I comproprietari del muro non avevano ottemperato all’ordine amministrativo di esecuzione dei lavori di consolidamento. L’importo dovuto è stato correttamente dimostrato con la nota spese dei lavori, la deliberazione di approvazione della contabilità finale e la fattura dell’impresa esecutrice.
Con la sentenza numero 9031, depositata il 12 aprile 2013, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello. Il muro sta per cadere! Siamo in Sicilia. Tre familiari hanno la comproprietà di uno stabile. Un muro è pericolante, potrebbe cadere verso la strada, danneggiando cose o persone. Il Comune ordina ai proprietari di consolidare il muro. Di fronte alla loro inerzia, il Comune provvede ad eseguire i lavori necessari per salvaguardare l’incolumità pubblica, tramite un’impresa edilizia. Ma poi presenta il conto 33mln di lire. Il Tribunale condanna i tre comproprietari al pagamento di tale somma, a titolo di rimborso per le spese sostenute dal Comune. La Corte d’Appello esenta dal pagamento due dei comproprietari, riducendo al 55% la somma totale dovuta dall’unica comproprietaria tenuta al pagamento. Rimborso al Comune, ma è stata dimostrata la comproprietà del bene? I 4 eredi della condannata ricorrono per cassazione. Sostengono che la loro dante causa non era comproprietaria del muro in questione e che quindi non era tenuta alla sua riparazione. Il giudice avrebbe trascurato «di considerare che la condominialità del manufatto doveva essere esclusa, stante la sua funzione di sorreggere un sovrastante giardino di proprietà altrui». Erroneamente avrebbe poi inferito la qualità di comproprietaria dalla scrittura di impegno all’esecuzione dei lavori firmata dalla loro dante causa, escludendo quella degli altri due, benché destinatari dell’ordinanza di ripristino. I 4 ricorrenti si lamentano poi della mancata rideterminazione del quantum sia del credito vantato dal Comune sia dei relativi interessi. Corretta dimostrazione dell’importo dovuto. La S.C. rileva che il motivo di ricorso è identico a quello presentato in appello, ritenuto in quella sede inammissibile in quanto eccezione nuova rispetto al giudizio di primo grado. La dimostrazione dell’importo dovuto emerge poi chiaramente dalla documentazione presentata dal Comune nota spese dei lavori, deliberazione di approvazione della contabilità finale e fattura dell’impresa esecutrice dei lavori. Per questi motivi la Corte respinge il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 14 febbraio – 12 aprile 2013, numero 9031 Presidente Goldoni – Relatore Bucciante Fatto e diritto ritenuto che - si è proceduto nelle forme di cui all'articolo 380 bis c.p.c. - la relazione depositata in cancelleria è del seguente tenore «Con sentenza del 11 ottobre 2000 il Tribunale di Enna condannò A.B., R.M.S.B. ed M.E., in solido, a pagare al Comune di Calascibetta la somma di L. 33.629.395, oltre agli interessi, a rimborso di un pari importo che l’ente aveva speso per il consolidamento di un muro pericolante, essendo rimasta ineseguita il provvedimento con cui era stata ordinata ai proprietari del manufatto l'esecuzione di tali lavori. Adita dai soccombenti, la Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza del 25 giugno 2010 ha parzialmente riformato la decisione, rigettando la domanda del Comune nei confronti di B.A. e R.M.S B., nonché riducendo al 55% della somma suddetta la condanna di E M., e per lei dei suoi eredi S.B., L.B., Bu.Lu., Sa.Bu. e R.B Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo. Le altre parti non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità. Con il motivo addotto a sostegno dell'impugnazione i ricorrenti lamentano che la Corte d'appello ha erroneamente e ingiustificatamente ritenuto che la loro dante causa fosse comproprietaria del muro in questione e fosse tenuta quindi alla sua riparazione. Si sostiene che la motivazione della decisione è omessa, insufficiente e contraddittoria, in quanto il giudice di secondo grado - ha trascurato di considerare che la condominialità del manufatto doveva essere esclusa, stante la sua funzione di sorreggere un sovrastante giardino di proprietà altrui è incorso in una incoerenza logica, riconoscendo che non vi era prova della qualità di comproprietari degli altri destinatari dell'ordinanza di ripristino emessa dal Comune, non potendosi tale prova ricavare da una scrittura di impegno all'esecuzione dei lavori, firmata anche da M.E La doglianza appare priva del requisito della pertinenza alla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata, con la quale il primo motivo dell'appello di E.M. con il quale si prospettava la tesi ora riproposta in sede di legittimità è stato dichiarato inammissibile perché concretante una eccezione nuova , come tale preclusa nel giudizio di secondo grado. A questo proposito, nessuna concreta e specifica censura è stata formulata dai ricorrenti. Nel contesto del ricorso S.B., B.L., Lu.Bu., Sa.Bu. e B.R. si dolgono anche della mancata rideterminazione, da parte della Corte d'appello, del quantum sia del credito vantato dal Comune sia dei relativi interessi. La deduzione risulta affetta da genericità, non essendo state rivolte critiche di sorta a quanto è stato esposto nella sentenza impugnata circa la dimostrazione dell'importo dovuto, data dal Comune mediante la produzione della nota spese dei lavori, della deliberazione di approvazione della contabilità finale, della fattura dell'impresa esecutrice né i ricorrenti hanno chiarito alcunché in ordine al loro accenno agli interessi. Si ritiene quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’articolo 375, numero 5, seconda ipotesi, c.p.c.». - le parti non si sono avvalse delle facoltà di cui al secondo comma dell'articolo 380 bis c.p.c. - il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie - il ricorso viene pertanto rigettato - non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale l'intimato non ha svolto attività difensive. P.Q.M. rigetta il ricorso.