Situazione assurda nella struttura di una ‘municipalizzata’. Lì una donna vive, dormendo addirittura nei mezzi aziendali e approfittando della complicità dei dipendenti, che in cambio ottengono rapporti sessuali. Non scontato, però, l’allontanamento di un lavoratore, accusato dall’azienda di essersi comportato scorrettamente, non denunciando i fatti.
Praticamente un baratto. Non proprio da galantuomini Loro, operai di una ‘municipalizzata’, permettono a una donna di vivere praticamente nel deposito aziendale, dormendo addirittura nei mezzi parcheggiati nella struttura, e lei, in cambio, offre prestazioni sessuali gratuite. A favorire questa assurda situazione, ovviamente, l’omertà dei dipendenti, che, però, rischiano di salvare il posto di lavoro Cassazione, sentenza numero 1978, sezione lavoro, depositata oggi . Convivenza. Esemplare la battaglia giudiziaria portata avanti da un «operaio generico» della ‘municipalizzata’. Lui è stato «licenziato per giusta causa» dall’azienda, che gli ha contestato il fatto di avere «omesso di informare» sulla malsana ‘convivenza’ venutasi a creare nel «deposito». E tale decisione è ritenuta corretta dai giudici di merito. Ciò alla luce della «gravità dei fatti addebitati» al lavoratore egli «avrebbe dovuto astenersi dal porre in essere, durante l’orario di lavoro, avances, battute e toccamenti sessuali» con la donna – oltre ai rapporti intimi avuti con lei «all’inizio e alla fine dei turni di lavoro» –, e «informare della presenza» della persona non autorizzata. Evidente, sempre secondo i giudici, la «violazione dell’obbligo di diligenza e di leale cooperazione con il datore di lavoro». Informazioni. Ma la prospettiva adottata dall’azienda viene ora messa seriamente in discussione. Per i magistrati della Cassazione, difatti, le contestazioni mosse al lavoratore non sono così solide. Davvero, ci si domanda, l’uomo «avrebbe dovuto informare il datore di lavoro della presenza di un soggetto estraneo, in stato di disagio psichico, che durante l’orario di servizio si intratteneva con i dipendenti»? Per i giudici di terzo grado, però, tale presunto «obbligo» appare «estraneo alle mansioni di un operaio generico», quale era il lavoratore. Ciò perché il «dovere di diligenza» può comprendere solo «i comportamenti accessori e strumentali al suo proficuo inserimento nel ciclo produttivo e nell’organizzazione dell’impresa». Allargando l’orizzonte, viene chiarito dai giudici che «la valutazione della sussistenza della giusta causa, intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento della fiducia, deve essere operata anche con riferimento agli aspetti concreti del singolo rapporto e, di conseguenza, senza tralasciare la posizione del dipendente nell’impresa e il grado di affidamento». Non può essere «sufficiente», invece, «una generica correlazione tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro», o, come in questa vicenda, «tra un fatto extra lavorativo e la idoneità professionale del prestatore alla prosecuzione del rapporto». Tale ragionamento rende plausibile la linea difensiva proposta dal lavoratore, che ora può sperare davvero di salvare il proprio impiego. Su questo fronte una nuova valutazione è affidata ora ai giudici d’Appello, i quali, però, dovranno tenere conto delle indicazioni fornite dalla Cassazione primo, non costituisce «violazione del dovere di diligenza» la «omissione, da parte del lavoratore, di una condotta che non sia prevista tra quelle contrattualmente dovute né comunque risulti, ai fini della esecuzione più utile della prestazione di lavoro, ad esse complementare o accessoria» secondo, non rappresenta «violazione dell’obbligo di fedeltà, anche inteso come generale dovere di leale cooperazione nei confronti del datore di lavoro a tutela degli interessi dell’impresa», la «omissione, da parte del lavoratore, di condotte che, oltre a non rientrare nell’ambito delle prestazioni contrattualmente dovute, siano connesse a superiori livelli di controllo e di responsabilità», in presenza di «un assetto dell’impresa caratterizzato da accentuata complessità e articolazione organizzativa» terzo, sul fronte del «licenziamento per giusta causa», è necessario «avere riguardo, nella valutazione della idoneità della condotta extra lavorativa del dipendente a incidere sulla persistenza dell’elemento fiduciario, anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 dicembre 2015 – 2 febbraio 2016, numero 1978 Presidente Roselli – Relatore Negri Della Torre Svolgimento del processo Con sentenza numero 3579/2012, depositata il 6 giugno 2012, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda di S.A. volta ad ottenere l'annullamento dei licenziamento per giusta causa intimatogli dall'Azienda Municipale Ambiente AMA S.p.A. per avere il ricorrente omesso di informare il proprio datore di lavoro, pur essendone a conoscenza, della reiterata presenza di una persona in evidente stato di bisogno e con gravi problemi psichici all'interno dei locali aziendali ed in orario di lavoro dei dipendenti nonché dei fatto che detta persona pernottasse nei mezzi aziendali per essersi intrattenuto con la medesima, come altri dipendenti, in attività non inerenti alla prestazione lavorativa per avere ripetutamente approfittato dei favori sessuali della persona in questione, all'inizio e alla fine dei turni di lavoro, all'interno della propria autovettura parcheggiata nei pressi dei locali aziendali. La Corte di appello, per quanto di interesse, osservava, in primo luogo, che il giudice di primo grado aveva operato le proprie valutazioni con specifico riguardo ai fatti contestati al ricorrente e alle relative risultanze probatorie, senza richiamare - diversamente da quanto sostenuto dall'appellante - il provvedimento cautelare che aveva rigettato l'impugnazione proposta da altro dipendente licenziato nell'ambito della stessa vicenda disattendeva, quindi, il motivo di gravame fondato sulla disparità di trattamento, che nella specie si sarebbe verificata, tra dipendenti della stessa azienda per i medesimi fatti, posto che il principio di parità di trattamento nei rapporti di lavoro subordinato deve escludersi in maniera particolare nella materia delle valutazioni disciplinari e comunque la semplice conoscenza che anche altri dipendenti potessero avere della presenza di S.C. all'interno dei deposito, nonché dei fatto che la stessa vi pernottasse, non valeva ad equipararne la posizione a quella dell'appellante, tenuto conto delle condotte complessive che gli erano state contestate riteneva dimostrati i fatti di cui alla lettera di licenziamento, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal dipendente F. in sede di indagini interne, non smentite da alcun significativo elemento di prova di segno contrario e che anzi trovavano riscontro nelle stesse dichiarazioni dell'appellante. La Corte rilevava, infine, la gravità dei fatti addebitati, sia sotto il profilo della violazione dell'obbligo di diligenza e di leale cooperazione con il datore di lavoro, ex articolo 2104 e 2105 c.c.,, obbligo in forza dei quale il ricorrente avrebbe dovuto astenersi dal porre in essere, durante l'orario di lavoro, avances, battute e toccamenti reciproci con S.C. e informare della presenza della stessa sia per ciò che riguardava la condotta estranea alla sfera contrattuale delle prestazioni, consistita nell'avere intrattenuto rapporti sessuali con la predetta persona, avuto riguardo alle modalità e alle circostanze in cui tale condotta era stata realizzata. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S.A., affidandosi a sette motivi AMA S.p.A. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria e note di udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto provata la lesione del vincolo fiduciario, mediante violazione e falsa applicazione degli articolo 2104 e 2105 c.c., pur essendo stato il ricorrente, all'epoca dei fatti, titolare di una qualifica di operaio generico, non richiedente, come tale, una. particolare fiducia, né tale da implicare poteri e responsabilità di controllo o di informativa al datore di lavoro inoltre, non potrebbe aver leso il vincolo fiduciario l'aver consumato atti sessuali, essendo la consumazione avvenuta all'interno dell'autovettura di proprietà e al di fuori dell'orario di lavoro, così da rientrare nella sfera di libera autodeterminazione della persona. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in merito al criterio di proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione irrogata, in particolare sottolineando, al riguardo, di essere stato destinatario di due sole e non gravi sanzioni in ben venti anni di carriera e altresì sottolineando che il comportamento, posto a base della sanzione espulsiva, era stato circoscritto ad un periodo temporale limitato e senza riscontro in periodi precedenti. