Non è diffamante l’accusa rivolta in un’istanza al giudice dell’esecuzione

La parte che, nell’istanza al giudice dell’esecuzione, offende la controparte, accusandola relativamente all’oggetto della causa, non è condannabile per diffamazione, perché il fatto non costituisce reato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 26382, depositata il 17 giugno 2013. Espressioni temerarie in un‘istanza. L’occasione della pronuncia è stato un ricorso presentato da un soggetto ritenuto responsabile del delitto di diffamazione per aver affermato in un’istanza al giudice dell’esecuzione che l’esecutato stava lucrando i canoni locativi, verosimilmente non dichiarati fiscalmente, di un immobile pignorato. Secondo l’organo giudicante, l’espressione contenuta nell’istanza era risultata temeraria e infondata, inoltre era da considerarsi avente contenuto diffamatorio in quanto insinuava il dubbio che la persona offesa, contravvenendo a un ordine del giudice, non si fosse adoperata per il rilascio dell’immobile oggetto dell’esecuzione, addirittura riscuotendo somme, sottraendole, fra l’altro, a tassazione. Il ricorrente ha lamentato mancata applicazione dell’esimente di cui all’articolo 598 c.p., che dichiara non punibili le offese contenute negli atti difensivi quando riguardino l’oggetto della causa come era nel caso di specie, atteso che la condotta addebitata all’esecutato era prospettata come motivo di revoca del provvedimento di sospensione della vendita del bene pignorato . Offese concernenti l’oggetto della causa non punibili. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, in quanto il Giudice di pace è pervenuto all’affermazione di colpevolezza senza tener conto del fatto che l’istanza, costituendo un atto difensivo finalizzato a ottenere l’emissione di un provvedimento del giudice nell’ambito della procedura esecutiva in corso, è riconducibile al novero degli «scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria», in base a quanto previsto dall’articolo 598 c.p.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 febbraio - 17 giugno 2013, numero 26382 Presidente Grassi – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 15 maggio 2012 il giudice di pace di Catania ha dichiarato P.B.G. responsabile del delitto di diffamazione ai danni di C.A. , per aver affermato in un'istanza al giudice dell'esecuzione del Tribunale di Catania che l'esecutato stava lucrando i canoni locativi, verosimilmente non dichiarati fiscalmente, di un immobile pignorato lo ha quindi condannato alla pena di Euro 300,00 di multa. 1.1. Ha rilevato il giudicante che l'espressione contenuta nell'istanza era risultata temeraria e infondata e che aveva un contenuto diffamatorio in quanto insinuava il dubbio che la persona offesa, contravvenendo a un ordine del giudice, non si fosse adoperata per il rilascio dell'immobile oggetto dell'esecuzione, addirittura riscuotendo, a titolo di pigione, somme verosimilmente non dichiarate all'erario. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi. 2.1. Col primo motivo il ricorrente nega la sussistenza del dolo, non avendo egli avuto la volontà di offendere l'altrui reputazione, ma solo quella di evidenziare al giudice dati oggettivi volti a sollecitare il rigetto della richiesta conversione del pignoramento. Contrasta, altresì, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, atteso che lo scritto di cui si tratta era soltanto uno stimolo ad accertamenti. 2.2. Col secondo motivo il P. lamenta la mancata applicazione dell'esimente di cui all'articolo 598 cod. penumero . 2.3. Col terzo motivo denuncia carenza motivazionale in ordine alla dosimetria della pena, nonché alla mancata concessione dei benefici di legge. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nel secondo motivo, con efficacia assorbente nei confronti di ogni altra censura. 1.1. Il giudice di pace è pervenuto all'affermazione di colpevolezza del P. sulla base della ritenuta infondatezza - ed anzi temerarietà - dell'accusa mossa dall'imputato al C. , nell'istanza al giudice dell'esecuzione, di lucrare i canoni di locazione dell'immobile pignorato, sottraendoli fra l'altro a tassazione. Ma non ha tenuto conto del fatto che la predetta istanza, costituendo un atto difensivo finalizzato a ottenere l'emissione di un provvedimento del giudice nell'ambito della procedura esecutiva in corso, era riconducibile al novero degli “scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria”, secondo il lessico dell'articolo 598 cod. proc. penumero . 1.2. Poiché la norma citata dichiara non punibili le offese contenute negli atti difensivi, quando riguardino l'oggetto della causa come era nel caso di specie, atteso che la condotta addebitata all'esecutato era prospettata come motivo di revoca del provvedimento di sospensione della vendita del bene pignorato , giudice di pace avrebbe dovuto avvedersi dell'applicabilità della scriminante ed assolvere l'imputato con la corrispondente formula. 2. A tanto non essendosi provveduto nel giudizio di merito, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.