In caso di patteggiamento, l’onere motivazionale richiesto al giudice con riferimento alla mancata ricorrenza delle cause di proscioglimento di cui all’articolo 129 c.p.p. ben può ritenersi assolto tramite il mero richiamo alla norma processuale, in quanto idoneo a presumere espletata la verifica quanto all’assenza di motivi che ostano alla condanna.
Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 11110, depositata il 7 marzo 2014. Detenzione e cessione di 180 gr. marijuana. Nel caso di specie un uomo è stato rinviato a giudizio per il reato di detenzione e cessione di sostanza stupefacente ex articolo 75, comma 5, d.p.r. numero 309/90, all’esito del quale l’imputato ha chiesto e ottenuto una declaratoria di condanna, con pena patteggiata ai sensi dell’articolo 444, c.p.p Avverso siffatto provvedimento la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, il ricorrente dolendosi dell’insufficienza motivazionale della sentenza gravata nella parte in cui il Giudice di merito non ebbe ad indicare il perché dell’esclusa ricorrenza delle ipotesi di non punibilità di cui all’articolo 129, c.p.p Pronuncia ad ampio raggio. La Suprema Corte, nell’affrontare la questione sottoposta alla sua attenzione, coglie l’occasione per fare il punto sulla natura giuridica dell’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 75, comma 5 del citato testo normativo, tenendo in particolare considerazione il suo vissuto, ma anche le ripercussioni che - in astratto - potrebbe su di essa sortire la recente decisione del Giudice delle Leggi sent. numero 32/2014 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale in parte qua della cd. legge “Fini-Giovanardi”. Fattispecie autonoma di reato. Quanto alla natura giuridica, la Corte ha avuto modo di ribadire come, in seguito all’intervento di modifica ad opera d.l. numero 146/2013, conv. in L. numero 10/2014, l’ipotesi in esame - che punisce le condotte di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti “di lieve entità” - sia stata trasformata da mera circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, con il conseguente effetto, tra vari, di sottrarla al giudizio di bilanciamento con le circostanze che potrebbero ricorrere nel caso concreto. Le non ricadute della declaratoria di incostituzionalità della “Fini Giovanardi” sull’articolo 73, comma 5. Ciò posto, la Corte è passata ad affrontare - per vero solo pro futuro data l’inapplicabilità delle conclusioni offerte al caso in esame - alla diversa questione concernente l’incidenza della sentenza della Corte Costituzionale, numero 32/2014, con la quale si è posto fine al regime indifferenziato del trattamento sanzionatorio in materia di stupefacenti, riportando alla luce la disciplina - a duplice intensità - fondata sul distinguo tra droghe leggere e droghe pesanti. Sul punto i Giudici di legittimità hanno avuto cura di evidenziare come detta pronuncia lasci intatta la disciplina dell’articolo 73, comma 5, poiché detta ipotesi di reato è, in ogni caso, svincolata - quanto a trattamento sanzionatorio – dalle più gravi fattispecie di detenzione e cessione di cui ai primi commi del medesimo articolo. Col ché si conclude affermando che il regime previsto al comma 5 continuerà a rimanere indifferenziato, senza che possa assumere rilevanza, per i fatti di lieve entità, la tipologia di sostanza trattata dal reo. Successione di leggi penali nel tempo e favor rei. Altra questione affrontata dalla Corte attiene al piano successorio, in specie con richiamo all’articolo 2, comma 4, c.p Più precisamente, la Suprema Curia si è interrogata sulla portata del principio di retroazione della legge successiva più favorevole a fronte di una sentenza di patteggiamento che, come nel caso in esame, sia il risultato di un calcolo di pena parametrato al minimo edittale previsto dalla norma vigente al momento del fatto minimo editale che, peraltro, con riferimento all’articolo 73, comma 5, è rimasto immutato in seguito alle modifiche introdotte dal d.l. 146/2013. Sotto questo profilo, la Corte ha ritenuto priva di senso la rimessione ad altro giudice di merito per un nuovo calcolo della pena nella misura in cui la pena base applicata sia vicina al minimo