Bar da ‘evitare’, ma ascolta solo il barista: cade l’ipotesi della diffamazione

Nessuna contestazione è possibile nei confronti di una donna, che aveva descritto in malo modo la gestione dell’esercizio commerciale. La salva la considerazione che una sola persona abbia ascoltato i poco gradevoli commenti, anche se poi essi sono stati riferiti ai gestori dell’esercizio commerciale.

Bar poco ‘gradevole’. Affermarlo, anche in maniera poco urbana, epperò poi scegliere quel locale per prendere un caffè, è davvero schizofrenico. Pur tuttavia, nonostante le parole pesante utilizzati, non si può contestare il reato di diffamazione troppo ridotta la platea dei clienti Cassazione, sentenza numero 16171/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Parole come pietre. Eppure, secondo il Giudice di pace, vi sono tutte le premesse per contestare il reato di diffamazione. Conseguente è la condanna – a 600 euro di multa – per una donna, accusata di «avere affermato, mentre si trovava all’interno di un bar» che i gestori «erano da tenere lontano, essendo affetti da Aids». Nessun dubbio, quindi, sulla gravità dell’episodio. Almeno per il Giudice di pace, come detto. Secondo il legale della donna, invece, le valutazioni compiute sono state esagerate perché, più semplicemente, erano state espresse «preoccupazioni per le condizioni igieniche della attività commerciale», con un accenno «alle possibili conseguenze, per gli avventori, della mancanza di igiene». Parole legate anche alla competenza della donna, la quale ha svolto «attività di infermiera». Peraltro, aggiunge il legale, i gestori del bar «avevano appreso de relato dell’episodio, che si era verificato in presenza di un’unica persona». ‘Passaparola’. Ebbene, proprio quest’ultima annotazione dell’avvocato della donna risulta decisiva. Perché, chiariscono i giudici della Cassazione, non è stato prospettato, nel precedente giudizio, «alcun elemento suscettibile di configurare una comunicazione con più persone, presupposto indispensabile» per contestare il reato di diffamazione. E invece, in questa vicenda, una sola persona – il barista, si può logicamente dedurre – ha ascoltato i poco gradevoli commenti sul bar. Per giunta, evidenziano i giudici, «l’estremo della comunicazione con più persone sussiste non solo quando l’agenda prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle stesse sue intenzioni, ad essere riferita ad almeno un’altra persona, che poi ne abbia conoscenza». Però in questo caso «la frase» incriminata era stata sì «pronunziata in un esercizio pubblico», e poi conosciuta dai gestori del bar, ma era comunque assente il «requisito della comunicazione del fatto a più persone». Conseguenza logica è l’azzeramento di ogni addebito nei confronti della donna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 novembre 2012 – 8 aprile 2013, numero 16171 Presidente Zecca – Relatore De Berardis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 8.11.2011 il Giudice di pace di Nereto dichiarava E.M. responsabile del reato di cui all’articolo 595 CP, e la condannava alla pena di € 600,00 di multa. Nella specie si contestava all’imputata di avere affermato, mentre si trovava all’interno di un esercizio di bar, in presenza di più persone, che le persone offese erano da tenere lontano essendo affetti da AIDS, come meglio specificato nella rubrica del provvedimento - fatto acc. nel maggio del 2008 - Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo 1 - la violazione degli articolo 595 CP. e 192 CPP. Rilevando al riguardo l’erronea applicazione della norma penale, e il travisamento della prova in particolare asseriva che la predetta imputata aveva solo espresso preoccupazioni per le condizioni igieniche della attività commerciale, essendo peraltro persona che aveva svolto attività di infermiera, onde aveva accennato alle possibili conseguenze della mancanza di igiene per gli avventori. D’altra parte la difesa rilevava che i querelanti avevano appreso “de relato” dell’episodio, che si era verificato in presenza di un’unica persona. Per tali motivi il ricorrente riteneva carente la prova della condotta contestata. 2 - Infine evidenziava che in modo incomprensibile il Giudice aveva ricostruito la vicenda menzionando una ipotizzata relazione sentimentale tra il querelante e l’imputata, che non si era verificata, e non era stata indicata da alcun teste, né avrebbe potuto dare origine al fatto contestato. Per tali motivi chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato. Rileva in diritto Il ricorso risulta dotata di fondamento. Invero la sentenza risulta viziata da erronea applicazione della legge penale. Invero il Giudice di merito non ha prospettato alcun elemento suscettibile di configurare una comunicazione con più persone, presupposto essenziale, o meglio indispensabile, ai fini dell’applicazione della fattispecie enunciata in rubrica ai sensi dell’articolo 595 CP. Deve infatti essere richiamato il principio enunciato da questa Corte Sez. V - 15.3.1993, n . 2432, Albasi , per cui in tema di diffamazione, sussiste l’estremo della comunicazione con più persone non solo quando l’agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle sue stesse intenzioni ad essere riferita ad almeno un’altra persona, che ne abbia poi conoscenza. Nella specie, pur rilevandosi che la frase di cui all’imputazione era stata pronunziata in un esercizio pubblico, non risulta in modo alcuno l’esistenza del requisito della comunicazione del fatto a più persone. Si impone dunque l’annullamento senza rinvio della impugnata sentenza, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza perché il fatto addebitato non sussiste.