L’inderogabilità dei minimi tariffari stabilito all’articolo 24 l. numero 794/42 sugli onorari di avvocato, non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest’ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa, ma per ragioni di amicizia, parentela o anche semplice convenienza.
Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza numero 17975/17, depositata il 20 luglio. Il caso. La Corte d’Appello rigettava il gravame proposto da un avvocato avverso la decisione del Tribunale di primo grado con la quale era stata solo in minima parte accolta la domanda da lui presentata, al fine di vedere riconosciuto il pagamento del compenso relativo alle prestazioni professionali da lui rese nell’ambito di una causa civile. La Corte d’Appello ha sostanzialmente confermato, infatti, il giudizio espresso dal Tribunale, ritenendo che, visto il rapporto di amicizia e colleganza intercorrente tra le parti, la gratuità dell’incarico, non potesse ritenersi contrario al principio di inderogabilità, ad eccezione del rimborso delle spese vive. Avverso tale pronuncia l’avvocato ricorre in Cassazione. L’inderogabilità dei minimi tariffari. La Cassazione nel dirimere il caso di specie richiama il consolidato principio secondo il quale l’inderogabilità dei minimi tariffari stabilito all’articolo 24 l. numero 794/42 sugli onorari di avvocato, «non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest’ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa, ma per ragioni di amicizia, parentela o anche semplice convenienza». La Cassazione, inoltre, respinge anche la sussistenza della doglianza del ricorrente relativa alla violazione dell’articolo 2721 c.c., in merito all’inammissibilità della prova testimoniale del pactum de non petendo, ritenendolo giustificato sulla base delle risultanze emerse in ordine ai rapporti fra le parti e l’attività meramente formale svolta dall’appellante, il quale si era limitato a sottoscrivere gli atti predisposti dal proprio cliente. Per questi motivi la Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 7 giugno – 20 luglio 2017, numero 17975 Presidente Nappi – Relatore Campanile Fatto e diritto Rilevato che con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dall’avv. M.A. avverso la decisione di primo grado con la quale era stata solo in minima parte accolta, relativamente ad Euro 230,61 per spese vive, la propria domanda - originariamente rivolta contro i coniugi sig.ra P.C. e l’avv. Mi.Pa. e, dopo il decesso del secondo, contro i suoi eredi - avente ad oggetto il pagamento del compenso relativo alle prestazioni professionali rese nell’ambito di una causa civile la corte distrettuale, dopo aver premesso che la domanda, avente ad oggetto un’obbligazione solidale, riguardava, sulla base delle richieste dell’appellante, la sola P. in proprio avendo rinunciato all’eredità del marito , ha sostanzialmente confermato il giudizio espresso dal tribunale circa la gratuità dell’incarico, ad eccezione del rimborso delle spese vive, cui non era ostativo, in presenza di specifiche ragioni di amicizia, di colleganza e di riconoscenza il Mi. avrebbe ceduto in precedenza parte della propria clientela allo studio legale di cui faceva parte l’attore , il principio della inderogabilità dei minimi tariffari la tesi sostenuta dalla parte convenuta era suffragata, in fatto, dalla circostanza che gli atti del procedimento erano predisposti dall’avv. Mi. , e che, prima di una certa data, il M. non aveva avanzato alcuna richiesta, laddove il tribunale aveva correttamente valutato le risultanze probatorie e congruamente determinato i danni attribuiti ai sensi dell’articolo 89 cod. proc. civ. avverso tale decisione l’avv. M. propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso la sig.ra P. Le parti hanno depositato memorie Considerato che il Collegio ha disposto, in conformità al decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata i primi due motivi, da trattare congiuntamente, con i quali si deduce la violazione degli articolo 24 della l. numero 794 del 1942 e 2 della tariffa forense di cui al D.M. numero 127 dell’8 aprile 2004, nonché vizio di omessa esame di un punto decisivo della controversia, sono infondati la corte territoriale ha infatti correttamente applicato, fornendo adeguata motivazione, il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall’articolo 24 l. 13 giugno 1942 numero 794 sugli onorari di avvocato, non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest’ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa, ma per ragioni di amicizia, parentela o anche semplice convenienza Cass. 21.7.1998, numero 7144 Cass., 10.4.1999, numero 3495 Cass., 27.9.2010, numero 20269 il terzo mezzo, con il quale si deduce la violazione degli articolo 2721 e ss. cod. civ. e quindi l’inammissibilità della prova testimoniale in merito al pactum de non petendo, è infondato, in quanto l’esercizio della facoltà di cui al secondo comma dell’articolo 2721 cod. civ. è stato congruamente giustificato dalla corte di appello, con riferimento al complesso delle risultanze obiettive emerse in ordine ai rapporti fra le parti e all’attività meramente formale svolta dall’appellante, che si era limitato a sottoscrivere gli atti predisposti dal proprio cliente il quarto motivo, con il quale si deduce violazione degli articolo 1321, 1324 e 1325 cod. civ. introduce per la prima volta il tema della riferibilità del pactum de non petendo al solo avv. Mi. , senza per altro censurare adeguatamente la tesi dell’unicità dell’obbligazione sostenuta nella decisione con riferimento allo stesso vincolo contrattuale derivante da un mandato conferito congiuntamente e all’unicità della prestazione il quinto motivo è inammissibile in quanto attiene a una diversa valutazione delle risultanze probatorie, per altro in contrasto con la formulazione - applicabile ratione temporis - dell’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’articolo 360 bis cod. proc. civ., nell’interpretazione di recente ribadita dalle Sezioni unite di questa Corte con la decisione del 21 marzo 2017, numero 7155 le spese - comprensive del procedimento svoltosi ai sensi dell’articolo 373 cod. proc. civ. davanti alla Corte di appello di Roma Cass., 30 settembre 2015, numero 19544 - seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, comprensive del procedimento ex articolo 373 cod. proc. civ., liquidate in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’articolo 13 del d.P.R. numero 115 del 2002.