edittale, e tanto per un principio di logica e, se vogliamo, anche di economia processuale posto che dal nuovo calcolo non potrebbe discendere alcun effetto più favorevole. Altro accade allorché il giudice abbia applicato una pena vicina al massimo editale o, comunque, superiore a quella successivamente stabilita dalla norma sopravvenuta in questi casi, infatti, sorge la necessità di ricalcolare la pena, giusto il principio di eguaglianza e il diritto del reo ad essere sottoposto ad un trattamento sanzionatorio effettivamente o potenzialmente più mite. Sentenza di patteggiamento con motivazione attenuata. Da ultimo la Corte capitolina ha affrontato punctun dolens del caso in esame, e cioè quello relativo all’intensità dell’onere motivazionale gravante sul giudice in ordine all’assenza della ricorrenza delle ipotesi di non punibilità di cui all’articolo 129, c.p.p. a fronte di una richiesta di applicazione di pena presentata dalle parti. A siffatto interrogativo si è data compiuta risposta ponendo l’accento sulla genesi e sulla struttura del patteggiamento che – a dir degli Ermellini – solleverebbe il giudicante dal dover indicare funditus le ragioni che lo hanno determinato nel senso di accogliere la richiesta e quelle utili ad escludere la ricorrenza delle - più volte citate - cause di non punibilità. Coerentemente, si è chiarito come l’esigenza minima di motivazione della sentenza - a seguito di patteggiamento - deve ritenersi assolta, in relazione alle cause di proscioglimento ex articolo 129, c.p.p., con il semplice e testuale rinvio al medesimo articolo «il cui contenuto» – così hanno concluso i giudici del Palazzaccio – entrerebbe «in tal modo a far parte per relationem del ragionamento decisorio», così esprimendo «l’avvenuta verifica, da parte del giudice, dell’inesistenza di motivi di non punibilità».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 febbraio – 7 marzo 2014, numero 11110 Presidente Teresi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Il G.I.P. presso il Tribunale di Venezia, in data 4/4/2013, pronunciava sentenza ex articolo 444 cod. proc. penumero di applicazione della pena, su accordo delle patti, nei confronti di K.J. , ritenuto il comma V dell'articolo 73 DPR 309/90 prevalente sulla contestata recidiva ed applicata la riduzione del rito, di anni 2 di reclusione ed Euro 6.700,00 di multa. All'imputato era stato contestato di avere illegalmente acquistato e detenuto a fini diversi dall'uso personale oltre 180 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana suddivisa in 11 involucri parte della quale 33 grammi circa suddivisi in 6 involucri consegnava a S.M. . Accertato in omissis il omissis . Con la recidiva specifica infraquinquennale. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione K.J. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero a. inosservanza e/o erronea applicazione, ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero degli articolo 444, comma 2, e 129 cod. proc. penumero b. in subordine, mancanza di motivazione sul punto ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il ricorrente deduce la mancanza di motivazione in ordine all'impossibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento, in quanto il GIP si sarebbe limitato ad affermare che non vi siano elementi in forza dei quali fondare il proscioglimento secondo il disposto dell'articolo 129 cod. proc. penumero . Deduce che in tal modo non è possibile ricostruire l'iter logico compiuto dal giudicante per giustificare l'esclusione dei requisiti di cui all'articolo l29 cod. proc. penumero . Chiede, pertanto, in accoglimento dei motivi, annullarsi con o senza rinvio ad altro giudice di merito la sentenza impugnata. In data 20.2.2014 il difensore ha depositato una memoria nella quale ripropone, in sintesi, i sopraindicati motivi di doglianza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile. 2. Preliminarmente ritiene il Collegio che ci si debba domandare quale influenza abbia sui processi ancora in corso, siano stati essi definiti con rito ordinario ovvero, come nel caso che ci occupa, con un rito alternativo, la modifica legislativa riguardante il quinto comma dell'articolo 73 dpr. 309/90 