Limiti al risarcimento del danno catastrofale

di Giulia Milizia

di Giulia Milizia *La Terza sezione civile della Cassazione, con sentenza numero 6754/11, qualifica ulteriormente i danni iure successionis esplicandone meglio i requisiti essenziali già individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina costanti e maggioritarie. In realtà, però, introduce un nuovo orientamento perché delegittima quello in epigrafe.Il caso. Una donna periva dopo sei o sette ore da un incidente stradale e gli eredi agivano per la refusione dei suddetti danni. In primo grado era loro liquidato anche il danno biologico iure ereditario subito dalla defunta , voce non riconosciuta in appello. La S.C. confermava questa decisione e chiariva la natura ed i vincoli della materia.Si noti che rispetto alle altre analoghe pronunce è stato ulteriormente abbassato il limite temporale per la loro liquidazione da ultimo quantificato in 5 giorni .Danno tanatologico e danno catastrofale La legge liquida loro varie voci di danno per il dolore causato dalla morte del congiunto iure proprio pecunia doloris e per le conseguenti ripercussioni economiche iure proprio , nonché i relativi cespiti che sarebbero spettati al de cuius se fosse sopravvissuto iure ereditario . Più propriamente quest'ultima ipotesi è detta danno tanatologico anche se, comunemente, tale denominazione viene usata per indicare, in senso lato, entrambi i casi. Il danno catastrofale è dovuto alla vittima che, in una situazione di attesa lucida e disperata della morte, soffre percependo le sofferenze che questa disperazione esistenziale gli procurano Cass. civ. nnumero 458/09, 17177/07 e 11601/05 . sua esclusione. È, quindi, escluso ogni risarcimento sotto forma di danno biologico se il defunto non ha avuto una chiara e cosciente percezione del suo status. Si precisi che, a sua volta, questa voce indica due lesioni alla salute sempre liquidabile se rientrante nei limiti temporali sopra descritti e quella alla qualità della vita che non deve essere confusa con la lesione del diritto alla vita, poiché, sotto questo aspetto, non è mai indennizzabile. Questa è la principale novità della sentenza.Limiti al diritto alla vita. È sia un diritto inviolabile che un principio universale garantito a livello nazionale Cost. ed internazionale CEDU, Trattato di Lisbona etc. . In una virtuale scala gerarchica gode di un'ampia e prevalente protezione seppur soggetto a vincoli inderogabili. Infatti non è suscettibile di essere tutelato, quando è leso da terzi che provochino la morte di chi ne è titolare, a favore dello stesso soggetto che lo abbia perso, appunto morendo .L'opinione della Cassazione. Evidenzia il paradosso di questa asserzione fondato sull'estrema onerosità che ciò comporterebbe all'autore dell'illecito. In tal modo, nota la S.C., si affermerebbe l'assunto che uccidere sia più economico che ferire . La citata negazione è contraddittoria e violerebbe il più importante di tutti i diritti. Prive di pregio le polemiche se la morte faccia parte della vita o meno. Essa è il bene primario da proteggere sempre e comunque.La vera problematica e natura del risarcimento. È una forma di tutela alla lesione del diritto da cui scaturisce un diritto di credito a favore della vittima. Esso è diverso dal diritto inciso e la sua ratio è quella di garantire il danneggiato dalle conseguenze del pregiudizio tramite un indennizzo. È, perciò, giuridicamente inconcepibile un diritto al risarcimento per il defunto, poiché esso si estingue con la sua morte e logicamente non configurabile in quanto la funzione sanzionatoria è esclusa dall'ordinamento civile, mentre è prevista da quello penale. Ha natura riparatoria e consolatoria, ergo non può essere concesso, per ovvi motivi, al de cuius. Non ha finalità punitiva perché in caso contrario costituirebbe un ingiusto innalzamento della soglia di danno liquidato ai parenti e, in loro assenza, allo Stato.A questi ultimi spetterà un indennizzo omnicomprensivo per il dolore e per la perdita della possibilità di godere del rapporto parentale . Tale voce è liquidata come danno morale.* Praticante avvocato e conciliatore iscritta alla camera di Conciliazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Grosseto

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 febbraio - 24 marzo 2011, numero 6754Presidente Preden - Relatore AmatucciSvolgimento del processo1.- Il 21.3.1992, sei o sette ore dopo un incidente stradale, C. M. morì per le lesioni riportate.La causa promossa dai congiunti si concluse con l'accertamento della concorrente responsabilità del conducente di una vettura non identificata nella misura del 60% , del conducente della vettura che aveva lateralmente sospinto quella sulla quale viaggiava come trasportata la M. per il 20% e del conducente di tale ultima vettura per il 20% .Con sentenza del 18.4.2003 il tribunale di Brescia condannò dunque i convenuti, fra i quali la Maa Assicurazioni s.p.a. poi Milano Assicurazioni s.p.a. per il Fondo di garanzia, a risarcire ai genitori della vittima L. M. ed A. P. ed al fratello G. M. i danni patiti, liquidati in Euro 514.314,14 per i primi due ed in Euro 75.000,00 per il terzo, inclusa la somma di Euro 197.544,76 loro riconosciuta iure hereditario per il danno biologico subito dalla defunta.2.