In tema di immigrazione clandestina, e quindi di protezione speciale dell’extracomunitario, la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato nello Stato di ritorno può giustificare, ai fini della concessione della protezione sussidiaria, la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo.
E’, così, illegittima la sentenza di merito con cui, accertati la situazione storico-politica dello Stato di origine, la credibilità delle dichiarazioni dello straniero, l’omessa giustificazione da parte del giudice sul mancato riconoscimento delle condizioni per lo status di rifugiato e la contraddittorietà tra dispositivo e motivazione della sentenza, venga esclusa la protezione sussidiaria già concessa in primo grado e disposta altra misura. Il principio si argomenta dalla sentenza numero 6503/14, decisa il 14 gennaio e depositata il 20 marzo 2014. Il caso. Un cittadino del Bangladesh - il cui padre, esponente di spicco del partito che aveva perso le elezioni, era morto dopo avere subìto torture, così come il fratello e lo zio e senza avere alcun aiuto dalla polizia - dichiarava, senza produrre alcun certificato, di essere politicamente militante, di essere partito dal proprio Paese, a causa dello scoppio della guerra, di avere raggiunto la Libia e, quindi, l’Italia in primo grado, gli veniva concessa la protezione sussidiaria mentre in secondo grado gli veniva riconosciuta soltanto la protezione umanitaria e negato lo status di rifugiato politico. La protezione dell’immigrato extraeuropeo tra status di rifugiato, protezione sussidiaria ed umanitaria presupposti e comparazioni. In primis, vanno richiamati gli articolo 2, 3, 10, 11, 22, 24 e 117 Cost., 2697 c.c., 5, comma 6, d.lgs. numero 286/1998, la direttiva 2004/83/CE, gli articolo 2, 3, 5, 7, 8, 11 e 14 d.lgs. numero 251/2007, 8, 11, 27 e 32 d.lgs. numero 25/2008 ed il d.lgs. numero 158/2009. Sotto il profilo formale, va ricordato che l’ordinamento vigente prevede veri e propri obblighi ed oneri processuali a carico sia del ricorrente che del magistrato all’uopo, il primo è tenuto a formulare una censura ad hoc sul singolo aspetto della questione, a pena di formazione di relativo giudicato, ed il secondo ad emettere un provvedimento coerente col proprio iter logico-giuridico e con le risultanze istruttorie anche del magistrato precedentemente adito . In termini di diritto sostanziale, è da notare che non va necessariamente provata in via ordinaria l’esistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona dello straniero se il conflitto armato in corso, valutato dalle Autorità nazionali o dai giudici di uno Stato membro, raggiunga un livello così elevato da far ragionevolmente ritenere, in re ipsa, un rischio effettivo di subìre la minaccia Cass. numero 8281/2013 . Segnatamente, il rifugiato è colui che abbia un timore fondato di essere perseguitato, nel proprio Paese di origine, per motivi costituzionalmente rilevanti all’uopo, va detto che per “persecuzione” si intendono, per es., le minacce alla vita, la tortura, le ingiuste privazioni della libertà personale, le violazioni gravi dei diritti umani. Per essere riconosciuto rifugiato, non è indispensabile essere già stato effettivamente vittima di persecuzione bensì è sufficiente il fondato motivo di temere l’esposizione, in caso di rimpatrio, ad un serio rischio di persecuzione. Tra gli effetti del riconoscimento dello status di rifugiato vi è il diritto al ricongiungimento familiare, il permesso di soggiorno o titolo di viaggio, la parificazione sanitaria e scolastica con il cittadino italiano è stata, invece, prevista l’esclusione dalla concessione dello status di rifugiato per lo straniero che a abbia commesso un crimine contro la pace, di guerra o contro l’umanità b abbia commesso, al di fuori del territorio italiano, prima del rilascio del permesso di soggiorno in qualità di rifugiato, un reato grave ovvero atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi c si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi O.N.U La protezione sussidiaria è, invece, la protezione che viene accordata allo straniero privo dei requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che possa essere esposto, in caso di rientro nel Paese di origine o nel Paese in cui aveva la propria dimora abituale, ad un rischio effettivo di subìre un grave danno, ed il quale straniero non possa o non voglia, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di detto Stato tale protezione sussidiaria viene, generalmente, riconosciuta in caso di pericolo oggettivo derivante da violenza indiscriminata e non necessariamente individuale Corte Giust. UE numero 172/2009 e 30-01-2014 C-285/12 . Infine, la protezione umanitaria può essere concessa mediante il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi ad hoc quando, pur non essendo ravvisabili gli estremi per la protezione internazionale, rilevino gravi motivi di carattere umanitario per il richiedente asilo. Va riconosciuta la protezione internazionale per la nota situazione storico-politica dello Stato di provenienza e/o quando nelle ragioni di fuga sono ravvisabili motivi specifici di persecuzione. In ambito di tutela dell’incolumità dell’extracomunitario in fuga dal proprio Paese, la protezione sussidiaria, contrariamente a quanto sostenuto da App. Napoli numero 1984/2013, può essere concessa se il magistrato valuti oggettivamente attendibili le dichiarazioni dello straniero richiedente e, quindi, anche senza prova documentale ad hoc ed anche a prescindere dal fumus persecutionis. Sotto il profilo formale, infine, la sentenza d’appello va annullata quando nel dispositivo venga confermato il percorso argomentativo del provvedimento di primo grado recante il riconoscimento di una determinata misura la protezione sussidiaria ma in motivazione la misura riconosciuta sia un’altra la protezione umanitaria e, cioè, se si deduca che il magistrato d’appello volesse riconoscere la medesima misura di primo grado. Ergo, il ricorso va accolto.