operata con l'articolo 2, comma 1 lett. a del D.L. 23.12.2013 numero 146, convertito, senza modifiche sul punto, dalla legge 21.2.2014 numero 10 in G.U. Serie generale numero 43 del 21.2.2014 . Com'è noto la modifica più importante attiene all'aver trasformato quella che per giurisprudenza consolidata di questa Corte era pacificamente ritenuta una circostanza attenuante cfr. ex plurimis Sez. Unite numero 9148 del 31.5.1991, Parisi, rv. 187930 conf. sez. 1, numero 496 del 3.2.1992, confi, comp. Pret. e Trib. Palermo in proc. Di Gaetano, rv. 191131 e, anche dopo le modifiche introdotte dall'articolo 4-bis I. 49/2006, ancora Sez. Unite numero 35737 del 24.6.2010, P.G. in proc. Rico, rv. 247910 conf. sez. 6 numero 458 del 28.9.2011 dep. 11.1.2012, Khadhraoui Farouk e altro, rv. 251557 sez. 6, numero 13523 del 22.10.2008 dep. 26.3.2009, De Lucia e altri, rv. 243827 in un'ipotesi autonoma di reato. Le perplessità avanzate da taluno dopo l'emanazione del DL 146/2013 risultano fugate dall'analisi dei lavori parlamentari e dagli ulteriori ritocchi posti in essere con la citata legge 10/2014 di conversione laddove nei vari richiami operati alla fattispecie di cui all'articolo 73 co. 5 Dpr. 309/90 il legislatore si è preoccupato di sostituire il riferimento alla circostanza di cui al comma 5 con quello al delitto ad esempio all'articolo 380 co. 2 lett. h c.p.p. o all'articolo 19 co. 5 delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni . Del resto, già l'avere con il D.L. 146/2013 introdotto una clausola di riserva per circoscrivere negativamente l'applicazione della norma, scrivendo salvo che il fatto costituisca più grave reato lasciava chiaramente intendere che quello di cui al quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90 voleva essere un titolo autonomo di reato. Conclusioni cui portava anche l'individuazione da parte del legislatore di un soggetto attivo chiunque e di una condotta commette , tipici delle norme incriminatrici autonome. 0 il fatto che lo stesso articolo 2 del D.L. 146/2013 era rubricato Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità . La sanzione prevista dal nuovo reato autonomo è senza dubbio più favorevole per l'imputato. Il nuovo articolo 73 co. 5 Dpr. 309/90 punisce, infatti, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 3.000 a Euro 26.000 chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, commetta uno dei fatti previsti dal medesimo articolo 73 che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, sia di lieve entità . La norma previgente prevedeva identica sanzione pecuniaria e, quanto alla pena detentiva, identico minimo edittale anni uno di reclusione ma una pena massima più alta anni sei di reclusione . La natura di reato autonomo sottrae poi oggi la norma al bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti, che spesso finiva per portare il trattamento sanzionatorio, anche per fatti di lieve entità a fronte ad esempio di una recidiva reiterata ritenuta equivalente all'ipotesi attenuata, qual era il quinto comma previgente a dover necessariamente riferirsi alle ben più severe pene di cui al primo comma dell'articolo 73. L'abbassamento del massimo edittale produce inoltre effetti di maggior favore per l'imputato sui termini di custodia cautelare e su quelli per il computo della prescrizione. 3. Un cenno va fatto anche ai rapporti con l'intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale numero 32/2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articolo 4 bis e 4 vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, numero 272 Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, numero 309 , convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, numero 49. Sul punto va precisato che le motivazioni della sentenza della Consulta, pronunciata il 12 febbraio 2014, risultano depositate nella stessa data di cui viene in decisione il presente processo 25 febbraio 2014 , ma non risulta ancora avvenuta la pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e pertanto, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 136 Cost. e dell'articolo 30 co. 3 L. 87/53, la stessa non è ancora produttiva di effetti. Con la sentenza in questione, rimossa