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell'articolo 2105 c.c., avendo la Corte territoriale dato di detta norma una interpretazione estensiva, tale da travalicarne il contenuto economico e funzionale. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della norma di cui all'articolo 70 Cost. per avere fatto applicazione degli standard di comportamento elaborati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che peraltro ha esclusivamente compiti di nomoflachia e non anche di natura legislativa. Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli articolo 2104 e 2105 c.c. per avere dato una inammissibile interpretazione estensiva degli stessi e, in particolare, per avere erroneamente ritenuto la sussistenza di un obbligo di informazione del lavoratore nei confronti dell'azienda. Con il sesto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente escluso la sussistenza di un licenziamento discriminatorio e per ritorsione, con violazione e falsa applicazione degli articolo 4 1. numero 604/1966, 15 1. numero 300/1970 e 3 1. numero 108/1999, sul rilievo che solo tre dei quaranta dipendenti implicati nella vicenda erano stati licenziati. Con il settimo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria disamina del materiale probatorio e per non avere disposto l'escussione di S.C Ciò premesso, risultano fondati, e devono essere accolti, il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso. La Corte territoriale ha ritenuto che gravasse sul ricorrente anche in presenza dei clima di omertà creatosi tra i dipendenti in servizio presso il magazzino, un obbligo di diligenza e leale cooperazione con il datore di lavoro ex articolo 2104 e 2105 c.c., in forza del quale egli non solo avrebbe dovuto astenersi dal porre in essere con la C. durante l'orario di lavoro e nei locali azienda I i 'ava nces, battute e toccamenti reciproci', ma avrebbe dovuto pure informare il. datore di lavoro della presenza di un soggetto estraneo' in stato di disagio psithico che durante tale orario ed in tali locali si intratteneva con siffatte modalità con gli altri dipendenti cfr. sentenza impugnata, pag. 10 . Quanto alla condotta concretatasi nell'avere avuto rapporti sessuali con S.C., la Corte ha osservato che gli stessi erano stati intrattenuti, ancorché prima dell'inizio o dopo la cessazione dei turno di lavoro , nell'autovettura di proprietà del ricorrente lasciata parcheggiata sulla pubblica via nelle immediate vicinanze del posto di lavoro, con persona ben conosciuta nella zona per i suoi problemi psichici cfr. ancora pag. 10 tali rapporti, ad avviso della Corte territoriale, per le modalità con cui venivano consumati e per le condizioni personali in cui versava S.C., non appaiono certo aderenti ai doveri di solidarietà sociale ed ai precetti dell'etica comune, sicché anch'essi concorrono a legittimare un giudizio negativo sulla idoneità professionale dell'appellante alla prosecuzione del rapporto, atteso che tale idoneità non può essere disgiunta dalla sussistenza dei requisiti di serietà, onestà e correttezza cfr. sentenza impugnata, pag. 11 . Tali osservazioni e considerazioni, che hanno condotto il giudice di secondo grado, insieme con il rilievo che l'appellante era státo già colpito nel novembre e nel dicembre 2006 dalle sanzioni di quattro ore di multa e di tre giorni di sospensione, a ritenere il recesso giustificato e proporzionato, non si sottraggono alle censure formulate. La Corte territoriale ha, infatti, evocato a sostegno della propria decisione l'esistenza di un obbligo di informare il datore di lavoro da cui sarebbe stato gravato il ricorrente, obbligo che appare invece estraneo alle mansioni di operaio generico pacificamente assegnategli all'epoca dei fatti. Né l'esistenza di un tale obbligo può farsi discendere dalle norme richiamate di cui agli articolo 2104 e 2105 c.c. II dovere di diligenza del prestatore di lavoro, e di cui all'articolo 2104 c.c., trova, infatti, il proprio centro e il proprio essenziale limite nella prestazione contrattualmente dovuta, la natura di questa e l'interesse dell'impresa quali unici criteri di commisurazione normativamente superstiti dopo l'abrogazione dell'ordinamento corporativo potendo farvi ritenere compresi i soli comportamenti accessori e strumentali al suo più esatto e proficuo inserimento nel ciclo produttivo e nell'organizzazione dell'impresa. L'esistenza di un obbligo di informazione a carico dei ricorrente non potrebbe neppure farsi discendere nella specie, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, dalla