- La decisione è stata parzialmente riformata dalla corte d'appello di Milano con sentenza numero 490 del 12.6.2006. Per quanto in questa sede ancora interessa, la corte territoriale ha escluso tale ultima voce di danno in considerazione della brevità del periodo di sopravvivenza ed ha, inoltre, ridotto gli importi per il danno da perdita parentale da Euro 50.000,00 ad Euro 30.000,00 per ciascun genitore e da Euro 25.000,00 ad Euro 15.000,00 per il fratello della vittima sul rilievo che, essendo state già liquidate a titolo di danno morale le somme di Euro 100.000,00 per ciascun genitore e di Euro 50.000,00 per il fratello, le indicate minori somme apparivano più eque, giacché quelle riconosciute erano talmente cospicue da identificarsi, sia pure in parte, con la sofferenza morale ricollegabile all'anzidetto diverso profilo di danneggiamento .3.- Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione M. L., G. M. ed A. F., affidandosi a due motivi.Resistono con distinti controricorsi la RAS s.p.a. e la Milano Assicurazioni s.p.a., la quale ultima propone anche ricorso incidentale basato su due motivi.Tutte le parti hanno depositato memoria illustrativa.Motivi della decisione1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.Il ricorso principale M. - F 2.- Col primo motivo - denunciando violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 e 2059 c.c. nonché ogni possibile tipo di vizio della motivazione su punto decisivo - i ricorrenti si dolgono che la corte d'appello a non abbia liquidato alcunché per il danno morale subito dalla defunta pur avendo dichiarato di aderire al principio enunciato da Cass., numero 11601/05, secondo il quale la brevità del periodo di sopravvivenza alle lesioni in quel caso di due ore , se esclude l'apprezzabilità ai fini risarcitori del deterioramento della qualità della vita in ragione del pregiudizio della salute ed è pertanto ostativa alla configurabilità del danno biologico risarcibile, non elide affatto la possibilità che il soggetto abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni e patire dunque una sofferenza il cui diritto al risarcimento, sotto il profilo del danno morale, era entrato a far parte del suo patrimonio quando è sopravvenuta la morte e può dunque essere fatto valere iure hereditatis b non abbia ritenuto il danno biologico e quello della perdita della vita sempre configurabili quando la morte non sia immediata, indipendentemente dal fatto che la sopravvivenza sia breve o prolungata, secondo il principio enunciato da Cass., numero 15760/06.È formulato il seguente quesito di diritto se, nel caso di sopravvivenza per sei o sette ore dopo il fatto lesivo, debba ritenersi la sussistenza di un danno diretto della vittima se questo sussista in tutte e tre le componenti denominate biologico, morale e tanatologico se sia trasmissibile integralmente iure hereditatis .2.1.- In ordine al denunciato vizio di motivazione non sono offerte le indicazioni di cui all'articolo 366 bis c.p.c., sicché la relativa censura è inammissibile.Quanto al dedotto vizio di violazione di legge deve preliminarmente rilevarsi che né in ricorso né in sentenza è detto se, in relazione alle risultanze di fatto, la defunta versasse o no in stato di coscienza durante le 6/7 ore di sopravvivenza alle lesioni ma la Milano Assicurazioni afferma in memoria che era pacifico che fosse in coma . In tale contesto, lo scrutinio del motivo non può essere condotto supponendosi una situazione di fatto stato di coscienza della vittima non risultante dalla sentenza e non affermata dai ricorrenti.Non v'è dunque spazio per il risarcimento del danno cosiddetto catastrofale , il quale presuppone la consapevolezza in capo alla vittima dell'imminenza della morte o della gravissima entità delle lesioni subite, consentendo che il danno da sofferenza patita morale nell'accezione del termine precedente a Cass,, sez. unumero , numero 26972/08 possa essere fatto valere iure hereditario per essere già entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della sua morte cfr., ex multis, Cass., 11601/05, 17177/07, 458/09 .Il danno non è infatti risarcibile salvo che per il tempo di sopravvivenza, ma la questione non è neppure posta in questa sede, in relazione alla brevità dell'intervallo di tempo tra lesioni e decesso sotto il profilo delle conseguenze negative della lesione sulla qualità della vita del soggetto direttamente inciso, che connota il danno tradizionalmente definito biologico . Il quale, come s'è più volte chiarito, consegue alla lesione dell'integrità psico-fisica, dunque alla lesione del diritto alla salute e non alla lesione del diritto alla vita.Diritto alla vita che, in una virtuale scala gerarchica, è sicuramente il primo tra tutti i diritti inviolabili dell'uomo ed è senza dubbio, in ogni contesto e con le più variegate modalità, ampiamente garantito, com'è assolutamente ovvio ma che non è tuttavia suscettibile di essere tutelato, quando è leso da terzi che provochino la morte di chi ne è titolare, a favore dello stesso soggetto che lo abbia perso, appunto morendo.Del tutto improduttive paiono le disquisizioni sul se la morte faccia parte della vita o se, contrassegnando la sua fine, essa alla vita sia estranea. Così come è nulla più che retorico il pur frequente rilievo secondo il quale, essendo il risarcimento del danno da lesioni gravissime assai oneroso per l'autore dell'illecito ed escludendosi, per converso, la risarcibilità del danno da soppressione della vita a favore dello stesso soggetto di cui sia provocata la morte, allora dovrebbe paradossalmente concludersi che sia economicamente più conveniente uccidere che ferire. Ed è del pari improprio l'assumere che, poiché la tutela minima di ogni diritto è quella risarcitoria Cass. nnumero 8827 e 8828 del 2003 , il negare la risarcibilità del danno da lesione del diritto alla vita a favore del soggetto stesso la cui vita sia spenta per fatto imputabile ad altri, significherebbe incorrere in intima contraddizione proprio in ordine alla tutela del primo tra tutti i diritti dell'uomo.La questione è un'altra. È che il risarcimento costituisce solo una forma di tutela conseguente alla lesione di un diritto o di una posizione giuridica soggettiva qualificata, pur se non assurgente al rango di diritto soggettivo e consiste nel diritto di credito, diverso dal diritto inciso, ad essere tenuto per quanto è possibile indenne dalle conseguenze negative che dalla lesione del diritto derivano, mediante il ripristino del bene perduto, la riparazione, la eliminazione della perdita o la consolazione - soddisfazione - compensazione se la riparazione non sia possibile. Ora, non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal soggetto che muore, e che cosi si estingue, un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte chi non è più non può acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più , ma è logicamente inconfigurabile la stessa funzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria funzione garantita invece dal diritto penale , ma riparatoria o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione riparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può, per la forza delle cose, essere attuata a favore del defunto.Va data, invece, ai suoi congiunti tecnicamente, posto che un danno è ingiusto se abbia leso un interesse meritevole di tutela e prevalente rispetto a quello del danneggiante, a chi abbia perso, in conseguenza della morte di una persona, la possibilità di godere del rapporto parentale con la persona stessa in tutte le sue possibili modalità attuative Cass., sez. 3^ numero 8828/2003 .Pretendere che sia data anche al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi anziché ai congiunti se, in ipotesi, diversi o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato il risarcimento assumerebbe allora una funzione meramente punitiva, che è invece assolta dalla sanzione penale. E si risolverebbe in breve, come l'esperienza insegna, in una diminuzione di quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti, che percepiscono somme comunque connesse ad un'onnicomprensiva valutazione equitativa Cass., sez. un, numero 26972/08 , sicché risulterebbe frustrato anche lo scopo di innalzare i limiti del risarcimento. Quand'anche lo scopo comprensibilmente perseguito dalla parte fosse, infatti, raggiunto in una causa determinata, la giurisprudenza si assesterebbe rapidamente su standard quantitativi globali anteriori all'ipotetico arresto tuttavia non consentito, per le ragioni esposte , trattandosi pur sempre di stabilire quanto vada riconosciuto in denaro ai sopravvissuti per la perdita del congiunto che è evento che provoca dolore e perdita del rapporto parentale , con una conversione la cui entità dipende dalle qualificazioni giuridiche assai meno che dalla sensibilità sociale e dalla cultura del momento storico in cui l'evento cade.3.- La liquidazione equitativa a favore dei congiunti è, infine, questione di merito, sindacabile esclusivamente sotto il profilo del vizio della motivazione.Vizio che viene bensì dedotto col secondo motivo - col quale sono denunciate violazione e falsa applicazione dell'articolo 2059 c.c. ed insufficiente motivazione su punto decisivo - che è però inammissibile per difetto di formulazione del quesito di diritto e delle indicazioni imposte dall'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.Il ricorso incidentale di Milano Assicurazioni s.p.a 4.- Col primo motivo del ricorso incidentale la Milano Assicurazioni si duole dell'omessa pronuncia sulla propria domanda di restituzione, in relazione alla somma di Euro 745.078,52 versata a seguito dell'esecuzione intrapresa dai \Mosca\ - \Fadani\ in forza della sentenza di primo grado.4.1.- Il motivo è infondato in quanto la società assicuratrice come risulta dalle sue conclusioni, trascritte a pagina 4 della sentenza richiese la restituzione in caso di pagamento e non per aver pagato.Se avesse pagato, omettendo di precisarlo nel giudizio svoltosi, potrà comunque chiedere in separata sede la restituzione di quanto eventualmente versato in eccesso.5.- Il secondo motivo - col quale la sentenza è censurata per ultrapetizione e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che il massimale può essere superato per rivalutazione ed interessi anche in difetto di specifica domanda da parte del danneggiato - è assorbito, in quanto espressamente condizionato all'accoglimento del ricorso principale, invece respinto.Conclusioni.6.- Entrambi i ricorsi vanno conclusivamente rigettati.La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese.P.Q.M.La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.