dal giudice delle leggi la novella del 2006 di cui alla ed legge Fini-Giovanardi, si ha la reviviscenza del primo e del quarto comma dell'articolo 73 del d.P.R. numero 309 del 1990 nel testo anteriore alle modifiche con quella apportate che, mentre prevedono un trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette droghe leggere puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anziché con la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa , viceversa contemplano sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette droghe pesanti puniti, oltre che con la multa, con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni . È la stessa Corte Costituzionale a precisarlo in sentenza laddove afferma che in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei presupposti ex articolo 77, secondo comma, Cost, deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l'articolo 73 del d.P.R. numero 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate . E anche per quanto riguarda i rapporti con il vigente quinto comma la Consulta è esplicita. Si legge in sentenza È appena il caso di aggiungere che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all'articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990 dall'articolo 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, numero 146 Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria , convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, numero 10 . “Trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo scrivono ancora i giudici costituzionali per giustificare il rigetto della richiesta in tal senso non si ravvisa la necessità di una restituzione degli atti al giudice rimettente, dal momento che le modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione di cui è già stata esclusa l'applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione numero 49 del 2006, con riguardo a disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge numero 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima . Né può ritenersi che un'abrogazione implicita del vigente quinto comma dell'articolo 73 la si possa desumere, in via interpretativa, dal passo conclusivo della sentenza 32/2014 laddove la Consulta riconosce al giudice comune il compito di individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione . Vi osta il chiaro dictum dei giudici costituzionali che riguarda, come detto, specificamente il quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90, ma, soprattutto, la considerazione che tale norma non è divenuta priva del proprio oggetto dopo la reviviscenza della precedente normativa, in quanto i fatti-reato cui la norma rinvia sono gli stessi, anche se sanzionati diversamente. 4. Pare acclarato, dunque, che, anche quando avrà assunto piena vigenza la decisione della Corte Costituzionale, ci troveremo di fronte ad una disciplina in materia di stupefacenti che punirà con pene diverse i fatti-reato riconducibili al primo comma quando riguardino le tabelle inclusive delle droghe pesanti e quelli di cui alle tabelle delle droghe leggere di cui al quarto comma. Ma punirà in maniera indifferenziata, sia per le droghe leggere che per quelle pesanti, i fatti di lieve entità . In ogni caso, l'assetto normativo nel momento in cui interviene la presente sentenza vede ancora vigente l'articolo 73, co. 1, Dpr. 309/90 punitivo in via indifferenziata delle droghe c.d. pesanti e di quelle leggere come introdotto dal D.L. 30.12.2005 numero 272 conv. con modif. dalla L. 21.2.2006 numero 49. Orbene, come si è anticipato, va valutato il rapporto intertemporale che, in casi come quelli all'odierno esame intercorre tra la previsione di cui al quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90 ante DL 146/2013 e quella, più favorevole, oggi vigente. Nello specifico di questa Corte di legittimità va valutato se possa considerarsi legale la pena inflitta dal giudice del merito che, quando ha pronunciato la propria sentenza, aveva come riferimento l'articolo 73 co. 5 Dpr. 309/90 nel testo previgente. È fuori discussione che, ancorché i fatti siano accaduti sotto la legge previgente, trovi applicazione ai sensi dell'articolo 2 co. 4 cod. penumero , per il principio del favor rei, la più favorevole legge sopravvenuta. Ritiene tuttavia il Collegio che, a fronte di un'immutata previsione del fatto-reato sanzionato, un problema di successione di leggi penali nel tempo e di necessità di ricalcolare una pena divenuta illegale, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato si ponga soltanto nel caso in cui il giudice del merito sia partito da una pena base, oggi non più contemplata, superiore a cinque anni di reclusione. Oppure quando, considerata l'ipotesi di cui al quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90 circostanza attenuante, ne abbia eliso la portata bilanciandola, in quanto ritenuta minusvalente o equivalente, rispetto a circostanze aggravanti. Una conclusione in tal senso è conforme alla pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi in materia di ius superveniens per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace commessi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. numero 274/2000, che ha affermato che, sulla base della disciplina transitoria ivi prevista, andavano applicate le nuove sanzioni indicate dall'articolo 52 d.lgs. 274 cit. in quanto più favorevoli ai sensi dell'articolo 2 comma 3 cod. penumero . In quel caso la pena applicata dal giudice sotto la legge previgente venne considerata illegale in quanto non più prevista dalla normativa disciplinante il reato per il quale si procedeva ex plurimis, sez. 4, numero 1007 del 10.10.2002 dep. il 14.1.2003, Firpo, rv. 223490 sez. 2, numero 759 del 19.12.2005 dep. 111.1.2006, Ballini Katy, rv. 232862 sez. 4, numero 36725 del 1.4.2004, Battisti, rv. 229679 in particolare, sulla disciplina sanzionatoria applicabile in quanto più favorevole al reo, sez. 4, numero 1017 del 22.10.2002 dep il 14.1.2003, Gismondi, rv. 223491 sez. 4, numero 4799 del 19.11.2002 dep. il 3.2.2003, Clementi, rv. 223492 sez. 4, numero 7292 del 26.11.2002 dep. il 14.2.2003, Alite, rv. 223493 sez. 4 numero 4852 del 20.12.2002 dep. il 3.2.2003, Cangiano, rv. 223495 sez. 4, numero 5933 dell'11.12.2002 dep. il 7.2.2003, PM in proc. Baisi, rv. 223496 sez. 4, numero 7343 del 16.1.2003, Giovara, rv. 223497 sez. 4, numero 3982 del 12.11.2002 dep. il 28.1.2003, Mancini, rv. 223501 sez. 5 numero 40009 del 6.10.2003, Scalas, rv. 226785 . Caso analogo è stato quello in cui questa Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di patteggiamento impugnata con la quale la pena era stata concordata anche tenendo conto della contestata aggravante di cui all'articolo 69, comma 1, numero 11 bis, cod. penumero dichiarata incostituzionale in epoca successiva alla pattuizione della pena sez. 6, numero 4836 del 17.11.2010, Nasri, rv. 248533 nella cui motivazione viene evidenziato che l'annullamento è rilevato d'ufficio per una sopravvenuta causa di nullità che investe la qualificazione aggravata della condotta criminosa e la definizione del trattamento sanzionatorio applicato . Di fronte, dunque, ad un giudice del merito che, ritenuto il quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90 abbia pronunciato una sentenza di condanna partendo da una pena superiore a cinque anni di reclusione ovvero operando una comparazione di circostanze che non abbia comportato la prevalenza dell'allora ipotesi attenuata giudizio di prevalenza possibile anche per la recidiva reiterata dopo la sentenza della Corte Costituzionale numero 251/2012 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 69 cod. penumero laddove non lo consentiva questo giudice di legittimità non potrebbe che prendere atto dell'illegalità della pena e annullare la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per un nuovo giudizio sul punto, al giudice di merito. Nella medesima situazione, in caso di patteggiamento, discenderebbe l'esclusione della validità dell'accordo siglato tra le parti e ratificato dal giudice, per cui, al fine di rispettare la volontà delle parti, dovrebbe operarsi un annullamento senza rinvio, con ritrasmissione degli atti, per consentire alle parti del processo, se lo ritengono, di rinegoziare l'accordo su altre basi, con riferimento alle più favorevoli sanzioni, ovvero di proseguire con il rito ordinario in tal senso questa sez. 3, numero 1883 del 22.9.2011. P.G. in proc. La Sala, rv. 251796 sez. 1 numero 16766 del 7.4.2010, P.G. in proc. Ndiaye, rv. 246930 sez. 3, numero 34302 del 14.6.2007, P.G. in proc. Cotugno, rv. 237124 sez. 5, numero 1411 del 22.9.2006, P.G. in proc. Braidich e altro, rv. 236033 sez. 3 numero 30851 del 12.6.2001, numero 30851, Santullo, rv. 220046 sez. 3 numero 641 del 16.2.1999, PM in proc. Zanon, rv. 213274 sez. 1, numero 1571 del 14.3.1995, PM in proc. Panariello, rv. 201163 . Orbene, non pare esservi dubbio alcuno che non si debba rideterminare la pena e che in caso di patteggiamento ci si trovi di fronte ad un accordo ancora pienamente valido quando, ritenuto il quinto comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90, si sia rimasti significativamente in prossimità del minimo edittale, rimasto immutato. Qualche dubbio potrebbe sussistere nei soli casi in cui il giudice in proprio o ratificando una pena da applicare sottopostagli sia partito da una pena base assai vicina ai cinque anni, attuale massimo edittale. Si può ritenere in quel caso, infatti, tenendo conto anche del caso concreto, che la pena non possa dirsi più attuale in peius per l'imputato, perché, quando è stata irrogata, la stessa non costituiva, come oggi, il massimo edittale. La valutazione andrà, però, operata in concreto, caso per caso, tenendo conto di tutti gli elementi valutati dal giudice del merito nella dosimetria della pena. 5. Ebbene, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, non pare sussistere alcun dubbio in un caso come quello all'odierno esame in cui, a fronte di un quantitativo di marijuana di 180 grammi e della prova della cessione a terzi, si è partiti nel computo della pena patteggiata da una pena base di anni tre di reclusione ed Euro 10.000 di multa, con un operato giudizio di prevalenza dell'adora ipotesi attenuata di cui al V comma dell'articolo 73 Dpr. 309/90 sulla contestata recidiva. Quanto ai motivi di ricorso, gli stessi paiono manifestamente infondati. Va evidenziato, quanto alla memoria depositata in data 20 febbraio 2014 dal difensore, ovvero cinque giorni prima dell'udienza pubblica di fronte a questa Corte, che la stessa è in larga parte riproduttiva dei motivi già proposti e, comunque, è inammissibile per tardività. Trova, infatti, applicazione il disposto degli articolo 585, comma 4, e 611, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. penumero , secondo i quali le parti possono presentare motivi nuovi e memorie solo fino a 15 giorni prima dell'udienza. Il mancato rispetto di tale termine comporta decadenza, ai sensi di quanto disposto dal successivo comma 5 del richiamato articolo 585. Quanto ai proposti profili di doglianza, é ormai principio consolidato di questa Corte di legittimità, anche a Sezioni Unite, quello secondo cui, nell'ipotesi di impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema procedimentale previsto dall'articolo 444 cod. proc. penumero , l'esigenza di specificità delle censure deve ritenersi addirittura rafforzata rispetto ad ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto la domanda dell'imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto dalla stessa parte richiesto Sez, U, numero 35738 del 27.05.2010, P.G., Calibe e altro, rv. 247839 Sez. U., numero 11493 del 24.6.1998, Verga, rv. 211468 . Con particolare riferimento all'onere di verifica dell'insussistenza delle cause di proscioglimento immediato, questa Corte ha altresì precisato che la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi proscioglimento previste dall'articolo 129 cod. proc. penumero , può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia invece evidente la sussistenza di una causa di non punibilità Sez. 1, numero 4688 del 10.1.2007, Brendolin, rv. 236622 . È altrettanto pacifico, poi, che in caso di patteggiamento ai sensi dell'articolo 444 e.p.p., l'accordo intervenuto tra le parti esonera l'accusa dall'onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l'accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto deducibile dal capo d'imputazione , con l'affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all'articolo 129 c.p.p. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all'articolo 27 Cost. . sez. 4, 13.7.2006, numero 34494, P.G. in proc. Koumya, rv. 234824 vedasi anche, Sez. 1, numero 3980 del 27.9.1994, Magliulo, rv. 199479 . E ancora, di recente, si è precisato che nella motivazione della sentenza di patteggiamento il richiamo all'articolo 129 cod. proc. penumero è sufficiente a far ritenere il giudice abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine al riguardo Sez. 2, numero 6455 del 17.11.2011 dep. 17.2.2012, Alba, rv. 252085 . In tale pronuncia è stato chiarito, in motivazione, che il semplice e testuale rinvio al medesimo articolo, il cui contenuto entra in tal modo a far parte per relationem del ragionamento decisorio, esprime l'avvenuta verifica, da parte del giudice, dell'inesistenza di motivi di non punibilità, senza che occorra una ulteriore e più analitica disanima, purché dal testo della sentenza medesima non emergano in modo positivo elementi di segno contrario. Del resto, già agli albori del vigente codice di rito era stato affermato che la motivazione della sentenza in ordine alla mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 129 c.p.p. potesse essere meramente enunciativa Sez. U., 27.3.1992, Di Benedetto Sez. 1, 12.1.1994, Di Modugno . Né può ritenersi in contrasto con tale orientamento l'annullamento senza rinvio disposto in una pronuncia di questa Corte Sez. 4, 21.4.2010, numero 31392, rv. 248198 in base al principio secondo il quale il giudice del patteggiamento deve, nei limiti di una motivazione semplificata della sentenza, indicare le ragioni dell'accoglimento dell'accordo e dare canto dell'accertamento sull'assenza di cause di non punibilità, sull'esatta qualificazione del fatto, sulla correttezza della valutazione delle circostanze e sull'adeguatezza della pena”. Nel caso limite in concreto esaminato nella pronuncia 31392/2010 si era, infatti, di fronte ad una sentenza la cui motivazione era affidata a tre righe di un modulo prestampato, in cui non vi era neanche un riferimento all'articolo 129 c.p.p La proposta doglianza, nel caso di specie, è manifestamente infondata in quanto l'esigenza minima di motivazione della sentenza a seguito di patteggiamento della pena può ritenersi adempiuta, in relazione all'assenza di cause di proscioglimento di cui all'articolo 129 cod. proc. penumero , dal semplice testuale rinvio al medesimo articolo, il cui contenuto, come detto, è entrato in tal modo a far parte per relationem del ragionamento decisorio ed esprime l'avvenuta verifica, da parte del giudice, dell'inesistenza di motivi di non punibilità. Il GUP di Venezia, peraltro, non si limita ad un semplice richiamo del dato normativo, se è vero che scrive “si ritiene che non vi siano elementi in forza dei quali fondare il proscioglimento secondo il disposto dell'articolo 129 cod. proc. penumero atteso che la perquisizione dell'abitazione dell'imputato e seguita ad attività di osservazione e controllo dei Carabinieri di Spinea, che hanno potuto, prima, vedere la cessione di droga al coimputato, ora separatamente giudicato, S.M. , e poi recuperare l'involucro che conteneva stupefacente gettato dalla finestra dal K. così pag. 2 della sentenza impugnata . Successivamente, poi, passa ad affermare la correttezza della qualificazione giuridica dei fatti, quindi a verificare la congruità della pena patteggiata, che lo porta a recepire integralmente le statuizioni concordate applicando la pena stabilita. Come si vede, secondo i principi di diritto sopra richiamati, il giudice di merito, con motivazione del tutto esauriente ha dato conto in maniera più che sufficiente della insussistenza delle cause di non punibilità ex articolo 129 cod. proc. penumero e quindi la sentenza impugnata si sottrae certamente alla censura mossa, non emergendo da essa in modo positivo alcun elemento di segno contrario, ma anzi l'esistenza di elementi indiziari di responsabilità. Il ricorso appare tendere solo a rimettere in discussione i termini dell'accordo finalizzato all'applicazione della pena oggetto del patteggiamento, il che non è consentito. 6. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 numero 186 , alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.