norma di cui all'articolo 2105 c.c., pur soggetta, con orientamento risalente e consolidato di questa Corte cfr., tra le più recenti, sentenze 10 febbraio 2015, numero 2550 e 9 gennaio 2015, numero 144 , ad una interpretazione volta a superarne la ristretta formulazione letterale e a collegarne l'ambito alle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c. Ed invero, anche volendo considerare che l'integrazione dell'articolo 2105 c.c. con le clausole generali di correttezza e buona fede conduce a non discriminare tra obblighi positivi e obblighi negativi di condotta quali pure unicamente espressi nella formulazione della norma , resta acquisito, nel solco del richiamato orientamento, che ipotizzate violazioni dell'obbligo, o dovere, di fedeltà, ove interne come nella specie all'ambito lavorativo, devono necessariamente correlarsi alla struttura dell'impresa e, in particolare, alla sua complessità organizzativa, così da escludere - in presenza di articolati livelli di controllo e di responsabilità - qualsiasi valenza negativa nell'omissione, da parte dei dipendente, dei pretesi comportamenti attivi. La sentenza impugnata non si sottrae alle censure del ricorrente neanche nella parte in cui richiama le modalità di consumazione dei rapporti sessuali con S.C. e ne stabilisce la concorrente efficacia a determinare un giudizio negativo sulla idoneità professionale dell'appellante alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Al riguardo, e sotto un primo e preliminare profilo, si deve osservare come la sentenza, affermando che tali comportamenti non appaiono certo aderenti ai doveri di solidarietà sociale ed ai precetti dell'etica comune 2, trascura di fatto, con il riferimento a concetti generali e di ampio e variabile contenuto, di compiere quell'operazione di individuazione dei parametri normativi che è pur necessaria a concretizzare, nella singola fattispecie, la clausola a formazione aperta di giusta causa di licenziamento. In ogni caso, a fronte di una condotta indiscutibilmente riconducibile alla sfera dei rapporti privati, la sentenza Impugnata non si uniforma alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la valutazione della sussistenza della giusta causa, Intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento della fiducia, deve essere operata anche con riferimento agli aspetti concreti dei singolo rapporto di lavoro e di conseguenza senza tralasciare la posizione del dipendente nell'impresa e il grado di affidamento specificamente richiesto dalle mansioni che gli sono state affidate cfr., in tal senso, Cass. 23 febbraio 2012, numero 2720 , non potendosi ritenere sufficiente, ai finì in esame, una generica correlazione tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro o come nella specie tra un fatto extra-lavorativo e la idoneità professionale dei prestatore alla prosecuzione del rapporto. Consegue da quanto sopra che in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza numero 3579/2012, in data 6/6/2012, deve essere cassata, con rinvio anche per le spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale si atterrà ai seguenti principi di diritto, procedendo conseguentemente ad una nuova valutazione di proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione irrogata 1. Non integra violazione dei dovere di diligenza, di cui all'articolo 2104 c.c., l'omissione, da parte del lavoratore, di una condotta che non sia prevista tra quelle contrattualmente dovute né comunque risulti, ai fini della esecuzione più utile della prestazione di lavoro, ad esse complementare o accessoria. 2. Non integra violazione dell'obbligo di fedeltà, di cui all'articolo 2105 c.c., anche inteso come generale dovere di leale cooperazione nei confronti del datore di lavoro a tutela degli interessi dell'impresa, l'omissione da parte del lavoratore di condotte che, oltre a non rientrare nell'ambito delle prestazioni contrattualmente dovute, siano connesse a superiori livelli di controllo e di responsabilità, in presenza di un assetto dell'impresa caratterizzato da accentuata complessità e articolazione organizzativa. 3. In tema di licenziamento per giusta causa, deve aversi riguardo, nella valutazione dell'idoneità della condotta extra-lavorativa del dipendente ad incidere sulla persistenza dell'elemento fiduciario, anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate . P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.