Violato l’articolo 3 CEDU la mancanza di adeguate cure mediche, e più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può integrare un trattamento contrario alla norma. Il «trattamento inumano o degradante» riservato all’uomo, obbligherà lo Stato italiano a risarcire il detenuto per danno non patrimoniale.
La vicenda. Il caso sottoposto allo scrutinio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguarda il ricorso del Sig. Scoppola, peraltro già autore di vittoriose istanze innanzi alla Corte di Strasburgo, per la violazione dell’articolo 3 CEDU. In particolare il “vecchio” Scoppola reclama di essere una persona in età avanzata con una serie di patologie tali da essere incompatibili con lo stato detentivo, quest’ultimo ripristinato dopo che l’autorità giudiziaria procedente abbia constatato l’inidoneità del domicilio ai fini degli arresti domiciliari. Conclude quindi il ricorrente che la sua prolungata detenzione nel carcere di Parma era da considerarsi un trattamento inumano e degradante espressamente vietato dall'articolo 3 CEDU, il quale prevede «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». I principi contenuti nell’articolo 3 CEDU. L’articolo 3 della Convenzione riconosce e garantisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Esso infatti proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, quali che siano i fatti commessi dalla persona interessata si veda in particolare Saadi c/Italia [GC], numero 37201/06, § 127, 28 febbraio 2008, e Labita c/Italia [GC], numero 26772/95, § 119, CEDU 2000-IV . Esso impone allo Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni recluso siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad un disagio o ad una prova d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente assicurate Kudła c/Polonia [GC], numero 30210/96, § 92-94, CEDU 2000-XI . Pertanto, la mancanza di adeguate cure mediche, e più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può in linea di principio integrare un trattamento contrario all'articolo 3 si veda, Ilhan c. Turchia [GC ], numero 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII . Oltre la salute del prigioniero, l’ordinamento dovrà garantire che il benessere del detenuto venga adeguatamente assicurato Mouisel contro Francia, no. 67263/01, § 40, CEDU 2002 IX . I tre elementi per valutare la compatibilità del regime detentivo. La Corte di Strasburgo, nella sentenza in commento, precisa che al fine di esaminare la compatibilità dello status detentionis con le condizioni di salute del prigioniero si dovrà tener conto in particolare di tre elementi a la condizione del detenuto b la qualità della cura offerta dalla struttura penitenziaria c l'opportunità di mantenere la detenzione in relazione allo stato di salute del richiedente. Le motivazioni della decisione della Corte di Strasburgo. La Corte osserva che il carcere di Parma ha un centro clinico ed una sezione per i disabili che lo rende una struttura adeguata alle esigenze di detenuti affetti da malattie degenerative. Nonostante ciò è parso evidente ai giudici della Corte che il predetto istituto penitenziario non era comunque idoneo a sostenere adeguatamente il richiedente, il cui stato di salute era particolarmente grave. La Corte ricorda che l'incompatibilità della detenzione del ricorrente nel carcere di Parma, in relazione alle precarie condizioni cliniche del ricorrente medesimo, era stato ripetutamente affermato dai giudici dell’esecuzione che hanno di volta in volta preso cognizione delle istanze formulate dal Sig. Scoppola, basate peraltro sui referti medici dell’istituto penitenziario. In questo caso, anche se non vi è alcuna prova di una volontà di umiliare o svilire il richiedente, a parere dei giudici di Strasburgo l'assenza di tale finalità non può escludere nel caso concreto la violazione dell’articolo 3 CEDU si veda, tra gli altri, Peers contro Grecia, numero 28524/95, § 74, CEDU 2001 III . La condanna dell’Italia. La Corte, con la sentenza depositata il 17 luglio, ha ritenuto quindi che la permanenza nel penitenziario di Parma del Sig. Scoppola, nelle gravi circostanze sopra evidenziate, ha provocato in capo al ricorrente uno stato di ansia tale da costituire un «trattamento inumano o degradante» ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione. Pertanto, in definitiva, lo Stato italiano sarà tenuto a risarcire il Sig. Scoppola della somma di euro 9.333,00 a titolo di danno non patrimoniale e della somma di euro 6.000,00 per le spese processuali sostenute.
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