Buon 2017 alla giustizia italiana

Il 2 gennaio 2017 non è una data importante, non è un giro di boa. Un nuovo giorno di un nuovo anno, semplicemente. Eppure ognuno può leggere il nuovo come speranza di cambiamento, che nell’ambito della giustizia significa tanto, non foss’altro che per l’irrisolto, perennemente all’indice. Le aspettative, in concreto, sono davvero cospicue, a partire dalle emanande riforme del processo penale, di quello civile e di quello fallimentare.

Work in progress. Nel pianeta giustizia il cantiere delle riforme è sempre in movimento. Lo coglie con immediatezza anche il più ingenuo osservatore che si accinga ad un’esplorazione della legislazione vigente, la quale, in pressoché qualsiasi ambito, si connota per estenuanti note e noticine di rinvio a modifiche ed aggiornamenti susseguitisi nel tempo. Talvolta è complesso anche per i più esperti ricostruire diacronicamente l’evoluzione di una disciplina. Talvolta non è facile stabilire l’ hic et nunc di un determinato istituto. Non faccio mistero dell’esigenza innegabile che l’ordinamento giuridico si muova, e che si muova con la società, con i suoi cambiamenti, per dare risposte sempre aggiornate a una storia che incede sempre più velocemente. Purché il cambiamento non diventi confusione, purché il legislatore non insegua l’effimero, che in tempi attuali tende indiscutibilmente alla primazia. Accade dunque che le innovazioni siano sempre ben accette ma vadano considerate con spirito critico. Del resto, si danno riforme nate nel segno dei migliori auspici che tuttavia non riescono ad infrangere resistenze culturali più o meno velate degli operatori del diritto mi limito a citare il mai decollato sistema degli organismi di gestione della crisi da sovraindebitamento e quello della media conciliazione in materia civile e commerciale, ex aequo con la negoziazione assistita . In tal senso, la ricerca di una soluzione innovativa ad annose questioni per gli istituti appena menzionati penso alla insolvenza del c.d. debitore civile ed all’ingolfamento del contenzioso non sembra aver tratto utilità dall’inserimento di nuovi modelli, di talché parrebbe proprio necessario riconsiderare i passi compiuti. Sta di fatto che si avverte spesso l’esigenza di risposte di metodo che diano soluzione all’enorme complessità dei fenomeni giuridici. Non si può disconoscere l’esigenza di una chiarezza delle fonti sia nel dettaglio delle previsioni normative sia nell’impalcatura assiologica che ne sorregge le articolazioni di disciplina. Il sogno dei testi unici. La speranza di una giustizia sempre attenta ai propri destinatari si concretizza in aspettative di funzionamento lineare delle norme, aspettative incompatibili con i pendolarismi eccessivi ai quali ci abitua spesso la giurisprudenza gli esempi sono innumerevoli . Né minor consistenza hanno le aspettative, da tempo formalizzate anche a livello legislativo si pensi alla “esplosione” degli anni ’90 , di organizzare la normativa per il tramite di testi unici, con il duplice vantaggio, da un lato, di contenere in modo esaustivo le singole materie, e, dall’altro, di concepire le singole materie in modo organico. Gli sforzi tesi a tale scopo possono anche richiamare quella proposta, ormai datata, che una parte della dottrina penalista penso in particolare al professore Massimo Donini sviluppò per la medesima ragione di conoscibilità e coerenza un codice penale che desse conto di tutte le ipotesi di reato presenti nel sistema, sia pur rinviando, ove necessario, a comparti normativi specialistici per il dettaglio di disciplina. La giustizia in ritardo è sempre ingiusta. Devo dire che le querelles dogmatiche e i confronti tra addetti ai lavori non sono l’unica cifra per dare lettura del diritto vigente. Un fatto sempre importante richiede attenzione e risposte da parte del pianeta giustizia la lentezza. Lo dico con convinzione la giustizia che arriva in tempi lunghi è sempre ingiusta. Non mi interessa riprendere il tema del corto circuito tra giustizia e politica, per considerare la possibilità che nella Weltanschauung del politico medio si avverta nella giustizia un’insidia ai percorsi della politica, sia essa amministrazione, sia essa scelta delle priorità collettive. Pensiamo anzitutto alla materia penale, nella quale il ritardo diventa talvolta prescrizione, species dell’estinzione del reato mi torna in mente l’immagine del professore Domenico Pulitanò che ricorda come gli estintori intervengano comunque in caso di incendi. Il tema del tempo che scorre è sensibile a qualsiasi ambito del diritto se