Il Giudice che deve decidere su una domanda di risarcimento per il danno ambientale, ancora pendente alla data di entrata in vigore della legge 97/2013, può individuare le misure riparatorie secondo la normativa sopravvenute.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16806, depositata il 13 agosto 2015. Il caso. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio otteneva, ai sensi dell'articolo 18 della legge 349/86, ingiunzioni di pagamento nei confronti dei due già legali rappresentati di una società per somme dovute a titolo di risarcimento del danno ambientale, causato dallo sversamento di prodotti verniciati in una canaletta adiacente la fabbrica ove la società svolgeva la sua attività. Le opposizioni degli ingiunti venivano accolte dal Tribunale adito, che riteneva non assolto dal Ministero l'onere probatorio sulla persistenza di un qualsivoglia danno ambientale dopo il risarcimento in forma specifica già avvenuto, avendo gli opponenti riportato la canaletta nelle condizioni originarie. L'appello del Ministero veniva respinto dalla Corte territoriale, che riscontrava la riduzione in pristino sulla base della c.t.u., escludendo la prova del pericolo di inquinamento idrico e ambientale e delle perdite temporanee. Avverso la sentenza di gravame veniva proposto ricorso per Cassazione dal Ministero. La normativa comunitaria. La Corte, richiamando le recenti pronunce nnumero 9012 e 9013 del 6/5/2015, chiarisce come, anche in ragione del recepimento della direttiva 2004/35/CE, debba ritenersi espunta dall'ordinamento la risarcibilità per equivalente del danno ambientale e dunque oramai legittimi i soli interventi di recupero o riparazione suddivisi in primaria, complementare e compensativa , se del caso all'esito di una compiuta riconsiderazione complessiva dei numerosi e differenziati interessi coinvolti generali e particolari, ma mai soltanto economici o patrimoniali in senso stretto , facenti capo ad una collettività potenzialmente indeterminabile ex ante. Deve dunque ritenersi insussistente qualsiasi danno ambientale residuale economicamente quantificabile e così risarcibile in forma specifica o per equivalente , ogniqualvolta, ottenuta la riduzione in pristino, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio inquinato o danneggiato. Solo il rimborso dei costi di tali misure potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti. L'ambiente, bene tutelato, è inscindibile dalle modalità di risarcimento. In ottemperanza ai principi comunitari richiamati, la Suprema Corte ha ritenuto che il Giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della l. 6/8/2013 numero 97, essendo esclusa la liquidazione per equivalente, possa pronunciarsi sulla domanda in applicazione del nuovo testo dell'articolo 311 d. lgs. 152/2006, come modificato dall'articolo 5 bis, comma 1, lett. b , del d. l. 135/2009 e poi dall'articolo 25 della l. 97/2013, individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa, e per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, determinandone il costo, condannare i soggetti obbligati al rimborso dello stesso.