Tutela reale anche per pseudo-dirigenti

La disciplina limitativa del potere di licenziamento prevista dallo Statuto dei lavoratori non si applica al dirigente, ma allo pseudo-dirigente sì.

A stabilirlo è stata la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza numero 20763/2012, depositata il 23 novembre. Il caso. Un uomo, con la qualifica di dirigente e le mansioni di responsabile della conduzione tecnica e produttiva di una stabilimento di una s.p.a., veniva licenziato dopo l’intervenuta fusione per incorporazione di detta società in un altro gruppo. Si rivolgeva, quindi, al tribunale in modo che venisse accertato che il rapporto inter partes era stato di natura pseudo dirigenziale, e che il recesso intimatogli era privo di giustificato motivo oggettivo. Recesso privo di giustificato motivo oggettivo. All’esito del giudizio veniva ordinato alla società di reintegrare il lavoratore, con condanna al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni globali di fatto dovute dalla data del recesso all’effettiva reintegrazione. Tuttavia, il tribunale precisava che il ricorrente non era dotato di «quell’elevato grado di autonomia e potere decisionale, nonché di quegli ampi poteri direttivi che ne giustificherebbero l’inquadramento nella categoria dei dirigenti». La società, una volta vistasi rigettare l’appello, ha proposto ricorso per cassazione. Il lavoratore è uno pseudo-dirigente. La S.C., nella sentenza numero 20763 depositata il 23 novembre 2012, sottolinea che la disciplina limitativa del potere di licenziamento leggi nnumero 604/1966 e 300/1970 non è applicabile articolo 10 l. numero 604/1966 ai dirigenti convenzionali, sia che si tratti di dirigenti apicali, che dirigenti medi o minori, «ad eccezione, tuttavia, degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro che dirigenti non sono, non essendo le mansioni da essi espletate riconducibili in alcun modo alla nozione ordinamentale o contrattuale del dirigente» Cass. numero 25145/2012 numero 897/2011 . Nella specie, infatti, il lavoratore non è mai stato dirigente, ma uno pseudo-dirigente, pertanto gli Ermellini hanno ritenuto correttamente applicabile la cd. tutela reale. Ricorso della società datrice di lavoro respinto dunque e contestuale condanna al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 23 novembre 2012, numero 20763 Presidente Roselli – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Modena, M.L. riferiva di essere stato assunto, nel gennaio 1991, dalla s.p.a. Cisa-Cerdisa, con la qualifica di dirigente e le mansioni di responsabile della conduzione tecnica e produttiva dello stabilimento numero omissis di aver svolto le sue mansioni sino al 31 marzo 2000, allorquando venne licenziato che il provvedimento risolutorio era stato giustificato con l'intervenuta fusione per incorporazione della Cisa-Cerdisa nel gruppo ceramico R Ciò premesso, il M. conveniva in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo che si accertasse che il rapporto inter partes era stato di natura pseudo dirigenziale, e che il recesso intimatogli era privo di giustificato motivo oggettivo, con la condanna della società convenuta, previa sua reintegrazione nel posto di lavoro, al risarcimento del danno nella misura pari alle retribuzioni perdute a partire dalla data del licenziamento. In subordine, il ricorrente chiedeva la condanna della società datrice al pagamento dell'indennità supplementare conseguente l’ingiustificatezza del licenziamento quale dirigente. Costituitasi in giudizio, la s.p.a. Gruppo Ceramiche R., deduceva che il ricorrente era stato un effettivo dirigente, avendo espletato le relative mansioni ed essendosi assunte le conseguenti responsabilità, sicché, nel caso di specie, non era applicabile la normativa limitativa dei licenziamenti. Il Tribunale, in accoglimento della domanda principale, dichiarava l'illegittimità del licenziamento, e, per l'effetto, ordinava alla società convenuta di reintegrare il M. nel suo posto di lavoro, con condanna al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni globali di fatto dovute dalla data del recesso all'effettiva reintegrazione. Il Tribunale prendeva, anzitutto, in esame la definizione di dirigente, contenuta nell'articolo 1 del c.c.numero l. per i dirigenti di aziende industriali, secondo cui sono dirigenti i prestatori di lavoro che ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell'impresa quindi rilevava, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, che il dirigente può anche essere preposto ad un ramo autonomo dell'impresa o ad altri importanti uffici o servizi, dovendo tuttavia, in ogni caso, essere dotato di ampi poteri direttivi e, dunque, dovendo svolgere le sue mansioni con un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, concorrendo alla promozione, al coordinamento ed alla gestione della realizzazione degli obiettivi dell'impresa . Il Tribunale accertava che dall'istruttoria espletata, non era risultato che il ricorrente fosse dotato di quell'elevato grado di autonomia e potere decisionale, nonché di quegli ampi poteri direttivi che ne giustificherebbero l'inquadramento nella categoria dei dirigenti . Avverso tale sentenza proponeva appello il Gruppo Ceramiche R. s.p.a. resisteva il M. . La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 13 dicembre 2007, respingeva il gravame, condannando l'appellante al pagamento delle spese di lite. Quest'ultima propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste il M. con controricorso. Motivi della decisione Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza. 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 10 L. numero 604 del 1966. Lamenta che esso stabilisce con chiarezza che le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'articolo 2095 c.c. , escludendo così chiaramente dal suo ambito di applicazione i prestatori di lavoro cui sia stata attribuita la qualifica di dirigente, così com'era pacifico nella specie. Deduce che anche a voler considerare il M. un dirigente non apicale o convenzionale, ad esso spettava unicamente la tutela obbligatoria. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo e controverso, e cioè la effettiva qualifica del M. , ed in particolare se egli dovesse considerarsi un dirigente convenzionale sottratto alla tutela reale , ovvero uno pseudo dirigente, che dirigente non è, e come tale è soggetto al regime vincolistico sui licenziamenti. 3. I motivi, che per la loro connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono infondati. Non v'è infatti alcun dubbio che, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi numero 604 del 1966 e numero 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell'articolo 10 della legge numero 604 del 1966, neppure ai dirigenti convenzionali, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori cfr. Cass. sez. unumero numero 7880/07 , ad eccezione, tuttavia, degli pseudo - dirigenti, vale a dire di coloro che dirigenti non sono, non essendo le mansioni da essi espletate riconducibili in alcun modo alla nozione ordinamentale o contrattuale del dirigente ex plurimis, Cass. 13 dicembre 2010 numero 25145 Cass. 17 gennaio 2011 numero 897 . Nella specie la Corte di merito, pur utilizzando indistintamente la locuzione dirigenti convenzionali e pseudo dirigenti , ha ritenuto ed accertato, così come fatto dal Tribunale, che il M. non fosse affatto un dirigente e dunque fosse il realtà uno pseudo dirigente e non un dirigente convenzionale così del resto, esplicitamente, a pag. 20 della sentenza impugnata , non svolgendo alcuna mansione che, per potere decisionale ed autonomia organizzativa, fosse in grado di concorrere, in alcun modo, alla promozione, al coordinamento ed alla gestione degli obiettivi dell'impresa. Ha conseguentemente e correttamente ritenuto applicabile al M. la tutela c.d. reale, difettando la prova della sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. 4. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge.