatti, affermato che “L'interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”. Cass. 13 dicembre 2006, numero 26627, e successive pronunce conformi sino al 2010 Sez. Unumero 27 gennaio 2004, numero 1416 . Conseguente è l'inammissibilità del motivo. 2. Con il secondo motivo si deducono tutti i vizi motivazionali. Il motivo, comunque assorbito dalla dichiarata inammissibilità del primo, è generico, lamentandosi il ricorrente dell'effetto “quasi emozionale” del giudicato penale sui giudicanti in sede civile e del mancato esame delle prove “prodotte o richieste” dal T. , così genericamente richiamate. 3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di G V. , delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.