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 14 gennaio – 20 marzo 2014, numero 6503 Presidente Macioce – Relatore Acierno Svolgimento del processo e motivi della decisione Nella sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Napoli, confermando, secondo quanto indicato nel dispositivo, la pronuncia del giudice di primo grado, ha riconosciuto al cittadino straniero ricorrente la misura della protezione umanitaria ai sensi dell'articolo 5, comma sesto, d.lgs numero 286 del 1998. A sostegno della decisione assunta, la Corte d'Appello, nell'escludere la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato politico richiesto dall'appellante, osservava che dalla narrazione del richiedente non emergevano fatti di persecuzione specifica a suo danno. Egli, infatti, si era dichiarato cittadino bangla, senza produrre alcun certificato che potesse confermare tale assunto aveva affermato di essere partito dal suo paese il 24/4/2010 di essersi diretto a Lahore di avere raggiunto la Libia e di aver raggiunto Misurata per lavorare come architetto in una ditta di costruzioni di aver raggiunto Lampedusa il 1/5/2011, a causa dello scoppio della guerra, precisando di essere militante nel partito politico Lega Musulmana Q e di essere dovuto scappare dal Bangladesh per questa ragione. Secondo la Corte d'Appello, doveva essere condivisa la valutazione delle circostanze narrate eseguite dal Tribunale, e superate le eccezioni pregiudiziali, doveva essere riconosciuta la protezione umanitaria. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero, affidato a due motivi, preceduti da una disamina dei fatti così rappresentata il padre del ricorrente era morto dopo aver subito torture per quattro mesi il 10/9/2012 dopo che il partito Pakistan Muslim League N aveva vinto le elezioni nella regione ove risiedeva la famiglia del ricorrente ed il ricorrente medesimo il padre del ricorrente era un esponente di spicco del partito Pakistan Muslim League Q che quelle elezioni aveva perso era stato ucciso anche lo zio del ricorrente tutti i familiari avevano la tessera del partito perdente erano una famiglia in vista e gestivano uno studio di progettazione architettonica anche il fratello, iscritto al partito era morto per le medesime ragioni. Il Tribunale aveva riconosciuto, sulla base dei fatti narrati, la protezione sussidiaria, ritenendo abbastanza credibile il racconto del richiedente, anche in considerazione della situazione politica e storica del paese di provenienza, caratterizzata da continui attacchi provenienti dalle fazioni estremiste e da una situazione del tutto critica in ordine alla tutela dei diritti umani. L'appellante aveva richiesto, in sede d'impugnazione, il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Nel primo motivo di ricorso veniva dedotta la violazione degli articolo 2, 5,7, 11 del d.lgs. numero 251 del 2007 degli articolo 8 ed 11 del d.lgs. numero 25 del 2008, come modificato dal d.lgs. numero 158 del 2009, per avere la Corte d'Appello omesso di verificare la documentazione prodotta ed avere retrocesso a semplice protezione umanitaria la protezione sussidiaria concessa dal Tribunale. Rileva al riguardo il ricorrente che la ricostruzione dei fatti così come approfonditamente eseguita dal giudice di primo grado evidenziava l'applicabilità dell'articolo 8 del d.lgs. numero 251 del 2007, ravvisandosi nella ragione di fuga del ricorrente motivi di persecuzione politica specifici, peraltro determinanti la morte del padre e del fratello. Sottolineava al riguardo che il partito opposto a quello di famiglia, nel quale il padre era stato braccio destro del sindaco, dopo aver distrutto il loro ufficio, dava ai medesimi un ultimatum per lasciare il Pakistan e torturava ferocemente il padre per essere tornato nel proprio paese solo in occasione del funerale del fratello. A causa delle torture subite il padre moriva. La polizia non li aveva in alcun modo aiutati, sostenendo di non poter intervenire e minacciando di agire contro di loro. Per queste ragioni al ricorrente doveva essere concesso lo status di rifugiato e non vi era alcuna ragione logica per escludere anche la protezione sussidiaria, limitando la misura concessa al permesso umanitario. Nel secondo motivo veniva dedotta la violazione dell'articolo 3 e degli articolo 5,7,8 del d.lgs.numero 251 del 2007 nonché dagli articolo 27 e 32 del d.lgs numero 25 del 2008 come modificato dal d.lgs numero 158 del 2009 per avere la Corte d'Appello, dopo aver astrattamente enunciato i principi regolatori dell'onus probandi, del potere di cooperazione istruttoria rimesso al giudice, e dei criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni dei richiedenti nei procedimenti di protezione internazionale, ne ha del tutto disatteso la valenza cogente, limitandosi ad accettare acriticamente il percorso