ho un’esigenza di giustizia, quale che sia, voglio risposte sufficientemente rapide. L’indagato in attesa di giudizio patisce un’ingiustizia, così come il creditore in attesa di essere pagato, ma lo stesso debitore che non riesce ad avere risposte immediate. Iniezioni di fiducia per il 2017. Rebus sic stantibus , non è un fuor d’opera richiamare con particolare forza le promesse del Ministro Orlando leggibili in un’intervista al medesimo, pubblicata su Repubblica del 31 dicembre 2016 su alcuni temi essenziali 1. i problemi che lo sviluppo della rete ha generato le grandi opportunità che ha aperto 2. la riorganizzazione della giustizia 3. il superamento dello scontro tra politica e giustizia 4. la riforma del processo penale, di quello civile e di quello fallimentare 5. le intercettazioni e la prescrizione dei reati. Come ognun vede, si tratta di un menù da grandi occasioni. Non è irrituale avanzare qualche riserva sulle opzioni di merito, nel senso di riservarsi a tempi successivi una disamina di quello che verrà previsto. I primi giorni del nuovo anno vivono, nelle parole del Guardasigilli, della speranza di un clima più disteso sulla rete, con evidente coinvolgimento di tutti i suoi protagonisti, in ambito informativo e di social. A dire il vero, a dispetto delle promesse del Ministro, il clima di questi giorni vede un acutizzarsi di possibili tensioni nell’ambito della rete, sia tra politica e informazione, anche per effetto di dichiarazioni di un leader politico che vengono lette in chiave di delegittimazione dell’informazione, sia nella comunicazione tout court, anche a seguito di dichiarazioni del mondo giornalistico che palesano una sensibilità incontestabile al tema delle “bufale” che è presente in modo particolarmente ampio anche nell’intervista al Capo del dicastero giustizia . Su temi più “tecnici”, quali le innovazioni alle procedure, Orlando ha sostanzialmente espresso semplici ed incisive rassicurazioni sul nuovo che arriverà prima della scadenza del suo mandato. Abbiamo bisogno di serietà. Mentre il Ministro promette, l’attività delle camere va avanti, e nell’interesse generale vanno segnalate alcune novità attese per i mesi prossimi, sulla scorta di premesse sviluppatesi nel 2016. Il mio approccio intende essere tecnico, anziché politico ideologico punto a fornire elementi di riflessione che non traggano consistenza dalla personale adesione a questo o quell’orientamento di pensiero. Esiste una dimensione della riflessione e del ragionamento, oltre che della sensibilità, che attinge il cuore dell’esistenza umana. Così, potrei indugiare sul c.d. Jobs Act, a partire dalla nomenclatura sciatta, o sull’abominevole aborto costituzionale – ne parlo a porre in evidenza il dato di un parto mai realizzatosi per fortuna – ma non mi interessa prestare il fianco a sterili polemiche politiche. Viceversa, voglio dedicare qualche considerazione ad un tema che possa indicare la sciatteria del legislatore, alla quale siamo ormai avvezzi, ma giammai rassegnati. Penso al Disegno di legge numero 2253, presentato al Senato in data 25 febbraio 2016 e assegnato in sede referente alla Commissione giustizia in data 17 maggio 2016 se ne parla ancora, sui media, in termini di attualità . In esso si è data forma all’idea che sia il caso di sopprimere l’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi. Il passo, di cui si dibatte con argomenti variegati, è presentato tra l’altro come un inevitabile portato dell’orientamento della Suprema Corte, richiamandosi all’uopo le sentenze Corte di cassazione, sez. I civile, 4 aprile 2014, numero 7998 , secondo la quale «il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale» e Cassazione civile, 11 giugno 2008, numero 15557 , ove si legge « il Giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'articolo 143 del codice civile». Pur non considerando altri elementi della relazione al disegno di legge, l’inciampo è rovinoso nemmeno uno studente di giurisprudenza al primo anno confonderebbe la valutazione sull’ an della separazione con la valutazione sull’addebito. Abbiamo qui un’evidenza inconfutabile di quanto il prodotto legislativo del nostro Parlamento sia spesso approssimativo, di cattiva fattura, e debba seguire un’inversione di rotta immediata e decisa. L’auspicio per il diritto da scriversi nel corso nel 2017 vien fuori da quest’ultima riflessione. Si spera che il legislatore si esprima con maggior competenza e proprietà sui temi della giustizia, anziché rubare alla giurisprudenza incisi di comodo per estrapolazioni concettuali di pessima qualità.