Confermata la condanna nei confronti dell’uomo due mesi di reclusione e 200 euro di multa. L’uomo ha spesso ‘bucato’ il versamento dell’assegno di mantenimento alla moglie e ai figli. Decisiva la constatazione che, nonostante la pensione di invalidità, egli ha lavorato col fratello e ha fornito un aiuto economico al padre.
Appena 250 euro mensili come pensione di invalidità per un uomo – ufficialmente senza lavoro – e, allo stesso tempo, 90 euro mensili da girare, come assegno di mantenimento, alla moglie. Nonostante il ‘peso’ economico dell’obbligo fissato nel giudizio di separazione, resta grave, comunque, il versamento ‘a singhiozzo’ effettuato dall’uomo. Irrilevante anche il richiamo difensivo alla propria precaria condizione fisica, richiamo sminuito, peraltro, dalla collaborazione commerciale col fratello e dall’aiuto economico fornito al padre Cassazione, sentenza numero 20133, sezione sesta penale, depositata oggi . Mantenimento. Nessun dubbio hanno manifestato già i giudici di merito l’uomo ha «fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie, ai due figli minori e al figlio maggiorenne». Egli, in sostanza, non ha versato o ha versato in modo parziale e non puntuale «l’assegno di mantenimento, pari a 90 euro mensili, stabilito dal Tribunale civile, in sede di separazione». Consequenziale la condanna «alla pena di due mesi di reclusione e 200 euro di multa». Famiglia. Secondo l’uomo, però, è stato trascurato, innanzitutto, il fatto che ci si trovava di fronte a «inadempienze sporadiche ed estemporanee, non volontarie, non serie e non sufficientemente protratte». E, allo stesso tempo, sempre secondo l’uomo, vi è un errore clamoroso, da parte dei giudici, nel «definire esiguo l’importo mensile da versare, posto che la somma di 90 euro mensili andava rapportata a quella di 250 euro mensili» da lui «percepita quale pensione di invalidità». Tali obiezioni si rivelano, tuttavia, inutili. Anche per i giudici della Cassazione, difatti, la condotta dell’uomo è da sanzionare. Confermata, quindi, la condanna sancita in Appello. Decisiva, alla luce della ricostruzione della vicenda, la constatazione che egli, pur essendo «formalmente disoccupato e invalido civile», in realtà «aveva sempre lavorato presso il negozio di mobili del fratello, ricevendone un congruo reddito, tanto da poter aiutare economicamente il padre». Evidente, di conseguenza, la gravità della disattenzione manifestata nei confronti della sua famiglia, e concretizzatasi, come detto, nel mancato versamento «alla moglie ed ai figli, per lunghi periodi, dei necessari mezzi di sussistenza».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 marzo – 14 maggio 2015, numero 20133 Presidente Agrò – Relatore Rotundo Fatto e diritto 1. C.R. ha proposto, tramite il suo difensore, ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale, in data 22 5-14, la Corte di Appello di Caltanissetta, sezione 2° penale, ha confermato la condanna, con attenuanti generiche, alla pena di mesi due di reclusione e euro duecento di multa pronunciata nei suoi confronti in primo grado per il reato di cui all'articolo 570 c.p., per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie D.S.M., ai figli minori E.L.e R.S. e al figlio maggiorenne, non versando o versando in modo parziale e non puntuale l'assegno di mantenimento pari a euro novanta mensili stabilito dal Tribunale civile di Caltanissetta in sede di separazione. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità per il reato di cui all'articolo 570 c.p. a lui ascritto, sostenendo che a Corte di Appello non avrebbe adeguatamente considerato che nel caso in esame si sarebbe trattato di inadempienze sporadiche ed estemporanee, non volontarie, non serie e non sufficientemente protratte. A parte il fatto che nella sentenza impugnata si sarebbe errato neòl definire esiguo l'importo mensile da versare, posto che la somma di novanta euro mensili fissata dal Tribunale come assegno di mantenimento andava rapportata a quella di duecentoquaranta euro mensili, percepita quale pensione di invalidità da esso C 2. II ricorso deve essere dichiarato inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza. La Corte di Appello ha, infatti, già esaminato e respinto, con adeguata motivazione, le censure oggi riproposte, rilevando che le risultanze processuali avevano dimostrato che l'imputato, pur essendo formalmente disoccupato e invalido civile, aveva sempre lavorato presso il negozio di mobili dei fratello, ricevendone un congruo reddito, tanto da poter aiutare economicamente il padre che versava in pessime condizioni e, tuttavia, non aveva versato per lunghi periodi alla moglie ed ai figli i necessari mezzi di sussistenza. Ne deriva che l'attuale ricorso risulta sostanzialmente basato su doglianze non consentite in sede di giudizio di legittimità. Le censure dei ricorrente attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. 3. Consegue alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorso la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.