logico argomentativo svolto dal Tribunale. La censura viene svolta anche sotto il profilo del vizio di motivazione, in particolare per la radicale omissione di giustificazione in ordine al non riconoscimento delle condizioni per lo status di rifugiato. I due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per la connessione logica che li informa, meritano accoglimento nei limiti che verranno illustrati. La pronuncia del giudice d' appello, come correttamente evidenziato dal ricorrente, evidenzia una contraddittorietà tra dispositivo e motivazione che deve essere emendata. Nel dispositivo viene espressamente confermata la pronuncia di primo grado, di riconoscimento incontestato dello status della protezione sussidiaria, mentre nella motivazione si denomina, pur aderendo integralmente, per relationem, al tessuto motivazionale del provvedimento di primo grado, la misura riconosciuta come protezione umanitaria. Risulta, al riguardo evidente che, alla luce della espressa condivisione del percorso argomentativo della pronuncia impugnata e del contenuto inequivoco del dispositivo, deve ritenersi che al ricorrente si volesse riconoscere la protezione sussidiaria. In mancanza di un'impugnazione del Ministero dell'Interno volta ad escludere la sussistenza dei requisiti per tale misura, la sentenza d'appello, in conclusione deve ritenersi coperta da giudicato in ordine alla predetta protezione sussidiaria, della quale il ricorrente è incontestatamente e definitivamente titolare. Ulteriore e principale oggetto dei motivi di ricorso è, tuttavia, il mancato riconoscimento dei requisiti per lo status di rifugiato politico. Al riguardo, deve osservarsi che l'esame comparativo dei requisiti relativi alla misura maggiore e quelli riguardanti la protezione sussidiaria, pongono in evidenza il differente grado di personalizzazione del rischio che deve essere accertato nelle due forme di protezione internazionale, sia con riferimento alle ipotesi descritte alle lettere a e b dell'articolo 14 del d.lgs numero 251 del 2007 pericolo di morte o trattamenti inumani e degradanti , sia nell'ipotesi indicata nella lettera c del medesimo articolo. Partendo da quest'ultima norma, nella protezione sussidiaria, la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato sentenza Corte di Giustizia numero 172 del 2009, Caso Elgafaji contro Paesi Bassi, principio ribadito con riferimento alla definizione di conflitto armato interno nella successiva sentenza del 30/1/2014 Caso Diakitè numero 285-12 nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo. In particolare, la Corte di Giustizia, nel caso Elgafaji, ha stabilito l'esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest'ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale - l'esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia . Il principio esposto dalla Corte di giustizia ha trovato puntuale applicazione in situazione di pericolo oggettivo derivante da violenza indiscriminata perché non controllata dalle autorità statuali in Cass. 8281 del 2013. Peraltro anche con riferimento alle altre ipotesi di protezione sussidiaria, disciplinate nelle lettere a e b dell'articolo 14, l'esposizione al pericolo di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado d'individualizzazione per esempio, per l'appartenenza ad una comunità, ad un gruppo sociale, ad un genere, ad una fazione religiosa o politica etc. non deve avere i caratteri più rigorosi del fumus persecutionis. La differenza con il rifugio politico si coglie, anche in queste ipotesi, nell'attenuazione del nesso causale tra la vicenda individuale e il pericolo rappresentato. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, deve ritenersi che le vicende descritte dal ricorrente non consentono di ritenere sussistente una condizione di persecuzione a fini politici direttamente rivolta verso la sua persona, pur esponendolo, come accertato con pronuncia coperta da giudicato, ad un serio rischio per la sua incolumità fisica in caso di rientro in Bangladesh. In particolare è emerso che il padre del ricorrente fosse direttamente oggetto di persecuzione diretta, mentre la medesima condizione non risulta caratterizzare la condizione del ricorrente. Al di là dell'appartenenza al partito del padre non è stato neanche allegato il coinvolgimento del ricorrente in attività partitiche, al contrario del proprio genitore. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e deciso nel merito nei limiti del riconoscimento della protezione sussidiaria con applicazione del principio della soccombenza in ordine ad entrambi i gradi di giudizio. Le spese processuali devono, tuttavia, essere liquidate in favore dell'erario ex articolo 133 d.p.r. numero 115 del 2002, non potendo essere accolta la richiesta di distrazione formulata dal legale della parte ricorrente nell'ipotesi di patrocinio a spese dello stato S.U. ord. 20788 del 2012 . Non sussistono le condizioni per applicare l’articolo 13 comma 1 quater dPR 115/02. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione, e, decidendo nel merito riconosce al ricorrente la protezione sussidiaria. Condanna l'amministrazione soccombente alla rifusione delle spese del giudizio d'appello, da liquidarsi in favore dell'Erario in Euro 1.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi nonché del presente procedimento che liquida in Euro 1.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.